di Nicola De Felice (candidato al Consiglio Regionale del Lazio per Fratelli d’Italia nel collegio di Roma e provincia)

Durante la cosiddetta prima Repubblica, che va dall’immediato  dopoguerra a Tangentopoli, la politica estera italiana, oltre a riaffermare la sua appartenenza all’Occidente e all’Alleanza Atlantica (del resto già decisa a Jalta), si è indirizzata verso due direttrici fondamentali, quella paneuropea (con il ruolo svolto dall’Italia nella costruzione dell’Unione Europea) e quella mediterranea (incentrata sull’attenzione particolare data al Nordafrica).

Questa strategia mediterranea si può dire sia stata delineata da Enrico Mattei con il rapporto privilegiato con l’Egitto di Gamal Nasser e il sostegno alla lotta di indipendenza algerina. Una strategia che ha visto concordi  non solo tutti i cavalli di razza democristiani (Fanfani, Moro e Andreotti) ma anche Bettino Craxi che, proprio per il ruolo giocato durante la transizione alla guida della Tunisia tra Bourghiba e Ben Alì, scelse poi questo Paese come luogo del suo esilio. Una linea strategica seguita anche da Silvio Berlusconi che, con una scelta di real politik, decise di superare le serie incomprensioni seguite alla cacciata nel 1970 degli italiani dalla Libia ad opera di Gheddafi e di assegnare una corsia preferenziale ai rapporti con quel Paese.

La scriteriata destabilizzazione operata dalle cosiddette primavere arabe, culminata nell’ottobre 2011 con la tragica morte del dittatore libico, ha avuto come conseguenza anche la brusca interruzione della politica estera italiana nell’area del Mediterraneo. Tutto si è limitato ai problemi connessi al soccorso in mare dei migranti irregolari e al pur più che giustificato tentativo di assicurare alla giustizia i responsabili dell’uccisione di Giulio Regeni. Per il resto l’Italia, per circa un decennio, è come scomparsa da uno scenario divenuto sotto il profilo economico ancora più importante dopo il raddoppio nel 2015 del Canale di Suez e sempre più turbolento sotto il profilo politico con l’accentuata presenza russa e turca, le guerre civili in Siria e Libia, il perdurare della questione israelo-palestinese, l’apparizione dell’Isis, l’aumento dei flussi migratori. Il raddoppio di Suez ha prodotto una significativa riduzione del tempo di percorrenza (da 19 a 11 ore), un incremento del 100% delle navi in transito e una loro maggiore stazza. C’è stato un aumento esponenziale del traffico merci e oggi nel Mediterraneo transita circa il 30% del commercio  marittimo mondiale.

L’Italia, protesa nel Mediterraneo fin quasi alle coste dell’Africa, sembrava un gigante addormentato. A suonare la sveglia sono sopravvenuti due fatti di estrema importanza: l’invasione russa in Ucraina con la conseguente crisi energetica e la Destra alla guida di un nuovo governo nazionale. Si è capito da subito che soffiava un vento diverso, una visione più ampia e pragmatica. Il primo passo che molti hanno sottovalutato è stato il rilancio di un fronte comune, il MED5, dei Paesi dell’UE che avevano maggiormente sofferto l’immigrazione irregolare. Poi si è notato un ruolo molto più rilevante concesso  all’ENI che, dopo la morte di Mattei, aveva visto decrescere la sua importanza e limitare la sua libertà di manovra, quasi fosse stato invitato ad operare in sordina per non dare fastidio. Successivamente, sulla scia di quanto già fatto dal precedente governo, che però si era mosso un po’ dovunque sull’onda dell’emergenza, ha dato all’Algeria non solo la veste di primo fornitore energetico dell’Italia (riesumando tra l’altro la costruzione del gasdotto Galsi, colpevolmente accantonato nel 2017 dall’allora presidente PD della Sardegna  Pigliaru), ma anche affiancando quel Paese sulla strada che lo porterà in futuro ad essere grande esportatore  di idrogeno “verde”, cioè prodotto da energie rinnovabili.

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Quasi in parallelo c’è stata, con una buona dose di pragmatismo, la presa d’atto che non si può escludere da qualsiasi progetto di sfruttamento dell’immenso potenziale energetico esistente nel Mediterraneo orientale la Turchia che su quel mare ha 8300 km di costa. Forse trovando buona sponda in Erdogan, che deve aver compreso come una politica di mediazione sia quasi sempre più fruttifera di una di contrapposizione. Anche con il successivo coinvolgimento dell’Egitto e adesso con la visita della premier Meloni a Tripoli appare evidente che l’azione del nuovo governo risponde, sia pure ancora allo stato embrionale, ad una strategia di ampio respiro a cui si comincia già a dare il nome di Piano Mattei. Una strategia pacificatrice che mira a costituire un pool di Paesi fornitori convinti a mettere da parte, in virtù del comune interesse economico, rancori storici e rivalità politiche. Con l’Italia che, mutando la crisi in opportunità, divenga l’hub energetico di gran parte dell’Europa.

Una sfida difficile ma esaltante, che con ogni probabilità dovrà tener conto della concorrenza della Spagna che ha ambizioni analoghe e che per il momento è in vantaggio grazie ai suoi 6 rigassificatori. Ma l’Italia ha dalla sua la maggiore centralità geografica, l’esperienza accumulata dall’ENI nel campo a partire dagli anni ’50, una flotta di navi posatubi che ha costruito gasdotti sottomarini in ogni parte del mondo.

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Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli. Ammiraglio di divisione (ris.), già comandante di cacciatorpediniere e fregate, ha svolto importanti incarichi diplomatici, finanziari, tecnici e strategici per gli Stati Maggiori della Difesa e della Marina Militare, sia in Patria sia all’estero, in mare e a terra, perseguendo l'applicazione di capacità tese a rendere efficace la politica di difesa e di sicurezza italiana.