Timeo Danaos et dona ferentes.

Nei giorni in cui scrivo, il dramma del coronavirus sta raggiungendo, almeno nel Nord Italia, livelli che nessuno si sarebbe augurato di vedere e vivere. Davanti alla pandemia che non sembra avere intenzione di arrestarsi, la tenuta della sanità di alcune delle regioni più virtuose e più preparate inizia a scricchiolare; dallo strazio dei reparti sovraffollati si è arrivati alla tragica colonna di automezzi in uscita da Bergamo con il suo carico greve di settanta morti e dopo le esternazioni fiduciose dei primi giorni, anche il Governo inizia a non vedere la fine del tunnel.

Senza perdere alcun riguardo per la tragedia umana, sociale ed economica che il virus sta portando e porterà con sé, vale la pena di soffermarsi ad osservare anche il quadro generale.
Nel giro di pochi giorni l’Italia intera si è vista fin dall’inizio isolata e sono poi rimaste inascoltate le richieste d’aiuto rivolte ai Paesi membri dell’UE. Peggio ancora, quintali di materiali medici – mascherine e tute regolarmente acquistati dalla Cina – sono rimasti bloccati per giorni negli aeroporti tedeschi, fino a diventare irreperibili; uno stallo che si è sbloccato solo dopo l’intervento normativo della Commissione Europea. Ad aggravare il momento sono arrivate poi le ormai note parole di Lagarde con il seguente terremoto in borsa. Non sorprende come la fiducia del pubblico italiano nei confronti dell’UE sia ai suoi minimi storici; da sondaggio Demos del 19 marzo, soltanto il 30% degli intervistati confida nelle istituzioni europee.

Allargando ulteriormente il focus non si può che rivolgere lo sguardo verso la Cina: origine di tutto, in questi stessi giorni di lacrime, il governo cinese dichiara per la prima volta zero nuovi contagiati nell’intera area di Wuhan. Nonostante il rischio concreto di una seconda ondata, la quarantena sembra essere stata allentata in alcune zone e la vita sembra tornare, con grande lentezza, verso la normalità. Servirà monitorare la situazione nei prossimi giorni e nelle prossime settimane per verificare la veridicità di queste affermazioni. Si rilevi inoltre come la leadership della RPC abbia lanciato un primo sasso attraverso la persona di Lijian Zhao, portavoce e vicedirettore del dipartimento informazione del Ministero degli Esteri. I tweet in cui viene accusato l’Esercito USA di aver portato e diffuso il virus hanno fatto rapidamente il giro del mondo e sono andati a corroborare un’idea, già esistente sottotraccia, del coronavirus come di un’arma creata dagli Stati Uniti per abbattere il rivale.

Nel marasma mediatico – e non – emerge anche la mano tesa dal governo cinese a quello italiano; sono già due i voli arrivati in Italia dalla Cina con materiale, uomini e know how. Nemmeno a farlo apposta – forse – il primo, attesissimo volo è atterrato a Fiumicino proprio ancora mentre dalla Germania ancora mancavano notizie delle 850mila mascherine comprate dalla DispoTech di Lecco e in quel momento irrintracciabili e dagli USA si attendevano i poco benvenuti 20mila soldati coinvolti nell’operazione Defender Europe, poi annullata.

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Nessun soggetto, nazionale o internazionale, si è mosso finora con l’arguzia della Cina. A livello globale – ma soprattutto nei paesi anglofoni e in particolare negli USA – grazie ad una campagna massiccia da parte di giornali e intellettuali liberal e progressisti si è abbandonato o quantomeno dissuaso l’uso di nomi per il CoVid che rimandassero all’origine geografica, dal poco politicamente corretto “Chinese virus” di Trump al sardonico “Kung flu”. Rimosso il primo strato di stigmatizzazione non c’è stata alcuna remora da parte del governo e dei media a mostrare, in maniera più o meno ufficiale, l’obbedienza totale della popolazione alla quarantena impostagli. La “lunga marcia” per la vittoria sulla pandemia ha avuto una cassa di risonanza totale, attenuata solo in queste ultime settimane dalla tragedia di casa nostra.

In tutto questo si deve inserire il futuro diplomatico, commerciale e politico dell’Italia; i rapporti fra il nostro Paese e il gigante orientale hanno avuto alcuni momenti di tensione, in particolare dopo la decisione – criticata anche nello stesso governo – di bloccare i voli ma la situazione sembra non soltanto tornata alla normalità ma addirittura sulla strada di un avvicinamento amichevole; si aggiunga anche una nota sul comportamento largamente esemplare delle comunità cinesi in Italia, ben disposte a chiudere fin dall’inizio dell’epidemia i propri esercizi commerciali e ristoranti e in questi giorni coinvolte in raccolte fondi e distribuzione di materiale per la protezione individuale, un atteggiamento che non ha mancato di suscitare ammirazione e che ha eroso la naturale diffidenza sorta nei momenti iniziali.

Da (verosimile) responsabile del disastro e primo paziente, la Cina si sta rapidamente riconfigurando come il Paese leader nella lotta alla pandemia e a livello mediatico e popolare, almeno per quanto riguarda l’Italia, sembra esserci riuscita finora benissimo. La sfida per battere il virus è soltanto iniziata ma è già legittimo porsi la questione: riuscirà Xi Jinping a trasformare quella che sembrava un grave inciampo per l’ascesa globale della Cina in una lama con la quale recidere i già deboli legami fra gli Stati europei per legarli a sé?


Alessandro Previdi è giurista schmittiano e studioso di geopolitica.

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