di Silvio Pittori

Trattando in passato questo argomento, ho avuto modo di evidenziare come “governo globale”, “sovranazionalità”, “mondialismo” da alcuni anni rappresentino le parole d’ordine del cosiddetto politicamente corretto, capaci di richiamare l’idea di una visione asseritamente morale del mondo. Visione disattesa dal popolo inglese con la legittima scelta della cosiddetta “Brexit”, così come dal presidente americano Donald John Trump, con l’affermazione “America First”, accusati di conseguenza l’uno e l’altro di nazionalismo e di sovranismo dai fautori appunto di un mondo fatto di ponti, apprezzato e sostenuto dagli attuali vertici della Chiesa cattolica, adagiata quest’ultima lungo il piano inclinato che spinge ad una sorta di costante protestantizzazione.

Si tratta di un cambiamento epocale rispetto al passato, nel quale principi quali “libertà di autodeterminazione di un popolo”, “indipendenza nazionale”, e “identità nazionale di una comunità” erano oggetto di assoluta condivisione, ed il richiamo alle tradizioni di un popolo, facenti parte della sua cultura, nonché alla religione, quale insieme di sentimenti, credenze e riti legati al sacro caratterizzanti una comunità, risultava una sorta di imperativo categorico. Pertanto, al cospetto del male assoluto del sovranismo e del nazionalismo, concetti utilizzati senza alcuna distinzione dai “pontieri”, si ergerebbe il bene assoluto rappresentato da un governo collettivo di una unione dei popoli, come sta avvenendo nell’ambito della Unione Europea, e da organismi sovranazionali sempre più estesi ai quali, seppur solitamente immuni da qualsivoglia responsabilità, gli Stati delegano costantemente ed inesorabilmente, con agghiacciante miopia, l’esercizio di quei diritti il cui esercizio appunto era stato loro delegato dai cittadini.

Da un lato una visione “romantica” di singole nazioni autodeterminate, originate dalla mutua fedeltà inizialmente tra famiglie e successivamente tra tribù che condividono una lingua, alcune tradizioni, numerosi valori, una religione, rispettose della autodeterminazione altrui; e, dall’altra, una visione politica ed economica intenta a realizzare un progetto di organismi sovranazionali ai quali i singoli Stati dovrebbero irreversibilmente demandare (neanche semplicemente delegare) sempre più i propri poteri e la propria autorità, quei poteri che sino a pochi anni fa gli Stati esercitavano in primo luogo a favore dei popoli chiamati a governare.

Studiosi del tema hanno evidenziato il rischio che tale presunto bene assoluto possa rappresentare una dolce forma di totalitarismo, che si realizza in maniera subdola, minando a poco a poco i principi chiave di un assetto democratico, cancellando la libertà, semplificando la lingua propria di ciascun Paese, imponendone una unica per tutti, alterando i tratti salienti della storia umana così da offrire una versione univoca ed acritica della stessa, cancellando la differenza sessuale sino al punto da eliminare il femminile ed il maschile, negando le differenze biologiche ed etniche, arrivando alla creazione di un individuo assolutamente artificiale, incapace di approfondire qualsivoglia questione in assenza di una cultura di fondo e di un’istruzione classica, bombardato da generiche e rapide informazioni, individuo come tale non libero, privo di tutele, assolutamente sostituibile, in una parola fragile. La realizzazione di quella dittatura esposta sotto forma di racconto da Orwell nella sua Fattoria degli animali, racconto che in tale chiave di profonda riflessione politica andrebbe riletto, come magistralmente mostrato dal filosofo francese Michel Onfray.

Da questa miope visione del mondo, il nichilismo imperante, basato sull’idea principale che non esistono fondamenti ai nostri valori e che non ci sarebbero prove idonee ad attestare che qualcosa valga più di qualcos’altro, arriva a negare la possibilità di confrontare culture e civiltà, relativismo che il Papa emerito Benedetto XVI aveva già stigmatizzato nel lontano 1996 come il problema più grande della nostra epoca, idoneo a cancellare i principi ed i valori tipici della civiltà giudaico-cristiana che ha formato o comunque concorso a formare la civiltà occidentale. Rinunciare ai valori religiosi unitamente alle virtù civili, tra le quali la consapevolezza di sacrificarsi per il bene comune, nel rispetto profondo dell’idea di Stato nazionale e di individuo, prefigura la morte o quantomeno una certa, inarrestabile decadenza di una civiltà.

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In questa ottica mondialista, si certifica l’esistenza di infiniti nuovi diritti dei singoli ma anche l’assenza di obblighi (come da anni evidenziato da par suo dal filosofo Marcello Pera), con la creazione di una società in cui in siffatta maniera è del tutto assente il senso della responsabilità individuale, con le distorsioni che ciò comporta anche nelle aule in cui dovrebbe essere dispensata, in nome della colpa, la Giustizia. La situazione sopra descritta era stata ben delineata da Papa Benedetto XVI nel lontano 2007: “…emerge chiaramente che non si può pensare di edificare un’autentica casa comune europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di una identità storica, culturale e morale…un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il cristianesimo ha contribuito a forgiare, assumendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Tali valori, che costituiscono l’anima del Continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come fermento di civiltà. Se infatti essi dovessero venire meno, come potrebbe il vecchio Continente continuare a svolgere la funzione di lievito per il mondo intero?”.

Non resta che tornare ad una politica che sappia porsi a servizio dell’etica e dell’individuo, ri-donandogli quella centralità che lo stesso ha avuto, confidando nella permanenza del sovranismo, nel senso di cui sopra, che può benissimo sopravvivere all’interno di un’Europa che si muova nel solco della sussidiarietà, accettando limitate cessioni della propria autorità ad organismi sovranazionali, senza che ciò si tramuti in forme di cessione della libertà di un popolo, della sua indipendenza con conseguente perdita dei suoi valori fondanti, pertanto della sua identità nazionale. D’altronde, facilmente confutabile la tesi di chi tuttora afferma che proprio il nazionalismo ed il sovranismo siano la causa delle peggiori guerre: nessuno infatti potrebbe negare che la Germania nazista sia stata una forma di Stato imperiale (l’auspicio del ritorno all’impero tedesco e all’impero austroungarico), che aveva come scopo proprio la cancellazione di ogni Stato nazionale e della cosiddetta autodeterminazione dei popoli.

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Avvocato cassazionista con sede a Firenze, esperto in diritto civile societario e in diritto penale di impresa e contrattualistica. Laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Firenze.