La società occidentale permeata dai valori egualitaristici diffida dell’identità; si può anzi dire che essa è fobicamente ossessionata dall’identità. Le motivazioni “razionali” riguardo a questo atteggiamento si riassumono nel fatto che tale termine sarebbe suscettibile di declinazioni potenzialmente dirompenti e sfocianti in discorsi sui quali vige il più assoluto tabù.

Eppure, paradossalmente, la società occidentale contemporanea instaura un vero e proprio panegirico intorno ai temi dell’identità, purché sia altra da sé. Essendo multiculturale, la società occidentale mette in atto tutta una serie di “discorsi” intorno alla tutela delle minoranze presenti al proprio interno che mirano a sacralizzare quelle stesse minoranze in nome, tuttavia, dell’egualitarismo più radicale.

Nonostante le buone intenzioni, infatti, per il campo progressista l’identità è un fattore transeunte, uno stadio intermedio necessario in vista del suo superamento finale all’interno dell’oceanico, indistinto magma egualitaristico. Questo processo viene definito di volta in volta come “assimilazione”, “acculturazione”, “inclusione”. Operativamente, questo processo di solidificazione avviene sia tramite gli strumenti economici (consumismo) sia tramite quelli socio-culturali (scuola soprattutto).

Per il campo sovranista e identitario, al contrario, l’identità costituisce il perno attorno al quale nasce e si costruisce una civiltà. Ogni civiltà, ma anche ogni società, è, in grado diverso, identitaria. Questa identità non è né fissa né immutabile, ma nemmeno “liquida”, come invece pretendono i teorici liberisti e dell’open society. Non stiamo parlando dell’identità debole, frammentata e individualistica, che le mode fanno nascere e morire nello spazio di un giorno, ma dell’identità storica di una nazione, di una civiltà.

Questa identità non è nemmeno la summa degli accadimenti storici che quella particolare cultura ha sperimentato nei secoli ma è, piuttosto, un modo di sentire, di percepire la propria esistenza all’interno di un vissuto più ampio, nel quale è possibile riconoscersi e trovarvi un senso. Rispetto alla meccanica della società atomica (e nello stesso tempo totale) che caratterizza l’Occidente, una civiltà emerge e si afferma nel momento in cui i suoi membri provano quel particolare stupor, quell’emozione dell’Origine che è possibile avvertire solo tramite i sensi e che, per dirla con Whitehead, precede le cognizioni che, quali esseri pensanti, possiamo fare su e intorno a essa.

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A differenza di quanto ritengono la maggior parte degli studiosi di scienze sociali, infatti, l’essere umano è fondamentalmente essenzialista. Nella storia, istituzioni, leggi, governi, religioni, e quindi anche le culture, sono mutati, anche radicalmente, rispetto alla loro comparsa. Vi è tuttavia un nucleo immodificabile, che chiamiamo essenzialista, e che caratterizza, al di là delle epoche e delle costruzioni sociali, un individuo rispetto a un altro, una cultura rispetto a un’altra, una civiltà rispetto a un’altra. L’approccio essenzialista non dà giudizi di valore, né ordina gerarchicamente le diverse culture. Semplicemente prende atto, in modo realistico e non utopico, che i tratti caratteristici, nel bene e nel male, di una data cultura sono esprimibili solo attraverso i membri che a quella cultura, fin dall’origine, appartengono.

Vi è, quindi, anche (ma non solo) un nesso biologico, di natura, tra i creatori di una data cultura e la forma che quella stessa cultura assume, tale per cui appare ideologico e utopico pensare che una determinata civiltà dia gli stessi esiti (filosofici, religiosi, scientifici) potendo fare a meno dei suoi fautori e iniziatori. Nietzsche diceva che “ai Greci non si ritorna” proprio per il fatto che quei Greci non esistono più, così come non è più possibile “tornare a Roma” per il semplice fatto che quei Romani sono scomparsi.

I teorici del multiculturalismo (siano essi liberisti, terzomondisti o liberali) che, come fossero in un laboratorio, ritengono superfluo il dato essenziale di una cultura perché credono, con un atto di fede spacciato per scientificità, che salvare l’involucro esterno di una civiltà, come per esempio quella occidentale, sia sufficiente a ottenere gli stessi “risultati”, pur in presenza di un nucleo profondamente diverso, si illudono. L’uomo, e quindi le culture, non possono essere messi sotto equazione. Quando l’ultimo europeo sarà scomparso, anche l’Europa lo sarà, per quanto si potranno adottare i migliori mascheramenti geografici, legislativi, istituzionali e religiosi possibili.

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Abyssus, pseudonimo, è un professionista che opera nel settore culturale ed editoriale italiano.