di Emanuele Mastrangelo

La seconda carica dello Stato sotto attacco per un’avventura boccaccesca del figlio; un programma RAI cancellato perché il suo autore ha usato “linguaggio inappropriato”; due direttori d’orchestra nella tempesta (e uno dei due licenziato) per le loro opinioni su Puccini; un ministro contestato al Salone del Libro tanto da negargli la possibilità di parlare…

Questi sono solo alcuni degli scogli contro cui sta pericolosamente strusciando la chiglia del primo governo di destra dell’Italia repubblicana. Tutti casi collegati da un solo fil rouge: l’ideologia wokeista, nelle sue molteplici manifestazioni.

Benvenuti nell’epoca della culture war

In America, dove questi fenomeni stanno giungendo a maturazione, si parla di culture war, guerra culturale. Si è dovuto constatare, infatti, che è oramai venuta meno ogni base di dialogo con chi ti considera “literally Hitler” perché non sei d’accordo con lui. Non pensi che un atleta maschio con rossetto e permanente possa dichiararsi femmina e gareggiare (slealmente) con atlete dotate di cromosomi XX? Sei un transofobo, letteralmente Hitler. Credi che a luglio sia normale che ci siano temperature estive? Sei un negazionista climatico, letteralmente Hitler. Non ritieni che una donna abbia il “diritto” di “ritirare il consenso” dopo aver consumato un rapporto consensuale? Sei un sessista, letteralmente Hitler. E ciò che lega questo centone (molto incompleto) di affermazioni non è la chiusa (“letteralmente Hitler”) bensì la premessa: la negazione di una realtà materiale ed empiricamente constatabile. Se il partito ti dice che 2 e 2 fa 5 tu devi dire che fa 5.

Il soggettivismo è infatti alla base del wokeismo, la spina dorsale dell’apparato ideologico della sinistra occidentale globalizzata. La percezione conta più dei fatti e la loro percezione conta più della tua, perché loro hanno sempre un motivo in più per essere ascoltati rispetto a te, che sei una banale e disprezzabile persona normale. Da questo stato di fatto, la constatazione amara: non c’è più possibilità di dialogo con chi ti punta il dito addosso e ti salmodia in faccia “lo stupratore sei tu” solo perché sei nato maschio ed etero. Quando è troppo è troppo, e malgrado tutto tocca disseppellire l’ascia di guerra.

À la guerre comme à la guerre

Negli Stati Uniti la parte più agguerrita della destra repubblicana lo ha capito e ne ha tratto le dovute conseguenze. Le scelte politiche iniziano così a essere valutate non solo sulla base del momento, ma nella prospettiva di una strategia di lungo periodo a livello culturale. Così per esempio l’acuto commentatore Tyler Durden definisce due degli ultimi provvedimenti del Parlamento USA a guida repubblicana come azioni di “guerra culturale”: il primo è il divieto al dipartimento della Difesa di pagare con soldi pubblici i “viaggi per l’aborto” dei suoi dipendenti che intendano andare a spese del bilancio federale a interrompere una gravidanza in uno Stato con legislazione permissiva; il secondo l’esclusione dalle prestazioni sanitarie pagate dal dipartimento quelle per la cosiddetta “transizione di genere”. I propugnatori di questi emendamenti alla legge di bilancio avevano ben chiaro che l’obbiettivo, ben al di là della contingenza (coinvolgono infatti una goccia nel mare degli 886,3 miliardi di spesa della Difesa), è di lungo respiro: impedire la politicizzazione in senso radicale delle forze armate statunitensi.

Le politiche anti-wokeiste infatti non sono destinate a raccogliere i big like sui social o a far guadagnare qualche zerovirgola nei sondaggi di gradimento settimanali delle trasmissioni TV. Sono parte di una strategia di lungo periodo, volta a insidiare, annullare e infine capovolgere quella “superiorità morale” che le sinistre si sono conquistate nel corso degli ultimi decenni, anche grazie alla miopia dei conservatori che hanno teso a sottovalutare e liquidare come “battaglie di retroguardia” le istanze wokeiste, considerandole al più contentini concessi alla controparte politica su risibili “questioni di colore” con cui fare delle captatio benevolentiae nel nome del “dialogo”. Ma dove va a finire il dialogo col fronte wokeista l’abbiamo visto in cima a questo articolo… Le sinistre fucsia-arcobaleno incassano l’assegno inopinatamente staccato dai poco avvertiti conservatori e subito dopo tornano all’attacco, insensibili a qualunque richiamo al dialogo e al rispetto istituzionale, avendo piazzato le loro pedine sulla scacchiera e potendo colpire il nemico da posizioni di superiorità.

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I frutti di una ben orchestrata campagna anti-woke si sono invece visti nelle elezioni locali americane e in quelle nazionali in Ungheria: DeSantis e Orban, i due campioni del fronte anti-woke, accreditati di un successo elettorale senza precedenti per dei conservatori, con in più l’affluenza alle urne in crescita. Un dato in controtendenza, indice del fatto che l’uomo medio della strada, quello che più di tutti è oggi tentato dall’astensionismo per sfiducia e scoramento, torna a votare se trova un politico che lo rappresenti realmente, con grande scorno dell’agenda globalista.

Sun Tzu applicato alla guerra culturale

Le politiche anti-woke, specialmente quando il fronte conservatore è nella stanza dei bottoni, servono a consolidare nel lungo periodo il potere, anche e soprattutto tagliando gli artigli a quella che effettivamente è l’unica arma politica rimasta alla sinistra. Rifiutare, per esempio, all’indignazione liberal di poter distribuire patenti di legittimità significa dimostrare che questa indignazione non è rappresentativa dell’interesse generale, come pretende d’essere. Significa dimostrare che la storia non sta seguendo una traiettoria lanciata verso un destino ineluttabile, ma che il cosiddetto “progresso” può essere invertito di segno e si può tornare indietro riconoscendo che certi “progressi” sono stati in realtà errori. Significa ripristinare il principio di oggettività togliendo alle personali convinzioni di chiunque il diritto di ergersi a fonte di diritto erga omnes. In termini di strategia, significa stanare il nemico dalle sue basi, colpire il suo apparato logistico, paralizzarne la capacità di reazione e interdirgli i campi di battaglia più facili. Basta leggersi Sun Tzu e applicarlo alla politica.

Il fronte conservatore in Italia sta invece perdendo occasioni di contrattacco una dopo l’altra. Sembra quasi che si sia scelta la strategia del verme descritto da Nietzsche, che calpestato si contorce e raggomitola nella speranza di evitare d’essere schiacciato una seconda volta. Una speranza quanto mai vana: il fronte wokeista non si fermerà mai finché non avrà la testa dei suoi nemici sul piatto, come Salomé. È ora che anche in Italia i conservatori lo capiscano e che se ne facciano una ragione: pietà l’è morta.

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Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).