di Fabio Bozzo

Una guerra tira l’altra?

L’invasione putiniana dell’Ucraina, tra le decine di conseguenze geopolitiche che ha generato, ha fatto anche sorgere una domanda spontanea: e se la Cina, approfittando della distrazione dell’Occidente, tentasse l’invasione lampo di Taiwan, onde coronare il suo settantennale sogno di conquista marxista dell’isola “ribelle”?

La domanda di per sé è legittima, per tre motivi.
In primo luogo, Pechino negli ultimi mesi non ha fatto che aumentare le sue provocazioni militari e le sue minacce verbali oltre i limiti del bullismo diplomatico. In seconda battuta, se una guerra lampo cinese contro Taipei dovesse avere successo è evidente che l’Occidente non interverrebbe per attuare una guerra di liberazione, ma scenderebbe in campo se la resistenza taiwanese si dimostrasse abbastanza prolungata. Questo perché, brutto a dirsi ma vero, per gli Stati Uniti Taiwan è più importante della stessa Ucraina. Il terzo motivo è che la leadership di Xi Jinping appare (non è detto che lo sia davvero) meno salda sia all’interno sia all’estero rispetto all’anno scorso e la storia insegna (da ultimo proprio in Ucraina) che i dittatori in crisi interna sono i più bombaroli.

Ma una conquista lampo di Taiwan da parte delle Forze Armate della Cina comunista è realmente possibile? O l’enorme operazione anfibia ed aeronavale necessaria si rivelerebbe un bagno di sangue preliminare al decisivo intervento degli USA e della loro enorme alleanza nell’Indo-Pacifico (che va dal Giappone all’India, passando per l’Australia e la Corea del Sud)? Per rispondere a questa domanda dobbiamo analizzare la geografia del potenziale campo di battaglia e le disponibilità militari delle due “Cine” (in quanto ufficialmente e con sempre meno convinzione Taiwan si proclama legittima erede del Governo della Repubblica di Cina di Sun Yat-sen e Chang Kai-shek).

La geografia: alleato numero uno di Taiwan

Immagine satellitare di Taiwan.

Partiamo dal territorio. Taiwan ha una superficie di 36.197 chilometri quadrati (per avere un confronto la Sicilia ne conta 25.832). Due terzi dell’isola sono montagnosi, mentre il restante terzo pianeggiante è quello rivolto verso la Cina continentale. Questa è una sfortuna, tuttavia anche nella zona pianeggiante le zone adatte ad uno sbarco in massa sono limitate, poiché gran parte della costa è urbanizzata e perché di fronte alla parte meridionale vi è il piccolo arcipelago delle isole Penghu/Pescadores, un istrice fortificato che per una forza d’invasione cinese di quel settore sarebbe troppo pericoloso lasciarsi alle spalle. In alternativa alla loro conquista i cinesi dovrebbero tentare lo sbarco solo nella parte settentrionale, riducendo quindi il fronte d’attacco proprio alla parte di Taiwan dove le montagne si avvicinano di più alla costa occidentale. Ovviamente le potenziali zone di sbarco sono un tappeto di mine anticarro, antiuomo ed antinave.

Altri piccoli arcipelaghi sui quali sventola la bandiera di Taipei sono le Isole Quemoy (che in alcuni punti distano meno di cinque chilometri dal territorio della Cina rossa), Matsu (meno di dieci chilometri dal continente) e Wuqiu (circa 17 chilometri dal nemico). Questi tre arcipelaghi hanno due caratteristiche: formano una sorta di ventaglio che da Nord a Sud sorveglia tutte le realistiche rotte d’avvicinamento a Taiwan e, neanche a dirlo, sono dotate di notevoli guarnigioni e fortificazioni. In breve un’invasione da parte delle Forze Armate di Pechino dovrebbe obtorto collo prima conquistare almeno due di questi avamposti, presumibilmente quelli centrale e settentrionale.

Come avverrebbe un’invasione cinese

L’impresa di per sé sarebbe fattibile, ma al costo di pesanti perdite e col gravissimo intoppo di perdere l’effetto sorpresa contro l’obbiettivo primario, dando così il tempo ad un intervento americano ed alleato.

Nell’ipotesi che questi primi ostacoli venissero conquistati o imprevedibilmente aggirati le forze di Pechino dovrebbero superare lo Stretto di Taiwan, che separa l’isola dal continente. Parliamo di un braccio di mare relativamente tempestoso che nel punto più stretto misura 70 miglia nautiche (130 chilometri). Per avere un paragone lo Stretto di Dover, che l’esercito di Hitler non poté attraversare, divide la Gran Bretagna dal continente con poco più di 17 miglia nautiche (32 chilometri). Nello Stretto di Taiwan le maree, fenomeno da tenere sempre in considerazione nelle operazioni anfibie, possono superare i quattro metri, mentre la profondità non è quasi mai superiore ai 150 metri. Quest’ultimo dato rappresenta un grosso vantaggio per i difensori, in quanto permetterebbe a numerosi piccoli sottomarini o droni subacquei di posarsi sul fondo (divenendo difficili da individuare coi sonar), da cui colpire di sorpresa la flotta d’invasione.

Immaginiamo ora che l’ipotetica forza d’invasione cinese abbia conquistato o aggirato le piccole “isole scudo” e superato lo Stretto, ovviamente dopo gravi perdite. Davanti ai combattenti della Cina rossa si troverebbe il premio finale: l’isola di Taiwan. E qui il gioco si farebbe veramente duro. Come abbiamo visto la costa rivolta verso l’Asia è pianeggiante, ma in gran parte urbanizzata. Questo ridurrebbe molto le zone di sbarco, in quanto già la Seconda Guerra Mondiale ha dimostrato che uno sbarco condotto direttamente contro un porto conduce al massacro degli attaccanti (si pensi a Dieppe), mentre l’invasione russa dell’Ucraina sta mostrando al mondo l’efficacia delle armi anticarro portatili nei combattimenti urbani. Ma zone di sbarco più limitate, a loro volta, portano in dote un grave svantaggio, ossia l’eccessiva concentrazione della forza d’invasione, il che permetterebbe ai difensori taiwanesi di sparare “nel mucchio”, con conseguenze disastrose.

Se anche questi colli di bottiglia fossero superati con successo dai cinesi (e a questo punto le perdite comincerebbero davvero ad essere preoccupanti) le forze di Pechino dovrebbero conquistare la parte occidentale di Taiwan, quella dove si trovano le città principali. Queste verrebbero trasformate dagli eredi di Chang Kai-shek in una gigantesca Stalingrado, il che costringerebbe la Cina a scegliere tra due opzioni ugualmente perdenti: conquistarle d’assalto, ad un costo militare e sociale non sostenibile nemmeno per il Dragone Giallo, oppure raderle al suolo con ogni tipo di bombardamento convenzionale. La seconda opzione risparmierebbe la vita di molti soldati, ma avrebbe anch’essa un elevato costo materiale, sarebbe un disastro propagandistico internazionale da far apparire il martirio di Mariupol una scampagnata, darebbe tutto il tempo agli Stati Uniti di intervenire e, soprattutto, permetterebbe alle superstiti forze taiwanesi di schierarsi al meglio tra le montagne che coprono i due terzi dell’isola.

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Passiamo ora all’analisi delle forze contrapposte, immaginando sempre che la prima fase del conflitto (l’assalto iniziale) sia limitato a Cina e Taiwan. Questo perché è palese che un intervento degli Stati Uniti (sostenuti in diversa misura da Australia, Canada, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda, Gran Bretagna, Filippine e forse India e Vietnam) avrebbe sul regime comunista di Pechino lo stesso effetto che le Guerre dell’Oppio ebbero sulla dinastia Manciù.

La Cina comunista, avente 1.412.600.000 abitanti, dispone di circa 4.015.000 unità addestrate, tra personale attivo e riservisti (fonte: International Institute for Strategic Studies). Probabilmente i numeri reali sono un po’ più alti, senza considerare il fatto che con una tale massa di abitanti la Cina ha un potenziale di riserva infinito. Sottolineiamo potenziale, perché nella guerra attuale un soldato non addestrato è solo carne da macello e perché anche la società cinese non è più disposta a subire le perdite patite nella Guerra di Corea: l’era delle ondate umane contro la potenza di fuoco occidentale è finita anche per loro.

Un’operazione di sbarco contro Taiwan richiederebbe pertanto lo schieramento di quasi tutte le truppe addestrate, supportate da altrettante riserve di dubbio valore bellico e necessitanti di un apparato logistico immenso. Lo schieramento di una tale mole di uomini e mezzi rappresenterebbe un costo gravoso sull’economia cinese, la quale ha visto tempi migliori, e farebbe venir meno il fondamentale effetto sorpresa. Dobbiamo ricordare infatti che l’operazione anfibia per eccellenza, lo Sbarco in Normandia, godette di un relativa sorpresa tattica. Per ottenerla la pianificazione e le operazioni di depistaggio degli Alleati furono mastodontiche. Oggi tutto questo non è possibile, poiché con i satelliti Taiwan ed i suoi amici possono seguire gli spostamenti delle singole navi e dei singoli carri armati. Pertanto le forze di Pechino sarebbero destinate a scontrarsi con una difesa pronta ad accoglierle e che per essere sopraffatta (alla luce dei fattori che abbiamo già visto) dovrebbe trovarsi in uno stato di inferiorità numerica almeno di dieci ad uno: numeri che Pechino non è in grado di radunare e lanciare in una campagna anfibia.

Per i signori della Città Proibita le cose vanno meglio in campo aeronavale, dal momento che marina ed aviazione godono di una netta superiorità numerica rispetto a quelle taiwanesi (rispettivamente 350 unità navali di ogni tipo contro 117 ed oltre 3.370 mezzi aerei contro 600). Storicamente i grandi numeri cinesi venivano ampiamente compensati dalla migliore tecnologia occidentale dei taiwanesi, ma in questo campo Pechino a suon di investimenti ha parzialmente colmato il gap.

Di fronte a questo svantaggio Taiwan negli anni ha sviluppato tre strategie: importare dall’Occidente armi di superiore livello tecnologico, creare una propria industria militare di buon livello che riduca la dipendenza dagli aiuti esteri e concepire la “strategia dell’istrice”. Quest’ultima, anche detta della “bolla”, prevede di concentrare le forze aeronavali di Taipei intorno all’isola, operando di concerto con le difese antiaeree e antinave basate a terra. Questo costringerebbe gli aerei degli invasori ad operare sopra o in prossimità al territorio nemico, col risultato di doversi guardare anche dal fuoco proveniente da terra e di perdere i propri piloti salvatisi col paracadute, che verrebbero fatti prigionieri, mentre quelli taiwanesi lanciatisi sopra la madrepatria sarebbero recuperati. L’insieme di questi fattori rendono la strategia “istrice” o “bolla” simile a quella con cui i britannici riuscirono a spuntarla durante la Battaglia d’Inghilterra, pur essendo in sottonumero.

Conclusioni

Concludiamo la nostra analisi con le forze di terra taiwanesi. Con alle spalle 23.452.000 abitanti, l’esercito ed il Corpo dei Marines della Cina Nazionalista dispongono di circa 165.000 soldati, ai quali in caso di necessità si aggiungerebbero 1.657.000 riservisti. Si tratta di truppe ottimamente addestrate ed armate, altamente motivate e condotte da ufficiali ben preparati. In caso d’invasione comunista 1.822.000 combattenti avrebbero tutti i vantaggi geografici, tecnologici e tattici che abbiamo visto. Pertanto non è assurdo dire che Pechino, per sconfiggerli in tempi ragionevolmente veloci, dovrebbe attaccare con almeno cinque milioni di soldati, che al momento la Cina non è in grado di trasportare incolumi oltre lo Stretto di Taiwan, che a loro volta necessiterebbero di un treno logistico tre volte superiore al loro numero. Cifre attualmente eccessive anche per il Dragone Giallo che se, per miracolo, fossero comunque assemblate andrebbero incontro ad una probabile sconfitta e ad un sicuro bagno di sangue.

Sintesi: per il momento, e speriamo ancora per molto, Taiwan per la Cina resta un osso troppo duro.

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Laureato in Storia con indirizzo moderno e contemporaneo presso l'Università di Genova. Saggista, è autore di Ucraina in fiamme. Le radici di una crisi annunciata (2016), Dal Regno Unito alla Brexit (2017), Scosse d'assestamento. "Piccoli" conflitti dopo la Grande Guerra (2020) e Da Pontida a Roma. Storia della Lega (2020, con prefazione di Matteo Salvini).