di Nicola De Felice e Pier Luca Toffano

La pandemia sta accelerando trasformazioni epocali già in atto da un paio di decenni nell’industria del farmaco, a similitudine di quanto accaduto con l’elettrificazione dell’auto e la rivoluzione digitale con la rete “www”.

L’idea di elettrificare le automobili era presente decenni prima della produzione su vasta scala. Per convincere investitori ed industria è stata però necessaria una concomitanza di fattori esterni favorevoli. Le condizioni esterne determinanti sono state le misure pubbliche per combattere l’inquinamento atmosferico e l’instabilità delle fonti di materia prima. Per i vaccini Covid, esistono produttori che usano tecnologie diverse e che sono in competizione tra loro. La pandemia ha offerto agli innovatori l’opportunità di scatenare la rivoluzione utilizzando la tecnologia mRNA. I fondatori di Moderna, quotata profeticamente “mRNA” a Wall Street, somigliano per certi aspetti più ai pionieri della new economy digitale che agli esperti che quotidianamente ci ammorbano di Covid e di vaccini. L’impressione che ne ricaviamo, da osservatori esterni, è quella di uno scontro generazionale giunto alla battaglia finale. L’mRNA è in effetti la base tecnologica per una new economy del farmaco; pertanto, è utile considerare cosa accade quando per le new economies arriva il momento di industrializzare.

In un primo momento, a mercato emergente, conviene senz’altro la massima condivisione tra gli innovatori. Essi non operano solo per le quote di mercato, ma anche per affermare la nuova tecnologia. In questa fase i loro brevetti contano poco, ai produttori tradizionali non interessano e agli innovatori interessa piuttosto cooperare. Con il mercato avviato, per resistere anche i produttori affermati devono in qualche modo allearsi tra loro. L’avvento dell’auto elettrica ha infatti accelerato fusioni e condivisioni tra produttori tradizionali. Osserviamo con quanta apparente facilità siano concesse – per i vaccini Covid – licenze di produzione e rinunce ai brevetti. Tutto ciò potrebbe cambiare quando inizierà la fase dei booster (richiami) che probabilmente rappresenterà il momento del go to market, mercato libero e concorrenziale, che sarà il momento più temuto dai governi; ed è a questo che finalmente sembra prepararsi anche il Governo italiano.

L’industria vaccinale, e quella dei farmaci in genere, è complessa. Quando si dice: “Portiamo in casa le fabbriche dei vaccini per renderci indipendenti”, si trascura di considerare che la pipeline è lunga, composta da molti produttori e fornitori intermedi, per di più fortemente globalizzata. La “fabbrica” è assemblaggio, infialatura e confezionamento di semilavorati – molti di questi rari – prodotti in poche nazioni, protetti da accordi e brevetti. Non solo. La “fabbrica” è fatta anche di macchine a loro volta rare e prodotte in pochi Stati. Ogni singola fase intermedia, dalle nanoplastiche ai plasmidi, dai bioreattori ai sacchetti, deve fare i conti – in una situazione di domanda esplosiva come quella attuale – con una dimensione produttiva creata sulla domanda pre-Covid. Questa improvvisa inadeguatezza sistemica comporta inevitabili blocchi nelle forniture intermedie, interrompendo la consegna dei prodotti finiti. La sospensione nella consegna alla UE di Astra Zeneca è stata dovuta ad interruzioni a valle della catena produttiva del vaccino, verificatesi in India. Produzioni nazionali che non tengano conto della complessità della filiera rischiano di ritrovarsi con le stesse strozzature che gravano oggi sui produttori.

Sarebbe invece auspicabile che i governi europei iniziassero ad agire in termini di sistema-filiera. In Europa sarebbe conveniente, anziché avere fabbriche in ogni nazione, assegnare fasi di filiera diverse agli Stati membri, puntando quindi ad una indipendenza vaccinale europea anziché ad una somma di indipendenze (tardive) nazionali. Si raggiungerebbero così economie di scala più rapidamente e si ridurrebbe di molto il rischio di interruzioni del ciclo produttivo. Il tutto dovrà essere fatto puntando su una tecnologia e rinunciando ad altre. Ad oggi, la tecnologia mRNA sembra essere la più facilmente percorribile: modifiche più rapide verso mutazioni, grado di protezione più elevato, ricadute positive su altre applicazioni farmacologiche, maggior gradimento da parte dei consumatori. Di nuovo appaiono – come con l’auto elettrica – i fattori critici che favoriscono l’innovazione: tecnologia avanzata, prestazioni migliori, gradimento. Oggi il mercato dei vaccini COVID è un monopsonio, cioè un mercato caratterizzato da un unico compratore, i governi. Un monopsonio massimizza – in teoria – il potere del compratore. L’effetto di questo potere sui prezzi è evidente, ma molto meno lo è stato sulle quantità, a nostro avviso per aver sottostimato la complessità di filiera prima citata. Il potere del monopsonista avrebbe agito anche sulle quantità qualora i governi europei avessero erogato finanziamenti ed agevolazioni emergenziali non solo ai produttori finali, ma anche a quelli intermedi, cosa che è accaduta in USA dove il governo (prima con Trump e poi con Biden) ha finanziato tutta l’intera filiera, verosimilmente perché molta di questa – a differenza che in Europa – era in casa.

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La proposta che vogliamo esporre con questo articolo implica il convincimento che la possibilità di un perdurare della pandemia e la comparsa di nuove epidemie costituiscano rischi concreti. La crescita delle megalopoli riduce le distanze tra umani, il conseguente confinamento della vita selvatica riduce la distanza tra animali. Umani e vita selvatica si ritrovano sempre più vicini tra loro. Auspichiamo dunque che il Governo italiano possa essere guida di una politica europea di indipendenza vaccinale continentale, una politica che ci conduca ad essere autonomi su tutte le fasi del processo industriale che porta al vaccino, puntando decisamente sulle nuove tecnologie. Dalla ricerca alle colture biologiche, dalle microplastiche ai plasmidi, dai reattori alle guarnizioni, dalle siringhe alle fabbriche. La dimensione di scala produttiva da raggiungere è enorme come “enorme” dovrà essere lo sforzo per raggiungerla. Ogni nazione con la sua fabbrica non basterà, ma sarà necessario suddividere le fasi produttive tra gli Stati membri. Qualcosa di simile, ma molto più ambizioso, di quanto avvenuto per Airbus.

Se questo non accadrà, si ripeterà quanto accaduto nell’informatica e nello sviluppo della rete digitale, dove i momenti strategici industriali risiedono in prevalenza negli Stati Uniti, con noi europei a fare solo da mercato.

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Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli. Ammiraglio di divisione (ris.), già comandante di cacciatorpediniere e fregate, ha svolto importanti incarichi diplomatici, finanziari, tecnici e strategici per gli Stati Maggiori della Difesa e della Marina Militare, sia in Patria sia all’estero, in mare e a terra, perseguendo l'applicazione di capacità tese a rendere efficace la politica di difesa e di sicurezza italiana.

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Laureato in Economia Aziendale, ha lavorato presso imprese multinazionali francesi ed americane nel settore dei servizi. Oggi insegna Diritto ed Economia Politica presso le scuole statali superiori.