di Emanuele Mastrangelo

La vittoria del centrodestra alle elezioni locali conferma il risultato delle politiche e mostra un’opposizione alle corde come un pugile suonato e un relativo consenso verso il governo nel Paese. Si apre così una finestra d’opportunità irripetibile per organizzare una controffensiva anti-wokeista seguendo l’esempio di realtà più determinate, come l’Ungheria o la Florida, e consolidare questa tendenza prima dell’inevitabile controffensiva del fronte liberal. Una finestra d’opportunità che potrebbe non ripetersi più e che se non colta lascerebbe alle sinistre la possibilità di riprendersi tutto. E con gli interessi.

Il wokeismo sa aspettare

Il wokeismo è oramai l’ideologia ufficiale di gran parte delle democrazie occidentali e delle organizzazioni sovranazionali come l’UE e l’ONU. Le istanze LGBT, l’attivismo ambientalista, il femminismo di terza ondata, l’immigrazionismo e l’estremismo laicista sono solo alcuni degli aspetti di questa ideologia, il cui braccio armato – la cancel culture – sta divenendo prassi operativa che agisce contro i singoli colpevoli di esprimere opinioni sgradite e contro la storia e la civiltà, con il dichiarato obbiettivo di recidere le radici culturali delle nazioni. Le apparenti battute d’arresto di questa ideologia, come è avvenuto con le elezioni in Spagna, dove Podemos ha pagato salatissima la sua piattaforma a base di estremismo wokeista, non devono trarre in inganno. L’adagio “get woke, go broke” (“fai lo sveglio, pigli una sveglia”), che spesso viene citato per i continui flop delle produzioni cinematografiche e televisive improntate al wokeismo, non può non far constatare come proprio nonostante gli esiti prevedibilissimi tutta questa produzione continui ad attrarre investimenti finanziari favolosi, del tutto indifferenti alle perdite. Ma non solo: le scorse elezioni di medio termine negli Stati Uniti hanno dato un esito sorprendente, con un Biden avviato a raccogliere i frutti di quella che oggettivamente passerà alla storia come la peggiore amministrazione americana, e che invece è stato salvato in calcio d’angolo. A recitare la parte della “cavalleria di Rohan al fosso di Helm” è stata la gioventù che s’affacciava al suo primo voto politico, i neo-diciottenni, galvanizzati dall’attivismo wokeista, potentissimo nelle scuole e nelle università americane. Le istanze LGBT e l’oltranzismo femminista filo-abortista hanno pesato più che le considerazioni attorno al rischio di una guerra nucleare con la Russia e all’inflazione a doppia cifra.

La realtà è che le centrali internazionali che hanno puntato sull’ideologia wokeista sono ben disposte ad affrontare i bilanci in rosso, finanziari quanto elettorali. La loro semina è di medio-lungo periodo ed essi confidano in un copioso raccolto. I sondaggi mostrano lo spalancamento di una voragine culturale fra le generazioni dei boomers e X da una parte e i millenials e la generazione Z dall’altra, con queste ultime letteralmente inghiottite dai disvalori dell’ideologia wokeista, devastate da problemi di identità – sessuale, innanzitutto – di disagio (caratteristica che va a braccetto con la precedente) e di analfabetismo di ritorno provocato dall’attacco a tenaglia di una scuola sempre più giocattolosa da una parte e l’onnipervasività della tecnologia dall’altro. Ed è soprattutto fra la generazione Z che i semi del wokeismo stanno germinando. Man mano che i più anziani elettori verranno meno, saranno i giovani della Z a prenderne il posto. E come accaduto negli Stati Uniti costoro si rivolgeranno massicciamente ai partiti che alzano le bandiere arcobaleno del wokeismo, dispiegando peraltro una partecipazione elettorale crescente, tanto più di peso nel panorama di generale disaffezione alle urne delle fasce d’età fra i trenta e i sessant’anni.

Questa tendenza sarà fatale a meno che i partiti conservatori, liberali e nazionali non comprendano che non è più sufficiente tamponare le falle, ma è giunta l’ora di dispiegare una reazione organica, a tutto campo e determinata il cui scopo non deve essere imporre temporanee battute d’arresto, ma invertire la marea. Una possibilità concretamente documentata dai risultati recentemente ottenuti da politici come Orban e DeSantis ma anche – fatti i debiti distinguo – Erdogan.

Niente tregue, niente concessioni alla sinistra

Nella guerra contro il wokeismo le esperienze tiepide (come Aznar in Spagna) o incomplete (come Trump negli USA) dimostrano come le mezze misure servano solo a rallentare l’avanzata dell’Agenda. Solo le prese di posizione forti e incisive riescono a ottenere risultati duraturi. Il fronte conservatore non può accontentarsi come fatto finora di piccole gloriuzze tattiche, destinate a essere aggirate dalle ben più strutturate (e pazienti) politiche wokeiste. L’attacco deve avvenire in profondità, nell’ottica di colpire la logistica con cui si alimenta la strategia wokeista.

Il momento dunque pare essere giunto. E potrebbe non essercene un altro. L’uno-due delle elezioni politiche e locali ha letteralmente ridotto in stato confusionale la classe politica d’opposizione mentre la maggioranza senza precedenti di cui l’arco conservatore gode in Parlamento consente di poter intraprendere e vincere battaglie finora neppure considerate o appena sognate. Va innanzitutto messa da parte qualunque forma di collaborazionismo nei confronti dell’Agenda: concessioni come l’abolizione del termine “razza” dai documenti pubblici può apparire come insignificante solo a un’analisi superficiale. In realtà si sta concedendo alla sinistra fucsia il pericolosissimo precedente di una neolingua di Stato imposta per legge. E questo è solo uno dei tanti esempi di cedimento su battaglie considerate “di retroguardia” da un centrodestra non sufficientemente avveduto nei confronti della minaccia mortale portata dal wokeismo. Che al contrario è perfettamente consapevole delle “uova di drago” che sta lasciando alle spalle di un centrodestra distratto e convinto di star concedendo niente più che un contentino.

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Non è questo il momento di dar quartiere né di abbandonarsi ad abbracci da “larghe intese”. Al contrario, questa è l’ora di lanciare l’affondo. Fra le tantissime battaglie che possono essere affrontate e vinte per impedire alla sinistra fucsia di preparare la sua rivincita ne citeremo in questa sede solo tre: la riconquista del diritto alla libertà di parola, sostanziale per costringere la sinistra wokeista a confrontarsi sul piano di parità nel dibattito pubblico. Una battaglia su cui il Centro Studi Machiavelli ha stilato un dossier con proposte operative e che recentemente è stata rilanciata da Boni Castellane sulle pagine de La Verità, e che è a portata di mano del centrodestra grazie a una solida maggioranza in grado di far approvare perfino leggi costituzionali.

Guerra alla cancel culture fino alla vittoria

C’è poi il tema della cancel culture. Essa è uno strumento di propaganda per la sinistra fucsia in assenza di programmi realmente “di sinistra”. Se con opportuni provvedimenti si interdisse la possibilità di farne uso si spunterebbero parecchie delle frecce all’arco del fronte arcobaleno. Bene in questo senso la proposta attualmente in Parlamento di un inasprimento delle pene per il vandalismo sulle opere d’arte. Ma si può fare di più. Per esempio togliendo per legge la disponibilità della toponomastica storica (quella con più di cinquant’anni) dalle mani delle amministrazioni sociali, affinché si possano impedire azioni dallo squisito sapore propagandistico (e dalle ricadute gravi sulla coscienza nazionale degli italiani nel lungo periodo) quali sono la recente cancellazione di via Gabriele D’Annunzio a Reggio Emilia e le proposte di rinominare le strade “coloniali” avanzate dalle amministrazioni fucsia di Torino e Roma.

Infine, ma non per ultimo, il fronte della difesa della famiglia naturale. Affermare coi fatti e gli atti che la famiglia naturale – quella già indicata dai Padri Costituenti – è composta da un padre e una madre. Affermare la più rigida opposizione all’innominabile pratica dell’utero in affitto, equiparando la compravendita di neonati alla tratta degli schiavi. Affermare il principio di realtà contro il soggettivismo che alimenta trovate decostruzioniste come le “carriere alias” nelle scuole e nelle università.

Se l’arco conservatore non vuole condannarsi a fare da amministratore di condominio in attesa che la sinistra riprenda direttamente o col prossimo governo “tecnico” il timone della nazione per gettarla in pasto all’Agenda, complici i poteri forti, la macchina antinazionale dell’UE e l’inevitabile avvicendamento generazionale dei suoi elettori con i giovani imbevuti di wokeismo, deve rendersi conto dell’irripetibile occasione che gli si sta offrendo ora su un piatto d’argento, alzare lo stendardo di una rivoluzione conservatrice e gettarsi a testa bassa in questa battaglia.

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Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).