di Emanuele Mastrangelo

La “vegafobia”

Fra i “contenuti suggeriti per te” di Facebook spunta improvvisamente una infografica dell’agenzia di stampa ADNKronos. La pagina, parte di una serie dedicata alla “terminologia del dibattito” (insieme ad altri neologismi approvati dalla Crusca e rigorosamente di stampo woke, come “doomismo ambientale”, “fictosessuale”, “booster lover” e ovviamente “omotransfobia”) invita a ragionare su un neologismo: “vegafobia”. Definito poi come segue: Astio verso vegani e\o vegetariani manifestato con atti di stigmatizzazione, ridicolizzazione, o svalutazione soprattutto riguardo le ideologie antispeciste (grassetti nell’originale).

Inutile dire che la reazione del pubblico social è immancabilmente di sarcasmo. Ma, essendo – come vedremo – un false flag, i commentatori bombardano il falso scopo ignorando completamente l’offensiva nemica che avviene alle loro spalle. Analizzata in filigrana, questa apertura di dibattito – o meglio sarebbe dire di Finestra di Overton – indica che si è deciso da qualche parte di spostare l’asticella creando una nuova categoria protetta da quella fastidiosissima e pericolosissima attività umana che è il diritto alla libertà di parola e di espressione (che presto verrà finalmente abolito).

Il vero obiettivo: sopprimere la libertà di parola

Innanzitutto perché quando qualcuno si inventa una nuova “fobia” è perché l’obbiettivo finale è che essa venga iscritta sul codice penale (“La tua non è un’opinione, è un reato”). E game over. Poi, entrando all’interno della definizione data dall’ADNKronos di questo nuovo neologismo, vediamo che il prossimo futuro “reato d’odio” è costituito dalla “stigmatizzazione, ridicolizzazione, o svalutazione”. In altre parole, qualunque forma di contestazione dell’ideologia vegana, dello stile di vita vegetariano o – in cauda venenum – anche del cosiddetto “antispecismo”, ossia quella teoria secondo cui tutti gli esseri viventi devono avere diritti uguali a quelli degli esseri umani, e questi ultimi ovviamente non possono arrogarsi il “privilegio” di allevare le bestie per macellarle, mungerle, toglier loro le uova o altrimenti sfruttarle.

Dunque, nonostante ogni tentativo di auto-illudersi di chi non vuol vedere alberi né foresta, non è lontano il giorno in cui il fare ironia o perfino contestare, dati scientifici alla mano, il veganesimo possa finire su un codice penale. Il meccanismo della Finestra di Overton è – per chi invece vuol vederlo – chiarissimo. D’altronde abbiamo assistito a una sua messa in pratica decine d’altre volte. Chiunque, superficialmente, pensi che si tratta solo dell’ennesima pagliacciata da social justice warrior coi capelli fluo dovrebbe ricordare che appena una decina d’anni fa era impensabile che un social bloccasse un profilo solo per aver condiviso la celeberrima stornellata del “greve” a Lino Banfi in Fracchia la belva umana.

La strategia progressista

Nella legislatura in chiusura è stato in discussione un disegno di legge, lo Zan, che nelle maglie del suo telaio ( deliberatamente e malignamente elastiche affinché sia lasciato arbitrio alla sensibilità della magistratura inquirente) prefigura possibili profili di rilevanza penale perfino in una condivisione social di quel tipo. In molti altri Paesi – i cosiddetti “Paesi avanzati” – esistono già norme del genere e si rischia il posto di lavoro o finanche il carcere per una barzelletta considerabile “omofoba” o per aver “sbagliato il pronome” che qualche confuso di cervello pretende di darsi contro il mondo, contro la realtà, contro la biologia. A girarsi indietro e guardare da dove si è partiti, ci si mostrerebbe una situazione non molto differente da quella della “vegafobia”.

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L’agenda “progressista” agisce secondo un copione che può essere facilmente visto all’opera e studiato in corpore vivi. Le varie mosse, come in una partita a scacchi, sono meccanicistiche e prevedibili. Va anche detto che questa partita è usualmente giocata fra un maestro – le Sinistre liberal – e un avversario pivello, a voler essere buoni – i fronti “conservatori”. Nei pochissimi casi in cui il giocatore per l’agenda “progressista” si ritrova davanti un avversario all’altezza – per esempio il governo di Viktor Orban in Ungheria – non esita a lanciare in aria la scacchiera mostrando… assai poca sportività. Soprattutto perché esperienze come quella ungherese dimostrano due importantissime realtà: la prima è che l’agenda “progressista” ha veramente il copione scritto di cui si diceva sopra. La seconda è che questo copione, una volta letto e studiato, diventa prevedibile e può essere ribattuto colpo su colpo con una strategia non solo di contenimento, ma perfino di contrattacco.

Per una controffensiva “reazionaria”

Nel medio periodo, nessun desiderata dell’agenda “progressista” sembra riuscire a trovare un vero argine. Vi sono temporanee battute d’arresto, come abbiamo visto la scorsa primavera per il Dll Zan, ma la strategia woke sa bene come aggirare gli ostacoli imprevisti. Limitare la propria opposizione a questa agenda covando qualche gloriuzza come la bocciatura di un disegno di legge significa solo posticipare l’inevitabile. Grazie all’abilità con cui la Sinistra liberal riesce a manipolare le Finestre di Overton, è solo questione di tempo per cui il punto dell’agenda temporaneamente bloccato riesca a essere imposto al popolo, o di riffa o di raffa.

È invece imperativo per un fronte conservatore elaborare una contro-strategia. E sarebbe anche davvero facile, visto che le mosse dell’avversario sono un libro aperto. “Conservare” e basta non è sufficiente perché l’abilità erosiva del fronte woke è spaventosamente più forte di ogni tentativo di conservazione. Se non si passa al contrattacco, se non si reagisce, se non si diventa “reazionari” la partita è già perduta.

Qual è la definizione di uno che riesce a perdere contro un nemico di cui conosce tutte le mosse? Apriamo il dibattito.

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Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).