Riportiamo di seguito, in traduzione italiana, ampi stralci del discorso annuale sulla stato della nazione, che il primo ministro ungherese Viktor Orban ha pronunciato il 12 febbraio scorso davanti al Parlamento di Budapest. In quest’occasione ha parlato della gestione della pandemia, della situazione critica in Bosnia e in Ucraina, delle tensioni interne all’UE, dell’agenda “verde” di Bruxelles e molto altro ancora. (NdR)

Buongiorno, egregio Presidente dell’Assemblea Nazionale, gentili Signore e Signori!

È da tanto tempo che non ci vediamo, è un piacere essere di nuovo insieme. L’anno scorso, a causa della pandemia del coronavirus, è saltato il nostro incontro tradizionale. Forte è la tentazione di adagiarci sulla felicità del momento; invece dobbiamo parlare di cose serie: dopo tutto siamo a cinquanta giorni dalle elezioni. […]

La gestione della pandemia

Una pandemia che colpisce così dal nulla è anche una prova di carico, uno stress-test. Mette ognuno di noi sotto pressione. Mette sotto pressione anche le politiche e le economie dei Paesi. Avete potuto vedere anche voi che lo Stato ungherese se l’è cavata brillantemente. Il Parlamento è rimasto in seduta tutto il tempo, ha fornito al governo la libertà d’azione e gli strumenti necessari per una difesa efficace e, allo stesso tempo, è riuscito a tenere la situazione sotto controllo. Le autorità epidemiologiche, gli ospedali, il troppo spesso disprezzato e sottovalutato sistema sanitario ungherese hanno dato un’eccellente prova di sé; la pubblica amministrazione, la polizia e i militari hanno lavorato insieme unitamente, velocemente e con disciplina. Il Governo è rimasto unito e calmo, la capacità di agire del Paese non è stata in pericolo nemmeno per un momento, il nuovo ordine costituzionale alla guida dello Stato (introdotto nel 2011) ha superato la prova d’esame con successo.

In Europa i governi sono caduti uno dopo l’altro, coalizioni si sono sciolte, le norme cambiavano con un ritmo impossibile da seguire, migliaia di dimostranti venivano fermati dalle forze dell’ordine. La fiducia della gente è lentamente ma inesorabilmente evaporata. Da noi non è successo niente del genere. A casa nostra siamo riusciti a mantenere, anzi anche aumentare la fiducia pubblica, perché la maggioranza delle persone ritiene che l’Ungheria si sia difesa bene.

Dobbiamo anche dire – perché è la pura verità – che l’Ungheria è stata assalita non solo dal virus, ma anche dalla Sinistra, che sperava di far cadere il governo. Quando c’era bisogno di chiudere, pretendevano di aprire, quando si doveva aprire, richiedevano la chiusura; gridavano alla dittatura, organizzavano campagne di diffamazione all’estero, diffondevano video e notizie false e allarmistiche. Questa è una grave irresponsabilità, o anche qualcosa di più. Non esitiamo ad usare parole forti. Sfruttare la paura di milioni di famiglie in una pandemia per far cadere il governo è indifendibile di fronte a qualsiasi tribunale. Il giudizio arriverà due volte: una il 3 aprile [data delle elezioni, ndr], l’altra per ordine del buon Dio.

La situazione economica

Dal 2010 non solo abbiamo riorganizzato lo Stato, ma abbiamo anche costruito una nuova economia ungherese. Anche quest’ultima è stato messa alla prova. Nel 2010 abbiamo deciso di dare alle persone lavoro invece che sussidi. Chi vuole lavorare ha un lavoro. Nonostante l’epidemia, mai così tante persone hanno lavorato in Ungheria dal cambio di regime, con oltre un milione di lavoratori in più rispetto al governo di Gyurcsány. Inoltre stanno lavorando ad alto livello, perché abbiamo bisogno di produrre beni e servizi competitivi che possano essere venduti sui mercati internazionali. Si tratta di una questione vitale, perché abbiamo costruito un’economia basata sulla vendita di prodotti all’estero, cioè sulle esportazioni. L’anno scorso siamo riusciti a battere clamorosamente un altro record: il volume delle esportazioni dell’Ungheria è salito a 119 miliardi di euro. Per metterlo in prospettiva, siamo al 95° posto nel mondo in termini di popolazione, ma il volume del nostro export è al 34° posto. E in termini di esportazioni pro capite, siamo ora 27esimi. Teniamo conto di tutto questo!

Nel 2010 abbiamo deciso di “magiarizzare” i settori chiave. Abbiamo perciò ridotto la proprietà straniera sotto la soglia del 50% nel sistema bancario, nei media e anche nel settore energetico. Vorrei ricordare a tutti che siamo partiti da 60% nel settore bancario, 66% nei media e 71% nell’energia; ma oggi la proprietà ungherese è diventata la maggioranza ovunque. Durante la pandemia del coronavirus – e non è cosa da poco – siamo riusciti a mantenere ungherese ciò che avevamo preso in mano ed abbiamo persino continuato a riprenderci le società chiave […]. Forse ricorderete che avevamo già stabilito in precedenza che le società ungheresi che operano all’estero devono portare a casa tanto profitto quanto le società straniere che operano da noi ne portano fuori dall’Ungheria. Questo è l’unico modo per mantenere l’economia ungherese in equilibrio. Tale obiettivo è ancora molto lontano, ma non siamo arretrati neanche durante l’epidemia, siamo andati avanti, non indietro. […] Tutto questo non è da poco, ma da parte mia considero il più grande risultato dell’economia ungherese durante la crisi il fatto che le famiglie non abbiano dovuto tirare il freno a mano. Infatti, è stata lanciata l’esenzione fiscale per chi ha meno di 25 anni, alle famiglie viene riconosciuto il rimborso dell’Irpef ed è appena arrivata pochi giorni fa la tredicesima mensilità per le pensioni.

[…] Come abbiamo sempre fatto dal 2010 siamo andati per la nostra strada durante la crisi, non usando le ricette di Bruxelles per far ripartire l’economia, ma il rimedio Matolcsy-Varga [governatore della banca centrale e ministro delle finanze, ndr]. Non abbiamo schiacciato il freno, non siamo corsi ai ripari, ma abbiamo coraggiosamente sorpassato in curva. Abbiamo rischiato. Il livello di rischio non era da poco, ma si sa, in realtà non lo è mai. In politica economica, prima o poi, i “prudenti” finiscono sempre in coda. È come andare in bicicletta. Se non si pedala, si cade. Be’, noi non siamo caduti. Nel 2021 abbiamo già avuto una crescita del 7%, più che compensando il calo dovuto alla pandemia. Siamo riusciti a mantenere il debito pubblico al di sotto dell’80% ed entro la fine dell’anno lo avremo portato al 77%. Nel frattempo, il debito pubblico della Francia è salito al 115%, quello spagnolo al 120% e quello italiano al 154%. E poi c’è quello che pochi avrebbero pensato che sarebbe mai successo (io certamente no): il debito pubblico dell’Austria ha superato quello dell’Ungheria. Nonostante la pandemia, il salario minimo aumenterà del 20% nel 2022 e le tasse sul lavoro sono state ridotte del 4%.

I venti di guerra

Ci sarà una guerra? Adesso ne parlano tutti. La situazione è cupa e fragile.

Anche voi conoscete la geografia: l’Ungheria è circondata da regioni instabili, come i Balcani occidentali e l’Ucraina. Nei Balcani sono presenti anche i big: gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Russia, i Turchi. E tutto questo ai nostri confini. Non dimentichiamo che la Bosnia si trova a 70 chilometri dai confini meridionali dell’Ungheria e che attualmente 665 soldati ungheresi sono stanziati nei Balcani. La ricetta per la riconciliazione e la pacificazione dei Balcani è semplice: una rapida adesione all’UE, un’intesa con la Serbia e un Piano Marshall dall’UE. Peccato che questo non stia succedendo.

L’Ungheria si è rafforzata negli ultimi anni. Ecco perché vi dico che non staremo a guardare a braccia conserte mentre le strategie politiche sbagliate delle superpotenze causano danni nelle nostre vicinanze. Né Berlino né Bruxelles possono perseguire una politica balcanica contro gli ungheresi, e nemmeno senza di noi. Non accetteremo decisioni di Bruxelles contrarie agli interessi dell’Ungheria. E poiché è nell’interesse dell’Ungheria portare la pace, lo sviluppo economico e la regione stessa nell’Unione Europea, sono da escludere sanzioni, politiche punitive, lezioncine o qualsiasi altro tipo di arroganza da parte delle grandi potenze. Dobbiamo parlare con i Balcani, non dei Balcani ed agire insieme a loro. I Balcani, come sempre, sono infinitamente complicati, ma una soluzione pacifica che sia accettabile per tutti è possibile.

Tuttavia, il conflitto tra Russia e Ucraina è più urgente. Anche qui gli interessi dell’Ungheria sono chiari. Innanzitutto la guerra deve essere evitata. […] A causa delle dimensioni, della forza militare ed economica dell’Ungheria, non siamo in grado di esercitare un’influenza decisiva o almeno imprescindibile sulle relazioni tra l’Unione Europea, l’Occidente e la Russia. Ma questo non è motivo di inerzia.

Il rapporto con la Russia

Noi giochiamo a carte scoperte e non abbiamo mai nascosto il fatto che riteniamo sbagliata la strategia di Bruxelles e le sanzioni contro la Russia un vicolo cieco. Sono convinto che senza la cooperazione economica con la Russia, l’Europa rimarrà anemica e pallida. Astenersi dalla cooperazione, consegnando quindi le enormi opportunità economiche completamente ai cinesi, è un errore strategico. Ma negli ultimi anni mi sono reso conto anch’io che non possiamo cambiare la direzione della politica estera dell’Unione Europea e, quindi, anziché condurre dibattiti inutili, abbiamo sviluppato e gestiamo un modello ungherese. Siamo membri della NATO e dell’Unione Europea e allo stesso tempo manteniamo un rapporto politico e relazioni economiche equilibrate con la Russia. L’esempio ungherese dimostra che questo è possibile.

La guerra (sia fredda sia calda), le tensioni e i conflitti est-ovest finora hanno portato solo problemi, sofferenze e gravi perdite all’Europa centrale e all’Ungheria. […] Certo: anche noi ungheresi abbiamo imparato che la sicurezza non è una questione di amicizia ma di forza. Ne derivano due cose. Innanzitutto, deve esserci sempre uno spazio adeguatamente largo e profondo tra l’Ungheria e la Russia. Questo è l’odierna Ucraina, la cui indipendenza e vitalità sono perciò un interesse diretto dell’Ungheria. In secondo luogo, la forza militare dell’Europa deve essere almeno paragonabile a quella della Russia; finché non sarà così, non saremo noi europei a decidere la sicurezza dei popoli d’Europa, ma gli americani e i russi. Pertanto, l’Ungheria sostiene lo sviluppo delle capacità militari europee e una forza di difesa comune.

A tal fine, abbiamo intrapreso l’ammodernamento delle forze armate ungheresi e dell’industria della difesa. Purtroppo non siamo ancora giunti ad una svolta. L’industria militare deve ancora essere collegata all’economia; le università, gli istituti di ricerca e i luoghi dell’innovazione devono essere connessi e, naturalmente, abbiamo bisogno di giovani pronti a servire e, se necessario, difendere la propria patria. I fondi che i militari hanno appena ricevuto è una buona espressione del nostro apprezzamento ed un serio riconoscimento da parte della società, ma di per sé non è sufficiente. Abbiamo ancora molto lavoro da fare. Abbiamo bisogno di una forza nostra, abbiamo bisogno di un esercito nazionale. Nessuno, nessuno dei nostri alleati rischierà la propria pelle per l’Ungheria al posto degli ungheresi. A prescindere dall’appartenenza alla NATO, non c’è nessun alleato al mondo che protegga il nostro Paese al posto nostro. Accanto a noi sì, magari con noi, ma non certo per noi. Se non siamo abbastanza forti, l’Ungheria non potrà essere al sicuro. Come ha insegnato Clint Eastwood: se c’è un’arma nelle vicinanze, è meglio che sia in mano nostra.

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L’inflazione e il Green New Deal

[…] Potremmo già brindare alla vittoria [dell’economia, ndr] con musica gitana se le economie europee non fossero state schiacciate dall’inflazione. Negli Stati Uniti essa ha raggiunto il 7,5%, un record mai visto da 40 anni a questa parte, e ci sono Paesi dell’UE in cui l’inflazione supera già il 10%. Lo stesso sarebbe accaduto qui da noi se non proteggessimo costantemente le famiglie. La situazione straordinaria richiedeva decisioni straordinarie, quindi non siamo rimasti inerti a guardare i prezzi a salire ma abbiamo introdotto una politica di quattro stop: stop al caro bollette, stop al prezzo del carburante, stop agli interessi e stop al prezzo del cibo. Una cosa simile non accadeva in Ungheria da trent’anni. I risultati? In Ungheria abbiamo i prezzi dell’elettricità più bassi dell’UE e il terzo prezzo più basso del gas. […] Secondo un recente rapporto pubblicato dall’UE, l’inflazione in Ungheria sarà del 5,4% quest’anno e del 3,6% il prossimo; livello che è ben superato dal tasso di aumento dei salari e sarà superato anche in futuro. Quindi i soldi ci saranno, perché l’Ungheria continuerà a lavorare. Gli assegni familiari saranno mantenuti e persino ampliati. Non rinunceremo a fare in modo che avere figli possa creare una situazione finanziariamente favorevole e non una difficoltà economica. Ci saranno bambini, ci saranno soldi e proteggeremo le famiglie. Questa è la direzione giusta!

Ma sulla questione dell’inflazione c’è un altro ostacolo, un dosso stradale. Si chiama Bruxelles, che ha liberalizzato i mercati del gas e delle materie prime ma non ha né introdotto né elaborato una legislazione per frenare le frenetiche fluttuazioni. Così ha lasciato l’Europa alla mercé degli speculatori finanziari. Questo è un grave errore, perché i prezzi dell’energia sono responsabili per il 50% dell’inflazione. Abbiamo combattuto una battaglia gigantesca per far sì che Bruxelles dichiarasse finalmente sostenibili l’energia nucleare e il gas naturale. Alla fine ci siamo riusciti, ma abbiamo perso molto tempo e la determinazione dei prezzi è già sfuggita dalle mani dei burocrati di Bruxelles. Le loro azioni sono inadeguate e tardive e non risolvono la crisi già in corso. Ecco perché i prezzi elevati dell’energia – per quanto ne sappiamo ora – è possibile che ci accompagnino ancora per anni.

Per fortuna, o più precisamente grazie all’intraprendenza ed audacia di Péter Szijjártó [ministro degli esteri e del commercio, ndr], abbiamo concluso per tempo vantaggiosi contratti di fornitura di gas con i russi. Ma a Bruxelles, i problemi non stanno diminuendo, anzi aumentano. Invece di un salvagente è possibile che riceveremo un macigno da portare al collo, perché stanno per introdurre una tassa punitiva a carico dei proprietari di case e di automobili in tutta Europa. È assurdo che, oltre ai prezzi elevati, gli Stati membri debbano combattere anche contro Bruxelles. Alla fine qualcuno deve dirlo: il piano di Bruxelles di combattere il cambiamento climatico aumentando i prezzi dell’energia è fallito. Ha fallito perché sta distruggendo le imprese e le famiglie europee. È un vicolo cieco. Abbiamo bisogno di un nuovo piano!

L’immigrazione

Ed infine: ci sarà un’altra ondata di migranti alle nostre frontiere? Non solo ci sarà, ma c’è già. Ogni giorno centinaia di persone cercano di entrare con violenza nel territorio dell’Ungheria. L’anno scorso sono state 122 mila, nel gennaio di quest’anno già più di 12 mila. Per un po’ abbiamo sperato tutti, me compreso, che se avessimo potuto chiudere rapidamente le nostre frontiere i migranti avrebbero capito che non valeva la pena tentare di attraversare il confine ungherese. Non l’hanno capito.

La ragione può essere che l’Ungheria, come sempre – piaccia o non piaccia – è la fortezza di frontiera del territorio mitteleuropeo e soprattutto di quello tedesco, verso il quale i migranti sono diretti. La vita delle fortezze di frontiera non è mai stata facile. Finora abbiamo speso più di 600 miliardi di fiorini [circa 1,7 miliardi di euro, ndr] per proteggere i nostri confini. Seicento miliardi! Prima della crisi dei migranti potevamo iniettare questi soldi nell’economia o darli alle famiglie. Oggi dobbiamo spenderli per difenderci. Giovanni Hunyadi fermò le truppe del Sultano a Belgrado [nel 1456, ndr] e noi abbiamo fermato le truppe di George Soros ai nostri confini meridionali. Ma sappiamo anche dall’esempio di Belgrado che una sola vittoria non risolve nulla e che da Belgrado è facile arrivare fino a Mohács [luogo dell’omonima battaglia del 1526 che vide l’Ungheria sconfitta dai Turchi, ndr]. La protezione delle frontiere richiede prontezza, tenacia e perseveranza costanti. È un lavoro duro, molto duro.

Inoltre, dobbiamo guardarci anche alle spalle, perché non possiamo essere tranquilli neanche riguardo a Bruxelles. Lì si radunano gli agenti di Soros, i traditori disposti a tutto per trenta monete d’argento, l’esercito di scribi, esperti e consulenti che vedono gli Stati nazionali come un nemico o almeno come un residuo da superare; e poi naturalmente i lupi del capitale globale, che fiutano il denaro in tutto, migrazioni comprese. Stanno tutti lavorando per farci accettare l’invasione, l’inondazione dell’Europa, come se fosse naturale, una necessità storica inarrestabile. Da alcune parti ci sono già riusciti. La frontiera italiana è bucata come un colapasta. I francesi a malapena tengono la testa sopra l’acqua. E i tedeschi, con semplice onestà, si sono dichiarati un Paese di immigrati. L’Afghanistan è stato abbandonato, l’Africa ha un’enorme sovrappopolazione che potrebbe riversarsi nel Mediterraneo in qualsiasi momento. L’Europa cristiana è in profonda difficoltà a causa delle sue stesse debolezze interne e della forza delle avversità esterne. Sembra, a me compreso, che il cristianesimo latino in Europa non possa più stare in piedi da solo. Senza l’ortodossia, senza l’alleanza con i cristiani orientali, difficilmente potremo sopravvivere nei prossimi decenni. Ceterum censeo, l’Europa ha bisogno dei popoli dei Balcani.

L’Unione Europea

[…] Forse vale anche la pena di parlare del perché noi e Bruxelles, e il mondo degli intellettuali, degli esperti, dei politici e degli opinionisti dell’Europa occidentale, non ci capiamo. Perché, senza dubbio, ci fraintendiamo. La pensiamo diversamente sulla preziosa tradizione europea, la pensiamo diversamente sul futuro delle nazioni e degli Stati nazionali, la pensiamo diversamente sulla globalizzazione e ora la pensiamo diversamente sulla famiglia, e siamo persino arrivati a pensarla diversamente sulla struttura binaria della società, basata su donne e uomini. E poiché è così, inevitabilmente immaginiamo e desideriamo un futuro diverso per noi stessi e per i nostri figli. E voglio chiarire che noi qui non ci arrenderemo. Il 3 aprile difenderemo i nostri figli in un referendum [sarà chiesto ai cittadini se sostengono la legge contro la propaganda gender nelle scuole, ndr]: il padre è uomo, la madre è donna e giù le mani dai nostri figli!

Non esigo la loro simpatia, ma la verità è che lavoro con loro da trent’anni e la mia personale opinione è che le differenze nascono da un fatto: che noi abbiamo vissuto la fine della Guerra Fredda in modo molto diverso e quindi ne abbiamo una comprensione diversa rispetto a loro, i Paesi occidentali (America inclusa), che non furono invasi dai sovietici. Ecco il problema. Il punto è che non hanno vissuto sotto le dittature e la libertà (per usare le parole di Sándor Márai) l’hanno ricevuta come eredità. Noi, invece, abbiamo vissuto sotto la dittatura e la libertà non ci è stata data, ma l’abbiamo conquistata. Non sottovalutiamo il contributo dell’Occidente, ma per noi è chiaro come la luce del giorno che la Guerra Fredda sia stata vinta da polacchi, cechi, ungheresi, tedeschi, bulgari, rumeni, estoni, lettoni e lituani, cioè da noi. Sappiamo tutti che l’anticomunismo e il pensiero nazionale hanno vinto la Guerra Fredda, restaurando gli Stati nazionali. Secondo noi la nazione ha trionfato sulla classe, la fede in Dio ha trionfato sull’ateismo e la proprietà privata ha trionfato sulla proprietà statale socialista. Loro pensano qualcosa di molto diverso. Pensano che la loro democrazia liberale abbia trionfato sul comunismo. Al centro del loro pensiero – allora come oggi – non vi erano gli Stati nazionali ma il mondo globalizzato, governato da organizzazioni, istituzioni e reti globali, collegate da reti commerciali e tecno-comunicative globali. Ecco perché George Soros è davvero il loro eroe. Naturale, poi, che i quattrini di quest’ultimo aiutino ancora di più a stimarlo…

Per questo non riusciamo a trovare l’accordo sulla questione dello stato di diritto e della democrazia. Sappiamo tutti che in Ungheria viviamo in un sistema costituzionale di stato di diritto che è chiaramente stabilito e protetto dalla Legge Fondamentale. Ma per essi lo “stato di diritto” è uno strumento per poterci plasmare a loro immagine. Perciò non sono interessati ai fatti né ai nostri argomenti. Stanno combattendo una guerra santa, uno jihad dello stato di diritto. E le parole, cari Amici, raramente aiutano contro lo jihad. Dobbiamo mostrare forza e dare il via alla Reconquista!

Vale lo stesso per la democrazia. Essi scorgono lo smantellamento e la regressione della democrazia laddove noi vediamo la nostra vita quotidiana. Con elezioni, referendum, una stampa virulentemente di sinistra e dibattiti politici accesi. Sono come la donna della barzelletta freudiana che fugge dall’ombra terrificante che la insegue. Quando l’ombra la raggiunge, la donna chiede con voce sbiadita: “Cosa vuole da me?”. L’ombra risponde: “Io? Ma è lei che mi sogna!”.

Così stanno le cose tra di noi. La verità è che non vogliamo diventare come loro e difficilmente possiamo credere che loro vogliano ri-assomigliare a noi. È inutile negare le differenze. Questo dibattito all’interno del mondo occidentale è inevitabile. Il dibattito è ovviamente importante, ma non è la cosa più importante. La cosa più importante è se vogliamo restare insieme. Soprattutto qui in Europa, perché l’Unione Europea ha un futuro solo se riusciamo a stare insieme nonostante la crescente alienazione culturale. Noi, da parte nostra, vogliamo mantenere assieme l’Unione Europea. E proprio per questo diverse volte abbiamo fatto delle proposte di tolleranza verso Bruxelles e anche Berlino. Non pretendiamo che adottino o elevino a livello europeo la politica migratoria ungherese, la politica familiare ungherese o la politica estera e nazionale ungherese, ma non possono nemmeno pretendere che si sia noi ad adottare le loro. Non c’è altra soluzione che la tolleranza. Solo in questo modo possiamo trovare un percorso comune. […]

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Primo Ministro dell'Ungheria, presidente del partito Fidesz.