di Lorenzo Somigli

Ripartire da Mattei

La visita nel gennaio scorso del presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Algeria, naturale prolungamento dell’Italia nel continente africano, durante la quale ha anche reso omaggio al monumento di Enrico Mattei, ha aperto quello che può essere un nuovo capitolo. Di fronte a pulsioni predatorie, nuove e vecchie, verso l’Africa, la Meloni ha scelto un eroe, mai troppo valorizzato, del pantheon repubblicano che costruì un modello alternativo al neocolonialismo, basato sulla cooperazione nel Mediterraneo allargato. Un modello in grado alimentare una stagione di pace e stabilità, nel contesto della Guerra Fredda.

La stabilità degli approvvigionamenti energetici, figlia della lungimiranza di Mattei e delle classi dirigenti italiane del Dopoguerra, ha permesso la piena industrializzazione dell’Italia, paese ancora contadino e devastato dalla guerra persa (il PIL pro capite era inferiore ai livelli pre-unitari), e la diffusione del benessere. Non solo, nell’ottica della mutualità, l’acquisto del gas dai paesi rivieraschi ha portato alla stabilizzazione di quelle classi dirigenti, che avevano vinto la lotta per l’indipendenza. È del ’66 il film “La Battaglia di Algeri” di Pontecorvo, premiato col Leone d’Oro. Quello della Meloni è stato un primo passo politico per rilanciare l’azione diplomatica italiana, che potrebbe produrre molteplici effetti positivi, ma ci sono dei punti da chiarire. Il contesto è profondamente mutato. L’Italia, che prima era una potenza emergente, deve oggi mantenere il grado di sviluppo e di benessere acquisito rinunciando, al contempo, a quello che è stato il partner principale, la Russia.

Di conseguenza, il “Piano Mattei”, ancora non del tutto chiarito, parte dal coinvolgimento e dalla sinergia tra le partecipate come ENI, ENEL, Snam e Terna e punta ad alcuni obiettivi: la trasformazione del Paese in crocevia degli idrocarburi per mezzo delle infrastrutture, il completo abbandono del gas russo e, dunque, la sua sostituzione sia con il GNL sia con il gas naturale proveniente dall’Africa.

Governare la scarsità: la dotazione infrastrutturale

Il gas naturale dalla Russia verrà progressivamente abbandonato: al 100% entro il 2024-2025, per lo meno all’80% entro il 2023, avvisa l’amministratore delegato dell’ENI Claudio Descalzi, prevedendo però il periodo più complesso nell’inverno 2023-2024.

In seguito all’invasione russa, si è aperta una nuova fase per l’Europa e per l’Italia in particolare, che hanno dovuto aumentare in appena un anno le importazioni di gas naturale liquefatto di oltre il 60%, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia. Anche per questo, il GNL ha raggiunto vette di prezzo elevate, destinate a rimanere stabilmente alte nei prossimi anni anche in ragione dell’offerta che rimarrà debole e della domanda forte.

Per trattare il nuovo GNL, vengono predisposti due nuovi rigassificatori, oltre a quelli già presenti (Panigaglia, Livorno, Rovigo), ovvero quello di Piombino, che ha una capacità complessiva di trattamento di 5 miliardi di metri cubi all’anno (pari al 7% del fabbisogno italiano), realizzato dalla Snam – che punta a diventare leader europeo nel GNL – e Ravenna (terzo trimestre 2024), forse anche di Gioia Tauro. La strategia italiana è certamente in linea e i due rigassificatori aumenteranno la flessibilità del Paese, incrementando le importazioni di GNL fino a circa il 40% nel 2026 quando nel 2021 era appena il 20%.

Dopo il taglio delle forniture russe di gas naturale, l’Italia può contare, comunque, su quelle provenienti dall’Azerbaigian via Turchia grazie al vituperato TAP (vale circa il 10% annuo) e sul Transmed, meglio noto come “gasdotto Mattei”, che connette l’Algeria all’Italia passando per Capo Bon in Tunisia e ha una capacità circa 32 miliardi di metri cubi di gas.

ENI ed ENEL in Africa

Adesso rimane da capire da dove l’Italia possa prelevare nuovo gas. ENI ed ENEL garantiscono da sempre una continuità strategica nei rapporti con l’Africa e sono la leva per dare corpo al “Piano Mattei”. L’ENI è presente in Africa dalla metà degli anni ’50 e ha progetti in ben 14 paesi. È protagonista assoluta nella diversificazione degli approvvigionamenti di gas, innanzitutto grazie al rapporto storico con l’algerina Sonatrach. L’Algeria, fin dal primo semestre del 2022, è diventato il primo fornitore di gas scalzando la Russia e già nel luglio dello stesso anno ha fornito ulteriori 4 miliardi di gas. L’ENI è la compagnia più importante presente nel paese: nel 2021 ha prodotto circa 20 milioni di barili di petrolio e condensati nonché 1,7 miliardi di metri cubi di gas naturale. A riprova della dinamicità dell’impegno dell’ENI in Algeria, l’avvio nell’ottobre 2022 di due nuovi campi nel bacino del Berkine Sud.

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Non c’è solo l’Algeria. Un altro paese con cui l’ENI vanta consolidati rapporti è l’Egitto, dove è presente dal 1954 tramite la controllata IEOC. Nel 2022 l’ENI ha prodotto quasi il 60% del gas prodotto in Egitto. Un’infrastruttura centrale è l’impianto di Damietta (attivo dal 2005) che, dopo aver ripreso la produzione nel 2021, è arrivato al suo 500° carico di GNL, toccando i circa 4 miliardi di gas liquefatto esportati nel 2022, in larga parte verso l’Europa. Sempre in Egitto, grazie agli accordi con Egas, l’ENI perfezionerà le campagne esplorative unitamente a quelle nelle zone di nuova acquisizione come quella del Delta del Nilo.

L’ENI ha promosso, inoltre, nuovi investimenti e progetti sempre nell’ottica della diversificazione dei paesi di partenza del gas. Un caso significativo è quello di Coral South, un impianto galleggiante di liquefazione di gas naturale con una capacità di 3,4 milioni di tonnellate di GNL, alimentato da 6 pozzi sottomarini, nel giacimento di Rovuma, in Mozambico, da cui sono partiti i primi carichi di GNL già nel novembre 2022. Il progetto è fonte di nuovi posti di lavoro, stimati a circa 800 durante il periodo operativo.

L’impegno dell’ENEL, via ENEL Green Power, in Africa si concentra, invece, sulle fonti rinnovabili. Sono già attivi impianti come quelli eolici in Marocco (tre per una capacità di 210 MG) o quelli in Sudafrica dove c’è sia eolico sia solare; in altri paesi, come l’Etiopia, ENEL ha presentato progetti, come quello per l’impianto fotovoltaico di Metehara.

La necessità di stabilizzazione e il ruolo dell’Italia

Il quadro mediterraneo è stato irrimediabilmente sconvolto nel 2011, l’anno delle “primavere arabe” che hanno liquidato le classi dirigenti figlie del nazionalismo arabo con cui proprio Mattei aveva costruito la sua politica. A oltre 10 anni può aprirsi una fase nuova e il rilancio dell’azione italiana è un punto positivo. Invero, ci sono anche delle insidie di cui tener conto.

Ci sono nuovi attori: la Cina, che proprio in Algeria intende fare investimenti (per la produzione di fosfati), e la stessa Russia è stabilmente in Siria, con le sue basi di Tartus e Hmeimim; la Turchia di Erdoğan – la sua visione imperiale ha avuto la meglio al ballottaggio – è una realtà nel Mediterraneo di Levante ed è diventata sempre più centrale nei flussi energetici, basti pensare al già citato TAP. Ciononostante, è in corso un riassetto che segue un bisogno di stabilizzazione.

Negli ultimi mesi, la Siria è tornata nella Lega Araba mentre la Tunisia – importante il finanziamento di 110 milioni da parte dell’Italia – si è avviata a un percorso di complessa stabilizzazione con le riforme neo-presidenziali, non certo indolori, di Kaïs Saïed. Ugualmente, i recenti accordi mediati dalla Cina hanno inaugurato un nuovo capitolo nei rapporti nel Medioriente, con l’Iran che allunga stabilmente il suo limes fin verso il Libano. Di fronte alle difficoltà di una Francia scacciata dall’Africa, la cultura della cooperazione italiana può essere un giacimento a cui ancora attingere.

 

 

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Giornalista specializzato in geopolitica ed energia e collaboratore parlamentare. Ha pubblicato su "Transatlantic Policy Quarterly", "leSfide", "Gulf News".