di Giovanni Giacalone

Il sostegno del governo italiano alla Turchia diventa sempre più imbarazzante. Non bastavano i rifornimenti di armi inviate da Ankara a mercenari e jihadisti a Tripoli e a Misurata, sotto gli occhi dei militari italiani; nemmeno il sostegno di Roma al Gna, oramai regime-fantoccio di Ankara in Libia evidentemente risultava sufficiente, perché il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, durante una recente trasferta ad Ankara ha rassicurato il ministro degli Esteri turco Cavusoglu che l’Italia sarà il partner numero uno nel sostegno per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea.

Giusto per intendersi, oggi la Turchia è la più grande “galera” per giornalisti del mondo, dove chiunque osa criticare il governo islamo-nazionalista dell’Akp viene arrestato. Un trattamento riservato anche ad oppositori politici e persino parlamentari, come dimostrano i casi di Enis Berberoglu, Leyla Guven e Musa Farisugullari, parlamentari del partito d’opposizione Chp arrestati a inizio giugno. Le accuse sono sempre le stesse, ovvero “spionaggio”, un’incriminazione utilizzata dal regime Akp per togliere di mezzo chiunque sia scomodo, come ad esempio i reporter del quotidiano “Cumhuryet” che nel 2015 scoprirono e resero noti i rifornimenti dei servizi segreti turchi ai jihadisti in Siria. Il direttore del quotidiano, Can Dundar, veniva ferito a colpi di arma da fuoco nel maggio 2016 fuori del tribunale dove era in corso il processo nei suoi confronti (proprio per quella pubblicazione e ovviamente con accusa di “spionaggio”); nella stessa giornata la corte lo condannava a 5 anni e 10 mesi di reclusione. Curiosamente anche Berberoglu è stato condannato con l’accusa di essere la fonte del reportage sulle armi inviate ai jihadisti in Siria.

La stessa Turchia che ha trasferito più di 10mila jihadisti e mercenari dalla Siria alla Libia per combattere a fianco del Gna, come denunciato dal Syrian Observatory for Human Rights e da Syrians for Truth and Justice.

La stessa Turchia guidata da un Akp che è massima espressione dell’organizzazione islamista radicale dei Fratelli Musulmani, inseriti nella black list da Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein, Siria, Russia, finiti sotto indagine in Gran Bretagna e Stati Uniti e il cui ramo palestinese sono i terroristi di Hamas.

Di recente anche la Grande Moschea di Roma, sede italiana dell’Islam istituzionale, ha rilasciato un comunicato dove lancia chiare accuse nei confronti dell’attività dei Fratelli Musulmani in Italia, fatto che non ha però suscitato particolare attenzione sul piano mediatico.

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Così, mentre la Turchia prende possesso delle risorse nella Libia occidentale, ovviamente a discapito dell’Italia, a Roma continuano a sostenere Ankara e il “suo” Gna e a questo punto è più che lecito chiedere chiare delucidazioni.

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Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.