di Marco Malaguti

Il più alto ed armonico sviluppo di tutte le forze umane verso una tonalità è stato […] il punto di riferimento che io ho tenuto sempre presente, e l’unico punto di vista in base al quale ho trattato l’intera materia delle mie “Idee per un saggio”. Rimane sempre profondamente vero che quest’intima energia dell’uomo è in effetti l’unica cosa per cui valga la pena di vivere, ch’essa non è solo il principio e il fine di ogni attività ma anche l’unica materia di ogni vero godimento, e che quindi ogni risultato deve rimanerle costantemente subordinato.
W.Fr. von Humboldt, lettera a Georg Forster, 1792

L’acquisizione, in via di attuazione, di “Twitter” da parte del miliardario Elon Musk, già proprietario di “Tesla”, ha rilanciato ulteriormente al rialzo le quotazioni dell’immagine del personaggio in questione. Con il suo proposito di riportare la democrazia in quello che è uno dei social network più popolari di sempre (a differenza del declinante Impero Meta), Elon Musk si è definitivamente consacrato come nuovo tycoon di riferimento per le destre conservatrici o alt-right occidentali, da un biennio orfane di un altro grande ricco di oltreoceano, Donald Trump, e non da oggi vittime di una dura campagna censoria da parte delle baronìe del web con sede nella Silicon Valley.

Trump e Musk, modelli o idoli?

Trump e Musk, tuttavia, rimangono personaggi abbastanza differenti.

Il primo, fieramente americano, cristiano, discendente (come moltissimi bianchi statunitensi) di immigrati tedeschi, è il volto di un’America conservatrice, incarnante l’anima isolazionista e garantista degli States. Musk, al contrario, si presenta in forma totalmente differente. Anagraficamente parlando, Elon Musk potrebbe essere figlio di Trump, avendo infatti venticinque anni di meno del magnate newyorkese, e già questo lo rende parte di un mondo differente. Diciamo di un mondo, anziché di un’America, perché Musk è americano, probabilmente, solo culturalmente.

Nato a Pretoria, in Sudafrica, è poi cresciuto e ha studiato in Canada, fino a trasferirsi negli Stati Uniti, Paese del quale ha acquisito la cittadinanza, pur mantenendo anche quella canadese. Si è definito “ateo o agnostico” e ha dichiarato di credere nella scienza. Almeno dal punto di vista delle informazioni di base, quindi, Musk risulta incarnare più lo stereotipo caro alle Sinistre cosmopolite o al woke capitalism che non alla Destra conservatrice o identitaria; più simile ad Obama, almeno nella biografia, che non a Trump.

Certo, il free speech, la libertà di espressione, è un tema fondamentale, ma è sufficiente tale tematica a rendere il miliardario amero-canadese-sudafricano, l’uomo più ricco della terra, un totem dell’area politica conservatrice? Ci arriveremo.

Musk non è un politico, o forse sì?

Musk si è occupato varie volte di politica, prevalentemente proprio tramite Twitter, polemizzando molto spesso con l’ideologia del woke capitalism prima menzionata, ma anche facendo dichiarazioni molto esplicite a proposito di quello che sembra essere il suo vero ambito di interessi, la futurologia.

Da “Starlink”, il sistema di oltre dodicimila satelliti che dovrebbe portare internet nei recessi più isolati del pianeta, a “Neuralink”, il progetto che si sta occupando di rendere possibile l’impianto di chip nel cervello umano, passando per i treni superveloci “Hyperloop” e per le missioni private su Marte, i propositi di Elon Musk sembrano implementare un’agenda transumanista-cosmista più che conservatrice o identitaria. A fronte di simili progetti di riforma non solo della società, ma della costituzione stessa dell’essenza dell’essere umano, la battaglia per il libero tweet ci appare come qualcosa di assolutamente marginale, quando non una sorta di specchietto per le allodole, il volto destro del Giano bifronte dell’utopia transumanista.

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Quello che filosoficamente ed eticamente è inaccettabile, come sempre, farà però i conti con la realtà. I conservatori sanno bene come frenare il progresso non sia possibile (diverso è se esso non si fermi da sé, di fronte alle guerre o alla scarsità delle risorse disponibili), ma sanno anche come la risposta alle problematiche debba essere sempre ed essenzialmente politica. La pandemia di Covid-19 doveva insegnare alle forze culturali e politiche della Destra conservatrice che la risposta ai problemi dell’uomo viene dalla politica e dalla cultura, non dai tecnici, quand’anche questi siano ricchi imprenditori di successo. Donald Trump, pur anch’esso distante, nel suo sfarzoso appartamento di New York o nella sua lussuosissima residenza di Mar a Lago, rappresentava ancora una figura politica, per la quale era la politica a dettare le regole del gioco. Possiamo dire lo stesso di Musk?

Restiamo umani

Vero è che l’eccentrico miliardario non si occupa, almeno per ora, di politica (la sua nascita fuori dai confini USA gli impedirebbe di candidarsi alle presidenziali), ma siamo davvero certi che oggi la politica possa smarcarsi così facilmente dallo sviluppo tecnologico e dai problemi della Scienza? Per quanto ancora rimarremo filosoficamente e culturalmente incapaci di capire che lo sviluppo tecnologico senza controllo è una minaccia alla sovranità degli Stati tanto quanto lo sviluppo incontrollato del mercato e delle grandi organizzazioni non governative trans-nazionali? Di più: la cultura conservatrice ha razionalizzato con l’idea che anche una risposta, da parte dello Stato, alla corsa agli armamenti della tecnologia, finirebbe per restringere ancora di più quella piccola cittadella di umanità essenziale che rimane agli occidentali di oggi?

Di fronte al raffinarsi della società e dell’economia, un grande filosofo e pensatore politico liberale, Wilhelm Freiherr von Humboldt, vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, aveva messo in guardia dal simultaneo moltiplicarsi di leggi volte a regolare il suddetto processo di raffinazione e moltiplicazione della complessità.

Nella lotta per la sopravvivenza, che è però contemporaneamente anche interconnessione ed osmosi simbiotica, tra sviluppo tecnologico e sovranità degli Stati, sopravvive quasi per caso il fragile interstizio delle libertà umane, della pratica della vita umana nella sua integralità essenziale fatta di esperienze, di amori, di viaggi, di contatto umano, di compiacimenti apollinei e di deliri dionisiaci. La filosofia di una Destra moderna dovrebbe, primariamente, presidiare questo interstizio, il cui arretramento è oggi direttamente proporzionale, oltre che ad una progressiva alienazione dei singoli individui (che dovrebbe far storcere il naso alla componente liberalconservatrice), anche ad un progressivo dilavamento delle identità collettive (fattore che invece dovrebbe inquietare le anime più identitarie e nazionaliste).

Attenzione, quindi, agli idoli che ci si sceglie: salire sull’autobus sbagliato, solamente perché abbiamo fretta e magari perché siamo senza ombrello sotto un temporale, rischia di portarci da tutt’altra parte rispetto a dove intendevamo realmente arrivare.

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.