In Occidente, il dibattito politico che ruota attorno al concetto di globalizzazione non può prescindere dal suo corollario ideologico più discutibile: la società multiculturale come esito scontato del processo storico. Secondo questa narrazione, le identità locali e nazionali sono giudicate anacronistiche vestigia di un passato da dimenticare.
Di fatto, il monoteismo ideologico che vede la società multiculturale come unico e fisiologico sbocco del futuro prossimo non sembra ammettere repliche.
I pilastri teorici su cui si regge il “discorso” della società multiculturale sono due. La società multiculturale ha come effetto la creazione di una società “aperta”, cosmopolita, a-nazionale e pacifica. Il secondo pilastro teorizza che la società multiculturale, essendo una società “aperta”, è ipso facto democratica, inclusiva e tollerante.
Tuttavia, il sociologo Andrè Bejin ha messo in luce come “la trasformazione dei Paesi a demografia declinante e frontiere porose si accompagna spesso quello che chiamerei uno spostamento delle frontiere verso l’interno. Le frontiere quindi si ricreano all’interno del territorio d’immigrazione e, poiché sono poco permeabili, diventano enclave quasi extraterritoriali”.
Si viene a creare così una sorta di regime di apartheid o di segregazione interna alla società multiculturale – spontaneo e volontario – che esaspera le conflittualità latenti, determinando uno stato di tensione cronico e destabilizzante.
Il secondo dogma ideologico, che collega società multiculturale e democrazia, è anch’esso più un prodotto utopistico che un fatto verificato. Data la conflittualità esistente e crescente tra i diversi gruppi etnici presenti nella società multiculturale, l’entità Stato nel quale questi gruppi sono ospitati è sottoposta a pressioni considerevoli, specialmente in termini di repressione.
Una democrazia liberale sarà quindi costretta a rivedere le proprie norme giuridiche di fronte e minacce specifiche, come quelle per esempio terroristiche, o di lacerazione del tessuto sociale a causa di sommosse e rivolte. Questo comporta evidenti rischi di involuzione autoritaria, diventando con il tempo necessaria proprio per evitare l’implosione sociale.
Il villaggio globale vagheggiato dagli utopisti multiculturali rischia quindi di assomigliare più a una cittadella assediata, fortificata e militarizzata, dove le libertà democratiche sono compresse in nome della sicurezza. La democrazia liberale, inadatta a gestire i nuovi conflitti, si eclissa, e lascia quindi il posto a una forma ibrida di governo degli esperti o dei tecnici, blindato da norme repressive e coercitive. Un governo di “sapienti” che agiscono “per il bene dell’umanità”. L’incubo di Platone realizzato, un secolo dopo l’aberrante esperimento comunista.
“Abyssus”, pseudonimo, è un professionista nel settore culturale ed editoriale italiano.
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