di Emanuel Pietrobon

Il 7 ottobre 2023 verrà ricordato come una data fondamentale nei libri di storia di domani. Non soltanto perché quel giorno è iniziata la prima guerra aperta tra Israele e Hamas, che in una sola settimana ha lasciato a terra oltre quattromila morti e più di dodicimila feriti da ambo i lati, ma per l’importanza epocale che le verrà assegnata negli anni a venire. Quel giorno, invero, la competizione tra grandi potenze è sbarcata con violenza nella tormentata Terra Santa.

Addestratori iraniani, hacker russi e armi cinesi

La guerra semi-simmetrica di Hamas contro Israele sancisce l’arrivo della competizione tra grandi potenze in Terra Santa e il divenire della rivalità irano-israeliana una faccenda (anche) di Russia e Cina, che dell’Iran (e dei suoi proxy) abbisognano per ridurre l’influenza degli Stati Uniti nello strategico Medioriente.

La ricetta segreta alla base dell’effetto sorpresa di quella che Hamas ha ribattezzato l’operazione Alluvione al-Aqṣā, del resto, presenta molti ingredienti multipolari: addestratori iraniani, hacker russi, armi cinesi e nordcoreane. Addestratori iraniani per preparare l’esercito di Hamas. Hacker russi (sembra) per accecare le difese israeliane negli istanti precedenti agli assalti in simultanea del 7/10 e (confermato) per colpire siti informativi e governativi durante il conflitto. Armi russe, cinesi e nordcoreane nell’arsenale di Hamas. E, infine, tante criptovalute.

Passato e futuro. Premodernità e postmodernità. Archeofuturismo. Hamas ha preparato la guerra a Israele costruendo armi artigianali, come razzi a partire da tubi progettati per trasportare acqua, e acquistando armamenti russi, cinesi e nordcoreani sui mercati neri internazionali, inclusi quelli invisibili agli occhi dei più: i darknet market.

Sui teatri di battaglia sono stati trovati i missili a spalla cinesi Qian Wei-1, sono stati intravisti dei possibili lanciarazzi nordcoreani F-7 HE-Frag e sono state utilizzate molte repliche cinesi del celeberrimo AK-47. Secondo l’analista militare Matteo Picone, che è stato contattato per un’opinione sul tema, “sono tantissime le armi cinesi nel contesto israelo-palestinese, in particolare i fucili d’assalto Type-56, ma servirebbero analisi di imagery intelligence per capire quante siano effettivamente”.

Parte delle armi di produzione cinese, nordcoreana (e russa) nelle mani delle Brigate Ezzedin al-Qassam è frutto dello storico contrabbando che le organizzazioni guerrigliere e terroristiche attive nei Territori Palestinesi hanno in piedi con Libano, Siria e Iran, ma un’altra parte è stata acquistata attraverso canali alternativi, neonati e ancor più invisibili ai radar dei servizi segreti: i darknet market.

Russi, cinesi e nordcoreani sono i signori dei darknet market illegali che vendono l’invendibile, dalle armi alle sostanze stupefacenti, dagli omicidi su commissione agli esseri umani, ed è proprio in questi luoghi deterritorializzati che Hamas, a partire dal 2019, ha messo piede con l’obiettivo di spendere il denaro racimolato in altri spazi intangibili, i criptomercati, come ricostruito dall’analista Elham Makdoum. Spenderlo in armi.

La questione palestinese secondo Pechino

Il ritorno di Pechino in Terra Santa non è che un déjà-vu. Oggi le armi made in China abbondano nelle mani dei soldati di Hamas, durante la Guerra Fredda i combattenti dell’Armata rossa giapponese prestavano manovalanza al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e la Corea del Nord addestrava l’esercito di Yasser Arafat.

Geostrategia e geoeconomia si mescolano nella grande visione di Pechino per il Medioriente. La Palestina è una spina nel fianco di Israele, dunque può essere utilizzata per disturbare, per colpire indirettamente e persino per distrarre gli Stati Uniti. La Palestina è la causa di ogni musulmano, in particolare degli arabi, dunque può essere agitata per vincere le simpatie della umma. Subbuglio in Israele può servire per sabotare il progetto rivale della Belt and Road Initiative, il Corridoio economico India-Medioriente-Europa, le cui merci dovrebbero transitare dal porto di Haifa.

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La Cina ha (ri)messo piede in Terra Santa, dalla parte della Palestina, come durante la (prima) Guerra fredda. Il sistema mediatico, come ai tempi del confronto del 2021, sta offrendo a lettori e spettatori una narrazione esclusivamente filopalestinese. La diplomazia ha approfittato degli eventi per rispolverare la questione della soluzione binazionale, accodandosi alla richiesta di cessate il fuoco della Russia, e ha annunciato il prossimo invio di aiuti umanitari ai gazesi.

La Palestina è un luogo che mette Russia, Cina e Iran d’accordo. La Russia deve punire Israele per la scelta di campo nella guerra in Ucraina e ricambiare i tanti favori ricevuti dall’Iran, che in Siria e in Ucraina ha agito come un alleato. L’Iran vuole boicottare l’Alleanza di Abramo e utilizzare la questione palestinese per avvicinarsi al resto della umma. La Cina anela a strumentalizzare le tensioni israelo-palestinesi per farsi spazio nella umma, da qui il proposito di mediare tra i due – che sarebbe un successo anche in caso di fallimento –, nella consapevolezza che nei BRICS+ sarà presente molto Islam e che il sogno della Transizione multipolare, ovvero di un mondo postamericano, passa dalle terre insanguinate del Medioriente.

L’orizzonte mediorientale

La competizione tra grandi potenze è appena sbarcata in Terra Santa e premette e promette di provocare terremoti geopolitici in Medioriente, regione che negli anni a venire subirà un crescendo di pressioni multidimensionali a causa dei bracci di ferro tra Washington e la triade Mosca-Pechino-Tehran. La normalizzazione irano-saudita era il primo passo. La riaccensione della questione palestinese il secondo. I prossimi saranno i tentativi di produrre un Great Rapprochement multifunzione tra le potenze-guida dell’islamosfera, cominciando dall’ingresso in simultanea di Abu Dhabi, Cairo, Riad e Tehran nei BRICS, di cooptare Ankara nello schema multipolare, di riabilitare Damasco e di sintonizzare yuan e riyal.

Washington è in Medioriente per contenere Tehran, per evitare sovraestensioni di Ankara e per non far crollare il matrimonio arabo-israeliano. Pechino e Mosca sono in Medioriente per dare linfa vitale a Tehran e per reclutare la umma nella causa multipolare. La Palestina sarà uno dei luoghi principali in cui i blocchi scaricheranno le tensioni accumulate qui e altrove. E che un giorno esploderanno di nuovo.

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Analista geopolitico, consulente di politica estera e scrittore. Laureato in Area and global studies for international cooperation (Università di Torino), si è formato tra Italia, Polonia, Portogallo e Russia. Specializzato in guerra ibride, questioni latinoamericane e spazio post-sovietico.