di Alessandro Previdi

Con una lettera aperta pubblicata su “Harper’s Magazine” 150 fra artisti, docenti, scrittori e giornalisti di area liberal, progressista e democratica hanno denunciato gli eccessi della cultura della rimozione che sta montando prepotente sull’onda lunga delle proteste per la morte di George Floyd. Tra questi pochi nomi noti al grande pubblico ma rilevanti: Noam Chomsky, J. K. Rowling, Francis Fukuyama fra gli altri. A fargli compagnia un gran numero di professori e studiosi provenienti dai migliori campus americani, comprese Stanford, Harvard e Princeton. Moltissimi di questi ultimi poi sono giovani e di origine mediorientale, indiana, nordafricana, non esattamente lo stereotipo del vecchio barone universitario bianco.

Preso atto di questa lettera, cosa può dedurne il mondo conservatore o “di destra”, per usare un termine chiaro a tutti? Qualcosa di buono e qualcosa di meno buono.

Una prima osservazione, se non positiva, alla quale quantomeno guardare con ottimismo: il fronte progressista non è un monolite. Non lo è mai stato, chiaramente, ma questa ultima uscita rappresenta una piccola crepa che potrebbe aprire la strada a un’adesione più ampia. Forse o forse no. Di contro, un’osservazione negativa: piano a cantar vittoria. Si è dovuti arrivare allo stato attuale per strappare a poco più di un centinaio di figure una lettera di dissociazione. Si è dovuti arrivare al punto in cui negli USA – e a cascata anche in Europa – orde poco meno che barbariche pretendono di riscrivere la storia.

Il progresso da un clima di rigetto verso la memoria dedicata a figure controverse – perché coinvolte a vario titolo in questioni di schiavismo, razzismo, violenze – a un sentimento generalizzato di astio per ciò che è bianco è stato tanto estremo quanto fulmineo. Non è servito aspettare anni di sviluppo ragionato di questa iconoclastia perché dall’odio verso Cristoforo Colombo si passasse all’odio verso Cristo.

È una verità scomoda da ammettere per i media mainstream ma i fatti parlano molto più forte dei detti / non detti, delle mezze affermazioni, delle dichiarazioni “malinterpretate”; tanto le masse quanto le élite legate al movimento BLM covano in sé una forma di odio violento verso un’idea precisa di male che si incarna nel bianco, nel cristianesimo, nella storia occidentale, nell’eterosessualità che diventa con fantasia l’“eteronormatività”. Che la grandissima parte di queste stesse folle siano composte di giovani bianchi è solamente un dettaglio che aggiunge ironia amara. Anzi, è sintomo di quanto anni se non decenni di martellamento propagandistico abbiano dato i loro frutti: un martellamento al quale hanno partecipato in maniera indistinta gli intellettuali progressisti, democratici, antirazzisti che oggi piangono perché temono di essere travolti in quanto non strettamente ortodossi a dettami in continua mutazione e sempre più radicali.

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J. K. Rowling, solo per fare un esempio, ha coccolato per anni con banalità squallide il proprio pubblico millennial; Margaret Atwood ha creato un intero universo su assurde fantasie di dominio patriarcale ed esaltazione del vittimismo femminile il cui immaginario è diventato manifesto estetico per vari gruppi femministi. Ora entrambe scoprono che la nozione stessa di femminile è messa in pericolo dal transgenderismo militante divenuto l’ultimissimo feticcio della dissoluzione, il vero protagonista della lotta sessuale dei neonati anni ‘20. Che dire se non “ben svegliate principesse”?

Cosa fare quindi con i liberal spauriti dalle folle della propria medesima parte politica? Nulla se non porta a risultati concreti. Certamente non serve solidarizzare, guai a tendere la mano, a cercare o chiedere comprensione; non se ne riceverebbe alcuna. Sopra al conto trovarsi ad elemosinare col cappello in mano sarebbe una mancanza pietosa di dignità. Da parte del mondo liberal non è mai esistita una mobilitazione in difesa di un – per esempio – Roger Scruton cacciato dal suo ruolo di consigliere governativo con una scandalosa intervista manipolata da un giornalista che fu ritratto a festeggiare su Instagram per il licenziamento.

Lottare per portare qualcuno di costoro dalla propria parte? Improbabile per non dire impossibile e tentare sarebbe auspicabile solo da una posizione di forza; posizione di forza che in questo momento l’area “di destra” non ha, inutile farsene illusioni. Passato questo momento torneranno a demonizzarci nei loro racconti, a deriderci nelle loro narrazioni, a fare del conservatorismo anche più blando e modesto il diavolo incarnato.

L’unica, peraltro rara, possibilità nella quale cercare un avvicinamento momentaneo fra conservatori e progressisti dissidenti sarebbe quella possibile e realizzabile nelle aule parlamentari qualora dovesse servire ad evitare la promulgazione di normative distruttive, proposta di legge Zan docet. Tutto il resto sarebbe piangere miseria nella casa di chi ci ha sempre disprezzati e ci disprezza anche ora. Tirare dritto, affilare le proprie armi – soprattutto quelle culturali – e pensare a costruire mura più solide intorno al proprio castello è l’unica dottrina alla quale aderire.

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Giurista schmittiano e studioso di geopolitica