L’incontro del 28 febbraio 2025 tra Donald Trump, JD Vance e Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca si è rivelato disastroso per i rapporti tra Stati Uniti e Ucraina. Lungi dall’essere un “semplice” scontro diplomatico, ha messo in luce tensioni pregresse, divergenze strategiche e una fragilità strutturale nella posizione ucraina, con implicazioni profonde per il futuro del conflitto con la Russia e per il ruolo dell’Unione Europea.
Il contesto dello scontro
Il rapporto tra il Presidente americano e quello ucraino non è mai stato idilliaco, e le ruggini pregresse potrebbero avere giocato un ruolo determinante nell’esplosione verbale di qualche giorno fa. Due elementi chiave, spesso trascurati dai media italiani, spiegano la diffidenza e, possibilmente, ostilità di Trump e Vance verso Zelensky.
Il caso Hunter Biden e l’impeachment
L’Ucraina è stata al centro del più torbido e accanito scontro della recente storia politica americana. Il chiacchierato figlio di Joe Biden, Hunter Biden, è stato per anni nel CdA della compagnia ucraina Burisma, apparentemente senza altra qualificazione che l’essere il figlio dell’allora Vice-Presidente degli Stati Uniti. Nell’Amministrazione Obama, Joe Biden copriva aspetti cruciali del dossier ucraino e fu uno dei protagonisti del siluramento del procuratore generale Viktor Shokin che, tra le altre cose, indagava per corruzione su Burisma. Quando, nel 2019, Volodymyr Zelensky fu eletto presidente dell’Ucraina, come candidato di rottura rispetto all’establishment post-Maidan, Trump, allora presidente, ebbe con lui una contestata conversazione telefonica, in cui menzionava all’omologo ucraino l’opportunità di riprendere le indagini sulla Burisma interrotte su pressione della precedente amministrazione americana.
Il contenuto della telefonata fu rivelato da una talpa della CIA e fu alla base di un fallito tentativo di impeachment ai danni di Trump. Tra i testimoni chiave contro Trump furono due ufficiali americani nati in Ucraina, i gemelli Alexander e Yevgeni Vindman.
Sebbene Zelensky sia intervenuto esplicitamente per negare pressioni da parte di Trump, è possibile che quest’ultimo ritenga che lui o altri ambienti ucraini abbiano lavorato per danneggiarlo.
L’interferenza percepita negli affari Usa
Come abbiamo visto anche in Europa, Zelensky e altri funzionari ucraini sono spesso intervenuti nel dibattito pubblico all’estero. Ciò ha sollevato diversi malumori da parte di coloro che percepivano tali interventi come ingerenze negli affari interni dei partner. In particolare, durante la campagna elettorale americana del 2024, Zelensky ha visitato la Pennsylvania – lo Stato in bilico più importante per decidere il vincitore tra la Harris e Trump – assieme al suo governatore democratico, suscitando accuse di ingerenza da parte di molti repubblicani. In precedenza aveva espresso critiche dirette contro JD Vance, mostratosi scettico sul sostegno a oltranza all’Ucraina.
Lo scontro nello Studio Ovale
In un simile contesto, l’approccio di Zelensky durante l’incontro è stato un errore tattico. Interrompere Vance davanti alle telecamere per contestare la sua visione diplomatica, rivolgendogli domande provocatorie, ha trasformato un’occasione di dialogo in uno scontro pubblico. Trump e Vance hanno reagito duramente, accusando Zelensky di “mancanza di rispetto” e “ingratitudine”, e la riunione si è conclusa anzitempo.
La tesi secondo cui gli americani avrebbero volutamente teso un “agguato” al Presidente ucraino appare priva di fondamento. I precedenti 40 minuti di confronto avevano mostrato un approccio disteso e conciliante da parte di Trump e Vance. Al contrario, Zelensky ha affermato la sua contrarietà alla visione americana in maniera molto decisa, fino a indispettire gli interlocutori.
L’atteggiamento del Presidente ucraino non ha tenuto conto del contesto. Oltre alle due vicende prima menzionate, c’è da considerare che Trump già in campagna elettorale aveva criticato l’eccessivo appoggio di Biden all’Ucraina, descrivendolo come una forma di sudditanza a Kiev. Alla luce di ciò, per Trump e Vance era particolarmente necessario non mostrarsi condiscendenti o remissivi davanti ai propri elettori.
Zelensky farebbe bene a imparare dal comportamento tenuto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu durante l’Amministrazione Biden, che gli era palesemente ostile. Biden attaccò direttamente il governo Netanyahu sia prima del 7 ottobre 2023 (si espresse pubblicamente contro la riforma della giustizia invitando ad accantonarla) sia dopo quella data, ossia dopo che Israele era stato aggredito. Biden criticò ripetutamente il modo in cui Israele stava conducendo le operazioni. È opinione comune che esercitò pressioni per minare la solidità del governo d’unità nazionale, istigando o assecondando le manovre di Gantz per portare a un cambio di amministrazione. A un certo punto bloccò alcune forniture critiche di armi a Israele, costringendolo a rivedere al ribasso la sua offensiva su Rafah. Infine, chiese ripetutamente un cessate-il-fuoco, e lo fece (differentemente da Trump con l’Ucraina) quando Israele stava vincendo.
Eppure, Netanyahu non si è mai sognato di attaccare pubblicamente Biden, men che meno di lanciargli guanti di sfida mentre lo visitava alla Casa Bianca.
Il sostegno militare americano
La maggior parte dei governi europei ha immediatamente segnalato il suo sostegno a Zelensky, esacerbando una posizione già critica verso il nuovo corso americano.
La questione su cui interrogarsi, tuttavia, è se l’Europa abbia i mezzi e la possibilità per sostituirsi agli USA nell’appoggio all’Ucraina, garantendo a quest’ultima di resistere o persino sconfiggere l’invasione russa.
Dal 24 febbraio 2022, data dell’inizio dell’invasione russa, gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina un sostegno militare e di intelligence senza precedenti, diventando il principale alleato di Kiev in termini di volume e varietà di assistenza. Gli USA hanno erogato aiuti militari per un valore complessivo di oltre 65 miliardi di dollari. Questo supporto include un’ampia gamma di armi e attrezzature. L’elenco che segue è solo una parte di ciò che gli USA hanno fornito all’Ucraina.
Sistemi d’arma leggeri e anticarro:
- Oltre 10.000 missili Javelin, sistemi anticarro portatili capaci di perforare corazze avanzate.
- Più di 2.000 missili Stinger, sistemi antiaerei a spalla per contrastare elicotteri e velivoli a bassa quota.
- Decine di migliaia di altre armi anticarro e centinaia di milioni di munizioni leggere.
Artiglieria e munizioni:
- Centinaia di obici da 155 mm e 105 mm, con milioni di proiettili d’artiglieria di vario calibro, essenziali per la guerra di logoramento.
- Più di 40 sistemi HIMARS (High Mobility Artillery Rocket Systems), con migliaia di razzi a guida di precisione, che hanno permesso attacchi mirati su depositi e comandi russi.
Difesa aerea:
- Tre sistemi Patriot con centinaia di intercettori per contrastare missili balistici e da crociera russi.
- Dodici sistemi NASAMS (National Advanced Surface-to-Air Missile Systems), per la difesa a medio raggio.
Missili a lungo raggio:
- Nel novembre 2024, Biden ha autorizzato l’uso di missili ATACMS a lungo raggio (fino a 300 km), permettendo all’Ucraina di colpire obiettivi in territorio russo, come depositi e basi nella regione di Kursk.
Veicoli e mezzi corazzati:
- 31 carri armati Abrams M1.
- Oltre 300 veicoli Bradley e centinaia di Humvee e altri mezzi blindati.
Droni e tecnologie avanzate:
- Centinaia di droni Switchblade e migliaia di droni tattici Phoenix Ghost, progettati specificamente per l’Ucraina.
- Sistemi di guerra elettronica e contromisure radar.
Supporto navale:
- Pattugliatori classe Island e droni marittimi per il Mar Nero, usati contro la flotta russa.
Gli USA hanno inoltre fornito un supporto di intelligence cruciale, spesso decisivo per le operazioni ucraine.
Attraverso satelliti, droni di sorveglianza e intercettazioni, gli USA hanno fornito informazioni su movimenti di truppe russe, posizioni di comando e depositi di munizioni. Questo ha permesso imprese come l’affondamento della nave Moskva nell’aprile 2022.
Non bisogna poi dimenticare il ruolo di Starlink, impresa privata ma pur sempre americana e di proprietà di Elon Musk, che oggi è parte dell’Amministrazione Trump.
All’inizio dell’invasione russa, le infrastrutture di comunicazione ucraine furono gravemente danneggiate dai bombardamenti. Il ministro Mykhailo Fedorov chiese a Musk di fornire accesso a Starlink. Musk rispose attivando il servizio in Ucraina e inviando migliaia di terminali (oltre 1.300 inizialmente, poi cresciuti a decine di migliaia). Questo ha permesso all’Ucraina di mantenere comunicazioni vitali quando le reti terrestri erano fuori uso, specialmente nelle aree sotto attacco o occupate.
Starlink è diventato un pilastro della strategia militare ucraina. Ha garantito connessioni sicure e criptate tra unità sul campo, comandi e alleati, usando terminali portatili che funzionano ovunque ci sia visibilità del cielo. Ha supportato l’uso di droni per ricognizione e attacchi, trasmettendo dati in tempo reale (ad esempio, le squadre di artiglieria ucraine hanno usato Starlink per ricevere video dai droni e coordinare tiri precisi contro depositi e postazioni russe). La rete satellitare a bassa orbita (LEO) di Starlink, con oltre 6.000 satelliti attivi, è stata più difficile da disturbare rispetto ai sistemi tradizionali, resistendo ai tentativi russi di jamming elettronico.
L’Ucraina può sostituire gli USA con l’Europa?
L’Europa non può assolutamente rimpiazzare gli USA per l’Ucraina. In Europa non c’è un solo paese che abbia le capacità di comando e controllo delle forze armate americane.
La decisione, assunta in questa ore dal Presidente degli Stati Uniti, di sospendere tutti gli aiuti militari destinati all’Ucraina è molto importante: blocca forniture di armi e munizioni per miliardi di dollari in un momento cruciale per Kiev. Il provvedimento ha effetto immediato e potrebbe interrompere la consegna di circa 3,85 miliardi di dollari in armamenti già previsti dall’Amministrazione Biden. La Casa Bianca ha motivato la sospensione con la necessità di riesaminare gli aiuti per assicurarsi che contribuiscano a una soluzione concreta. A Washington cresce l’insoddisfazione verso la leadership ucraina, accusata di non fare abbastanza per raggiungere un accordo di pace.
Secondo gli analisti militari, sebbene l’Europa nel suo complesso abbia fornito un volume di aiuti militari simile a quello degli Stati Uniti in valore monetario, colmare rapidamente il gap creato dagli USA sarebbe estremamente difficile. Le industrie europee della difesa stanno già operando al massimo della loro capacità produttiva attuale, e sistemi avanzati di difesa aerea come i Patriot e i Nasams, fondamentali per la protezione delle infrastrutture civili ucraine, sono principalmente di produzione statunitense e non esistono alternative europee immediatamente disponibili.
Di conseguenza, Zelensky esce perdente non tanto per il merito delle sue argomentazioni (la sfiducia verso Putin è comprensibile, dati i precedenti) ma per la dipendenza strutturale dell’Ucraina dagli Stati Uniti. Senza il supporto americano (armi avanzate come Javelin, HIMARS, ATACMS, Abrams, intelligence satellitare e SIGINT), Kiev non può reggere a lungo contro la Russia, che continua a guadagnare terreno, seppur lentamente. L’intelligence Usa e tecnologie come Starlink sono stati un “game-changer”, e l’Europa non ha equivalenti da offrire.
Il piano di Trump
Trump ha un piano, che si sta delineando sempre più chiaramente, per arrivare al cessate-il-fuoco, facendo leva sul peso determinante degli USA che, dosando il supporto a Kiev, possono logorare la Russia o far cedere l’Ucraina. Per renderlo accettabile alla Russia, che sta guadagnando terreno dopo aver patito enormi perdite, non può fare a meno di concedere a Mosca almeno una parte dei territori già conquistati militarmente. Trump vuole per gli USA l’accesso ai minerali critici di cui l’Ucraina sembrerebbe ricca, cosa che offrirebbe a Kiev (oltre agli investimenti americani necessari per sfruttare giacimenti oggi in parte inutilizzati) una garanzia implicita alla sua integrità territoriale futura. Questa garanzia sarebbe costituita dagli investimenti e dall’evidenza che sia tecnici sia società americani saranno presenti, in modo importante, in un prossimo futuro, sul suolo ucraino.
Zelensky insiste su garanzie esplicite di sicurezza, temendo che senza di esse Putin violi qualsiasi accordo. Il rifiuto di Trump di cedere su questo punto e la minaccia di tagliare gli aiuti militari hanno, quindi, lasciato l’Ucraina in una posizione che si definisce “vulnerabile” perché, praticamente, o accetta la proposta americana, perdendo territori e sovranità economica, o rischia di restare sola, con un’Europa evidentemente non capace di colmare il vuoto americano.
La posizione dell’UE
L’Unione Europea si trova in una situazione di impotenza strategica. Dopo lo scontro, la maggior parte dei leader europei si sono affrettati a sostenere Zelensky, alcuni con toni critici verso Trump, altri – come Giorgia Meloni – più concilianti verso gli USA. Manifestazione di questo schieramento europeo è stato il vertice di Londra del 2 marzo. Tuttavia, questa reazione rischia di essere più simbolica che sostanziale, anche se la presidente della Commissione UE von der Leyen ha presentato un piano di riarmo da 800 miliardi di euro. Zelensky, nel frattempo, si è già dichiarato disposto “sotto la forte leadership di Trump” per giungere rapidamente alla fine del conflitto.
Come indicato, le capacità militari europee non sono paragonabili alle americane né per qualità né per quantità. Inoltre, a fronte della promessa del “Rearm Europe”, il continente si trova già in una difficile situazione socio-economica, dopo la repentina crescita dei costi energetici – solo aggravata dalla dissennata politica del Green Deal. Per quanto sia certo diffusa la simpatia verso la causa ucraina, è improbabile che le popolazioni europee sarebbero disposte a sopportare gli ulteriori sacrifici necessari a un sostegno intensificato e a oltranza per l’Ucraina.
La carenza di opzioni strategiche per gli Stati europei “interventisti” è palese proprio nella maggiore iniziativa ventilata in questi ultimi giorni: l’invio di truppe di “peace-keeping” in Ucraina. Tale invio è chiaramente condizionato al fatto che si arrivi prima a un cessate-il-fuoco concordato con la Russia. Di fatto, il ruolo dei contingenti sarebbe solo quello di fornire delle garanzie di sicurezza più “esplicite” a Zelensky.
La mossa però rischia di rivelarsi molto insidiosa anche per gli Stati europei che la stanno promuovendo. Difficilmente l’Europa potrebbe garantire contingenti tali da essere di per sé un deterrente verso la Russia. Se armati alla leggera (stile Libano) i soldati europei sarebbero altrettanti “scudi umani”, che difficilmente la Russia potrebbe evitare di colpire laddove volesse riprendere le ostilità. Sempre nell’ipotetico scenario di attacco russo, sarebbero facile preda di Mosca e potrebbero diventare migliaia di prigionieri da utilizzare come ostaggi. Per giunta, senza nessuna reale garanzia di essere tutelati dagli USA, dal momento che l’Articolo 5 della NATO non si applicherebbe sul suolo ucraino. L’alternativa è inviare contingenti con armi pesanti in numero sufficiente da poter respingere un ipotetico attacco russo. Essi peserebbero però in maniera significativa sui bilanci europei e non avrebbero mai l’avallo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per via del veto russo.
È probabilmente anche per questo che molti governi europei, pure “interventisti”, stanno frenando sul piano franco-britannico per l’invio di truppe, soprattutto se non concordato e appoggiato dagli USA. Facile dire: “Inviamo truppe”. Il “quante e come armate” è il problema principale.
Cosa può fare l’Europa
L’Europa non può prescindere dalla sua alleanza con gli USA, senza la quale si ritroverebbe come un vaso di coccio – divisa, impreparata – in mezzo a vasi di ferro. Bene fa dunque la nostra premier Giorgia Meloni a porsi come mediatrice e cercare di evitare lo strappo trans-atlantico, da cui l’Italia in particolare non avrebbe nulla da guadagnare e tutto da perdere. La “leadership europea”, ossia generalmente francese, britannica o tedesca, ha più volte dimostrato, anche nella storia recente, di essere meno in sintonia coi nostri interessi nazionali di quanto sia quella americana.
Nel breve periodo, e dunque in riferimento alla guerra russo-ucraina, le nazioni europee bene farebbero a inserirsi, in maniera collaborativa, nell’opera diplomatica intessuta dalla Casa Bianca.
Sul medio-lungo periodo, gli Stati europei, sia presi singolarmente sia collettivamente come UE, dovrebbero invece perseguire in maniera più seria e metodica il rafforzamento della propria sicurezza interna ed esterna.
In particolare:
- con l’aumento delle spese militari e, soprattutto, con una spesa più efficiente;
- mettendo fine alle politiche di de-industrializzazione, sia quelle in nome del “libero commercio” sia quelle motivate con “la salvaguardia dell’ambiente”; al contrario, bisogna rafforzare le nostre capacità produttive e accorciare il più possibile le catene di approvvigionamento;
- concentrandosi su tutte le altre vulnerabilità interne palesate in questi ultimi anni, molte delle quali strutturali: si va dalla denatalità agli effetti distruttivi dell’immigrazione di massa incontrollata, dalla regressione democratica (denunciata anche da JD Vance a Monaco) alla crisi valoriale.
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
Senior Fellow del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Generale di Brigata (aus.) dell'Esercito Italiano, membro del Direttorato della NATO Defence College Foundation. Per anni direttore della Middle East Faculty all'interno del NATO Defence College.
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