di Giuseppe Morabito

Lo storico braccio di ferro tra Pechino e Taipei

Il Partito Comunista Cinese ha – da sempre e indipendentemente da quale governo stesse tenendo le redini della Repubblica di Cina (Taiwan) – sostenuto la necessità di annettere l’isola, facendo forza sul principio “una sola Cina”. In virtù del quale l’isola è considerata da Pechino una mera “provincia ribelle”. I giovani cinesi della Madrepatria continentale sanno che dovranno combattere (e morire) per convincere i ribelli a divenire parte di quella formula che prevede “Un Paese, Due Sistemi”. Una formula che vedrebbe il governo democratico di Taipei arrendersi a Pechino e consentirebbe (a similitudine dell’odierna realtà che si vive a Hong Kong) di trasformare la “provincia” in un’isola occupata e amministrata con le regole del regime comunista.

Al momento, per fortuna, a Taipei c’è la certezza che chiunque, al governo, accettasse la teoria di Pechino sarebbe visto come un traditore della Patria e sarebbe costretto alle dimissioni. I taiwanesi si sentono parte di un Paese indipendente che non è, e non vorrebbe essere, controllato di un regime comunista. La stragrande maggioranza dei taiwanesi pensa tuttora che Cina Popolare e Taiwan rappresentino due differenti Paesi. Molti di loro sarebbero anche pronti a dichiarare l’indipendenza formale, pure a rischio di un attacco distruttivo da parte di Pechino.

La posizione della Cina Popolare rimane sempre la stessa: “La Repubblica di Cina non esiste più da quando ha perso la guerra civile nel 1949, cessando di essere uno Stato sovrano”.  Negli anni è apparso evidente come per Pechino l’obiettivo non sia quello di mantenere lo status quo e l’armonia, ma solamente l’annessione dell’isola a qualsiasi costo. Il Partito Comunista ha continuato ideologicamente, durante le sue riunioni oceaniche, a dare mandato al governo di Pechino di usare le maniere forti: sia mantenendo la minaccia missilistica verso l’isola sia investendo in modo importante nello strumento militare. A ribadire, se ce ne fosse ancora bisogno, che le parole che devono guidare la politica nello Stretto sono due: “Deterrenza e Intimidazione”.

Molti analisti pensano che più i governi di Taipei cercano di ridurre la tensione con Pechino, più la Cina Popolare insiste per avere l’isola sotto il suo controllo. Tuttavia l’esempio di Hong Kong, col disconoscimento dei diritti umani e della democrazia nella “regione amministrativa speciale”, indica ai taiwanesi quanto sia impraticabile sperare che, in caso di riunificazione, ci sia ancora spazio per autodeterminarsi.

Intrecci tra est e ovest: Ucraina e Taiwan, Russia e Cina

Ora l’attenzione del mondo ricade sulla Russia, la fine del conflitto in Ucraina e lo sfruttamento immediato e futuro delle risorse energetiche di Mosca, nonché sull’imminente crisi per la carenza sul mercato dei cereali ucraini (bloccati dalla guerra) e russi (bloccati dalle sanzioni). La filiera alimentare mondiale inizia a mostrare i primi segnali di crisi, in quanto in Ucraina non si svuotano i magazzini, non si consegna, non si semina e non si raccoglie, e dalla Russia ci sono problemi ad assicurare consegne all’estero. La Cina Popolare a breve potrebbe organizzarsi per essere il primo cliente energetico e alimentare di Mosca.

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Nel frattempo, Pechino sembra aver manifestato l’interesse strategico ad ampliare il suo arsenale nucleare per usarlo come deterrente in caso di guerra mondiale o, meglio, in chiave anti-USA (lo rivelano delle foto satellitari). Pechino ha fatto sua la strategia/lezione russa: con una minaccia  nucleare credibile si “rimane” alla guerra convenzionale. In sintesi, Pechino ha deciso di aumentare lo strumento nucleare per impedire a Washington di intervenire qualora invadesse Taiwan.

Oramai appare, inoltre, palese che Pechino non desidera il controllo di Taiwan per le mere rivendicazioni storico-ideologiche, fino ad ora evidenziate, ma soprattutto per avere il controllo dei microprocessori. Senza i microprocessori l’industria mondiale si ferma e la Repubblica di Cina-Taiwan ne è il primo produttore per quantità e qualità. Taiwan invasa e in mano alla Cina Popolare darebbe a Pechino il controllo mondiale della produzione elettronica.

Il caso della visita di Nancy Pelosi a Taiwan

Per ora il Presidente cinese Xi traccia “linee rosse”, come quella che ha indicato non superabile, nei giorni scorsi, per la visita a Taipei della speaker del congresso USA, Nancy Pelosi. Il ministro degli Esteri di Taiwan Joseph Wu ha respinto l’obiezione di Pechino alla visita, dichiarando: “È brutto contrastare l’operato di un’icona del Congresso americano e paladina della democrazia. È meglio che la Cina Popolare smetta di sostenere la Russia, minacciare Taiwan e inizi a liberare le persone. Libertà e diritti umani hanno un buon sapore”.

La visita della Pelosi assumerebbe un importante significato in Occidente, perché molti analisti accusano Pechino di sostenere la guerra della Russia contro l’Ucraina e gli osservatori stanno seguendo da vicino le mosse della Cina Popolare nei confronti di Taiwan. Pechino potrebbe essere tentata di seguire la scia delle motivazioni utilizzate da Mosca per l’aggressione contro Kiev, anche se ostinatamente sostiene che le sue situazioni non siano simili né comparabili.

La missione della Pelosi  è stata, alla fine,  posticipata e la ragione che ha “sbloccato” la controversia diplomatica è stata …di provenienza cinese. Infatti, ironia della storia, la speaker del Congresso non è andata a Taipei perché ammalatasi a causa di quel virus che ha portato la pandemia in tutto il mondo per l’imperizia (eufemismo) della Cina Popolare: il Virus di Wuhan o, per chi vuole evitare reazioni di Pechino, la Covid-19.

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Senior Fellow del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Generale di Brigata (aus.) dell'Esercito Italiano, membro del Direttorato della NATO Defence College Foundation. Per anni direttore della Middle East Faculty all'interno del NATO Defence College.