di Daniele Scalea

Il 2023 vede l’uscita di ben due film italiani dedicati ad altrettante medaglie d’oro al valor militare: l’aviatore Francesco Baracca, asso della Prima Guerra Mondiale, e il sommergibilista Salvatore Bruno Todaro, caduto nel 1942 tra gli incursori della X Mas. Si tratta di una buona notizia? Il segnale che l’Italia ricomincia ad omaggiare i suoi eroi, a celebrare il patriottismo e le virtù militari?

Il ruolo del pubblico nelle produzioni

Temo, ahimé, non sia così. Ma prima di addentrarci nell’analisi, notiamo che i due film ci interessano da vicini, come italiani, non solo per ragioni morali ma anche materiali: entrambi infatti sono stati realizzati, almeno in parte, coi soldi dei contribuenti. I cacciatori del cielo, dedicato a Francesco Baracca, è stato co-prodotto da Luce Cinecittà (società pubblica) in collaborazione con Rai Documentari, Ministero della Difesa, Aeronautica Militare, Difesa Servizi. Comandante, dedicato a Salvatore Todaro, è stato prodotto assieme a Rai Cinema in collaborazione con Marina Militare, Luce Cinecittà, Fincantieri (azionista di maggioranza Cassa Depositi e Prestiti). Il secondo ha anche ricevuto contributi dal Ministero della Cultura (tra credito fiscale, reinvestimenti contributi automatici e selettivi, pari a quasi 3 milioni), dalla Regione Campania e dalla Regione Puglia.

Val la pena notare che, all’epoca del riconoscimento dei contributi, tutti gli enti e soggetti pubblici sopra citati dipendevano (direttamente o indirettamente) da amministrazioni di sinistra.

Todaro: dal sommergibile al centro sociale

Comandante è ancora in produzione; uscirà nel corso di quest’anno. Tuttavia, sappiamo che della vita di Todaro non tratterà le ardite incursioni a Sebastopoli e Bona, ma un episodio ben preciso: l’affondamento del mercantile belga Kabalo, in occasione del quale Todaro si impegnò a portare in salvo i naufraghi, anche a costo di esporre il suo sommergibile e i propri uomini a gravi rischi. I comunicati stampa della produzione sono molto chiari nell’enfatizzare la scelta di contravvenire agli ordini pur di salvare dei naufraghi “portandoli al porto sicuro più vicino, come previsto dalla legge del mare”. Insomma: Todaro sarebbe una Carola Rackete ante litteram.

La strumentalizzazione della vicenda in chiave immigrazionista è evidente. Non c’è nemmeno bisogno di attendere di poter vedere il film. Edoardo De Angelis, regista e autore del film, è un noto apologeta delle Ong. Per lui Giorgia Meloni è una “mitomane dalle assurde idee”, Matteo Salvini un “gall ncopp a munnezz” (un presuntuoso, per dirla eufemisticamente). A firmare con lui il film, lo scrittore Sandro Veronesi, che pur di difendere le Ong immigrazioniste si è spinto a maledire i due capi della Destra italiana. L’attore protagonista, Pierfrancesco Favino, al Festival di Sanremo del 2018 fu invitato sul palco a tenere un monologo a favore degli immigrati clandestini.

I cacciatori del cielo: né carne né pesce

Passiamo a I cacciatori del cielo. In questo caso, il ruolo delle Forze Armate è preminente. Il film è stato espressamente realizzato per celebrare il centenario dell’Aeronautica. È stato trasmesso dalla Rai nei giorni scorsi e, dunque, è già possibile darne un giudizio definitivo. Partiremo dall’aspetto tecnico e formale per poi passare a quello contenutistico e del “messaggio”.

I cacciatori del cielo si presenta come un prodotto ibrido. È una giustapposizione di scene recitate, filmati di archivio, parti narrate dai protagonisti del film come in un’intervista, persino segmenti di cartoni animati. Diciamo subito che il risultato non è esaltante. Il film finisce per non essere né carne né pesce.

È immaginabile una pellicola su un asso dell’aviazione in cui non si veda neppure un combattimento aereo? Secondo chi ha realizzato I cacciatori del cielo, sì. Ne sono rappresentati solo un paio, tramite brevi e grossolani segmenti di cartoni animati. La scelta è stata motivata dal desiderio di non apparire troppo “guerreschi” (memori di quando la Presidenza del Consiglio in mano al M5S censurò uno spot per la Festa delle Forze Armate perché aveva troppe scene di combattimento) o dalla mera mancanza di fondi?

Si investa di più nel cinema di guerra

Nella seconda e più probabile ipotesi – la carenza di denaro – non si può fare a meno di notare che, avendo la sola Aeronautica un bilancio miliardario e incassando la Rai annualmente quasi 2 miliardi dal canone, se ci fosse la volontà si potrebbero trovare i soldi per una produzione che, anche dal punto di vista degli effetti speciali e della spettacolarità, sia competitiva coi migliori film internazionali (Top Gun: Maverick, uno dei più recenti e ambiziosi film di guerra, è costato 170 milioni di dollari – per poi ripagarsi ampiamente al botteghino, dove ha incassato un miliardo e mezzo).

Non bisogna sottovalutare l’importanza delle produzioni cinematografiche. Le Forze Armate hanno bisogno vitale di un contesto favorevole per operare al meglio: se nel popolo mancano patriottismo, coscienza dell’interesse nazionale e del fondamentale ruolo ricoperto dai militari, questi ultimi si ritroveranno senza fondi, senza reclute, senza sostegno politico per le loro missioni. Investire in un film di caratura nazionale, se non internazionale, non sarebbe uno spreco di soldi, ma una magnifica operazione di educazione nazionale.

Se non c’era la volontà o la capacità per fare un film all’altezza, si potevano valutare altre strade. I cacciatori del cielo poteva essere prodotto come un docu-film, incentrandolo sulla ricostruzione storica, sostituendo le “interviste” recitate degli attori con quelle a esperti della materia, riducendo la recitazione a intervalli di sceneggiato – che a quel punto non avrebbero sfigurato. Oppure, con una mossa più ardita, si poteva puntare su un prodotto puramente di animazione. Siamo nel 2023 e sono ormai pienamente sdoganati i film di animazione per un pubblico adulto (si pensi solo agli anime giapponesi) – in particolare per i giovani adulti che, assieme agli adolescenti, dovrebbero essere il target principale della comunicazione delle Forze Armate.

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Basta annacquare il patriottismo

Non ci si può esimere da un commento riguardante la scelta dell’attore protagonista. Beppe Fiorello è senza dubbio un bravo protagonista, ma ha 54 anni che si vedono tutti. Nel film impersona una figura che, all’epoca dei fatti rappresentati, aveva tra i 27 e i 30 anni. La metà. L’incongruenza non è solo estetica, ma almeno in una scena pare influenzare persino la sceneggiatura: è quella in cui, parlando con l’amante Norina Cristofoli, Baracca/Fiorello si mostra scettico sulla possibilità di costruire con lei una famiglia non solo per la loro differenza d’età (la Cristofoli aveva 14 anni di meno, era appena sedicenne quando si conobbero), ma perché lui stesso si considererebbe un padre troppo vecchio: “I figli devono avere padri giovani”. Una frase che suona stonata in bocca a un nemmeno trentenne. Tutto ciò fa sorgere spontanea la domanda: perché scegliere proprio Fiorello per impersonare Baracca, a costo di essere forzati e anacronistici? Speriamo che la motivazione non stia nelle posizioni politicamente “corrette” dell’attore, apologeta ed aspirante interprete di Mimmo Lucano: un pedaggio pagato per evitare accuse di “militarismo”.

Accuse che, in ogni caso, avrebbero avuto pochi pretesti su cui reggersi. Lo vediamo giungendo a discutere della cosa più importante: i contenuti. Almeno da questo film, espressione dell’Aeronautica, ci saremmo attesi un chiaro messaggio di patriottismo e di celebrazione dell’eroismo dei nostri avi combattenti. Di ciò, invero, v’è ben poco. Molto meno dei riferimenti alla presunta ingiustizia della guerra – la nostra Quarta Guerra d’Indipendenza. La madre dell’eroe, Paolina Biancoli, è rappresentata quasi come una pacifista. Eppure, fu lei ad appoggiare la scelta del figlio di intraprendere la carriera militare, malgrado l’opposizione del padre. Scoppiata la guerra, la nobildonna – pur preoccupata e spaventata – incoraggiava Francesco Baracca a farsi onore.

In generale, la rappresentazione della guerra è solo tragica. I suoi protagonisti appaiono impauriti, ossessionati dal pericolo della morte. Ne avevano ben donde, eppure ciò stona con quanto si legge nei tanti diari di guerra degli ufficiali e dei volontari: l’esaltazione patriottica, il coraggio, la capacità di esorcizzare lo spettro della morte cercando di pensarvi il meno possibile.

Il messaggio centrale de I cacciatori del cielo, in ultima analisi, sta nella scena in cui Baracca, contestando l’ordine di mitragliare le trincee nemiche (non entreremo nel merito di tale tipo di missione, pericolosissima ma comune in tutte le forze armate impegnate nel conflitto), esprime il desiderio di un’arma aerea indipendente dall’Esercito. L’Aeronautica fa senz’altro bene a rivendicare con orgoglio la propria indipendenza, ma a cent’anni di distanza, e non essendo tale indipendenza messa oggi minimamente in discussione, forse il messaggio del film poteva essere più ambizioso ed “ecumenico”.

Aspettando un vero film di guerra italiano

In conclusione: si accoglie con favore la scelta della Difesa di impegnarsi in un’operazione cinematografica come I cacciatori del cielo. Sulla qualità di quanto sortito da tale impegno, ho molti dubbi. Tali critiche costruttive non vogliono però dissuadere dal perseguire la strada intrapresa, tutt’altro: i militari dovrebbero investire ancora di più in iniziative del genere. Con l’augurio che, nel nuovo clima politico, possano farlo senza dover scendere a patti col pacifismo e lo strisciante anti-militarismo della Sinistra.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" e "Geopolitica del Medio Oriente" all'Università Cusano. Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi. Il suo ultimo libro (come curatore) è L'attualità del sovranismo. Tra pandemia e guerra.