di Nathan Greppi

Quando si comincia a compilare il questionario dell’EJC (European Journalism Centre), organizzazione che ha come partner Open Society Foundation, Google, Facebook e Commissione Europea, sembra di candidarsi per un normale stage giornalistico presso uno dei 30 giornali coinvolti nell’iniziativa. Tuttavia, assieme alle normali domande sulla carriera e il percorso di studio, al candidato viene posta anche una domanda molto particolare: “Che ruolo pensi che debbano avere la diversità, l’uguaglianza e l’inclusione all’interno di una redazione?”.

Non si può comprendere il perché di questa domanda se non la si inserisce nel giusto contesto: l’EJC, che in Italia ha come riferimenti i quotidiani “La Repubblica” e “Il Sole 24Ore”, intende con questa domanda prendere con sé coloro che vogliono un giornalismo più inclusivo verso membri di minoranze (gay, figli di immigrati, ecc.), tenendo fuori chi non sembra essere d’accordo. Proprio sul sito di “Repubblica”, in merito all’annuncio dello stage per aspiranti giornalisti organizzato assieme all’EJC, compare un video promozionale dove i giovani rappresentati sono pressoché tutti neri o asiatici, ad eccezione di una ragazza “bianca” raffigurata come una sorta di hippy assieme ad un’altra con il velo: ciò malgrado le 30 testate coinvolte siano tutte europee. Gli stage vengono organizzati assieme alla Google News Initiative, istituita dal non certo neutrale colosso della Silicon Valley per “sostenere” il mondo del giornalismo.

Non è la prima volta che si cerca di importare questa mentalità, tipica dei Paesi anglosassoni, nel nostro: già nel 2018, in un editoriale sulla rivista “Internazionale”, il giornalista inglese David Randall si lamentava del fatto che in Italia non ci siano abbastanza giornalisti di colore. L’accusa rivolta ai media di non essere abbastanza inclusivi si basa su statistiche secondo le quali in Europa i figli di immigrati sarebbero sottorappresentati tra i giornalisti (nel 2019 si rimproverava ai media inglesi il fatto che il 94% dei giornalisti fosse bianco e l’86% laureato). A parte il fatto che anche un non immigrato può mostrare sensibilità verso le condizioni di persone con cui non ha legami di sangue, il fatto che ci siano pochi giornalisti con un background multietnico è dovuto al fatto che oggi per tutti, bianchi e non, è sempre più difficile entrare nel mondo del giornalismo, sia perché internet e i social erodono costantemente i guadagni di giornali e tv sia perché, nel caso dell’Italia, molti di quelli che ce la fanno sono figli di giornalisti, o comunque hanno degli agganci in famiglia. Un problema di nepotismo, più che di razzismo.

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Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate MosaicoCultweek e Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).