di Giulio Montanaro

Il declino dell’Italia

“Vivere è diventato un esercizio burocratico”. “La situazione politica in Italia è grave, ma non è seria”. “Ho una tale sfiducia nel futuro che faccio solo progetti per il passato”. Citazioni del grande sceneggiatore ed elzevirista Ennio Flaiano, considerazioni fatte negli anni forse migliori per il nostro Paese dal dopoguerra in poi e che, quasi grottescamente, suonano più attuali che mai. Il quadro futuro del Belpaese mi spinge sempre più a riponderare non solo la satira di Flaiano ma anche le riflessioni di Pier Paolo Pasolini sul progresso o gli ammonimenti (non gli atti) di Ted Kaczynski sulla tecnologia.

Sta di fatto che, da quando son stato accolto sulle pagine di questo blog, ancora non avevo dedicato il giusto tempo al nostro Paese e la sua cultura. Non lo nego: non l’ho fatto per amor proprio. Ho deciso quindi d’iniziare l’anno con piglio diverso, più responsabile, redigendo alcuni pezzi al riguardo.

Recentemente ho avuto modo di parlare della situazione dei media durante un talk digitale (come si suole ora dire) presso la nostra Ambasciata a Mosca e, per prepararmi alla cosa, ho dovuto trovare il coraggio d’andare a guardar negli occhi il futuro del nostro Paese. Economia prossima al tracollo, arretramento culturale, decrescita demografica, disoccupazione e povertà cavalcanti, il quadro è di sicuro già conosciuto a molti lettori.

Fuori dalla Top 20 economie mondiali entro il 2050

Partiamo dall’economia. Una delle principali società di revisione contabile, la PWC, ha recentemente stilato un report sulle prospettive delle economie mondiali per il 2050. Be’, aspettarsi di riveder l’Italia al quarto posto, come prima d’esser svenduti alla salvifica Europa dalla premiata ditta “Mortadella & Baffino”, era chiaramente una pura chimera. Certo, però, che ritrovarsi sverniciati anche dai Vietnamiti, oltre che da Messicani, Indonesiani e Turchi, con tutto il rispetto per i loro bellissimi Paesi e culture, è cosa non accettabile per chi appartiene alla genìa che ha creato la modernità e sforna innovazione in ogni campo da secoli.

La triste realtà, ritratta da PricewaterhouseCoopers, è che l’Italia sprofonderà nell’abisso (con buona pace dei Draghi Boys) uscendo non dalla Top 10 ma dalla Top 20 delle economie mondiali.

Da PWC siamo passati all’Istat, dove, a fine Dicembre 2019, viene pubblicato un documento di ricezione di una direttiva delle Nazioni Unite che enuncia gli obiettivi posti agli Stati al fine di eliminare la povertà (non ditelo a Di Maio che è ancora da farsi), proteggere il pianeta ed assicurare prosperità a tutti.

I buoni intenti delle Nazioni Unite

Il secondo paragrafo del testo debutta cosi: “I 17 obiettivi sono declinati in 169 sotto-obiettivi che fanno riferimento a diversi domini dello sviluppo, relativi a tematiche di ordine ambientale, sociale, economico e istituzionale e che sono finalizzati a realizzare un progresso sostenibile”. Invito a dar un occhio alle priorità menzionate nel testo. Si ha la sensazione che a Ginevra come a New York avrebbero da obiettare che la covid assieme agli astri abbiano cospirato contro un esito positivo di queste politiche di “realizzazione del progresso sostenibile”. Però ecco, a dar un occhio alla cosa, vien quantomeno da sorridere.

Passiamo in rassegna solo le prime 5 priorità fissate dalle Nazioni Unite: eliminazione della povertà, eliminazione della fame, salute e benessere, qualità dell’educazione e parità dei generi… Riscontrando qualche discrasia tra gli aneliti delle Nazioni Unite e la situazione reale del Paese, abbiamo voluto verificare con i nostri occhi l’efficienza delle politiche di cui sopra esaminando il rapporto del 2021 su povertà ed esclusione sociale redatto dalla “Caritas”.

La realtà descritta dalla Caritas

Il report statuisce che “nel 2020 la rete Caritas … ha sostenuto più di 1,9 milioni di persone. Di questi il 44% sono nuovi poveri”, persone che si sono rivolte al circuito Caritas per la prima volta per effetto, diretto o indiretto, della pandemia”. Poi prosegue:

La crisi socio-sanitaria ha acuito anche le povertà pre-esistenti: cresce anche la quota di poveri cronici, in carico al circuito delle Caritas da 5 anni e più (anche in modo intermittente) che dal 2019 al 2020 passa dal 25,6% al 27,5%; oltre la metà delle persone che si sono rivolte alla Caritas (il 57,1%) aveva al massimo la licenza di scuola media inferiore, percentuale che tra gli italiani sale al 65,3% e che nel Mezzogiorno arriva addirittura al 77,6%. Siamo quindi di fronte a delle situazioni in cui appare evidente una forte vulnerabilità culturale e sociale, che impedisce sul nascere la possibilità di fare il salto necessario per superare l’ostacolo.

Forte vulnus culturale. Considerazione che ricorda una delle più celebri “sentenze” di George Soros sull’Italia negli anni ’90, quando profetizzò che il nostro Paese sarebbe sempre stato l’anello debole dell’Europa proprio per questioni culturali.

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Continua poi il report dalla Caritas, allargando lo sguardo al 2021:

rispetto al 2020 crescono del 7,6% le persone assistite, quelle che per la prima volta nel 2020 si erano rivolte ai servizi Caritas e  si trovano ancora in uno stato di bisogno sono il 16,1%. Rimane alta la quota di chi vive forme di povertà croniche (27,7%); più di una persona su quattro è accompagnata da lungo tempo e con regolarità dal circuito delle Caritas diocesane e parrocchiali. Preoccupa anche la situazione dei poveri “intermittenti” (che pesano per 19,2%), che oscillano tra il “dentro- fuori” la condizione di bisogno, collocandosi a volte appena al di sopra della soglia di povertà e che appaiono in qualche modo in balia degli eventi, economici/occupazionali (perdita del lavoro, precariato, lavoratori nell’economia informale) e/o familiari (separazioni, divorzi, isolamento relazionale, ecc.).

Chiudo il report Caritas con una considerazione sul reddito di cittadinanza: “Una persona su cinque (19,9%) di quelle accompagnate nel 2020 dichiara di percepire il Reddito di Cittadinanza (RdC)”.

Le macroproiezioni della Banca D’Italia

Con il debito pubblico e l’inflazione sempre più in ascesa, la disoccupazione cavalcante e l’impatto dell’automazione alle porte, si fatica ancor di più a comprender il seppur cauto ottimismo che emerge dalla lettura del report sulle macroproiezioni per la nostra economia del 17 Dicembre 2021 della Banca D’Italia.

La crisi demografica: un ritmo da estinzione in 300 anni

Per quanto riguarda la situazione demografica, a fine Novembre 2021 il sito “Statista” pubblica una proiezione della situazione demografica del nostro Paese prevedendo, tra anzianità e quindi mortalità e decrescita demografica, una diminuzione del 10% della popolazione italiana entro il 2050, passando da 60 a 54 milioni. A far i conti della serva, è un trend poco promettente. Un ritmo che se mantenuto stabilmente potrebbe potenzialmente eradicare dalla genetica planetaria gran parte del nostro DNA nel giro di tre secoli.

E c’è da presumere che l’automazione, tema di vero interesse nazionale pressoché ignorato ahimé anche dalle agende di destra, non aiuterà ad invertire l’orientamento demografico di cui sopra.

Il problema dell’automazione

Nonostante l’Italia, in virtù della natura del suo tessuto imprenditoriale, prevalentemente fatto di piccole-medie imprese poco inclini all’inclusione della tecnologia nelle loro aziende, ne risentirà meno di molte altre nazioni, ben 7 milioni di connazionali sono a rischio disoccupazione nei prossimi anni per via dell’automazione, come riporta un recente studio dell’Università di Trento.

Vedremo negli anni a venire quali litanie rivolgeranno al povero popolo italiano i mammasantissima di Bruxelles, presumibilmente per stimolare l’ennesimo promettente cambiamento ed al contempo giustificare le ultime imprevedibili ed inevitabili cicliche crisi economiche.

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Nato a Padova nel 1980, appassionato di lingue, storia e filosofia. Scrive fin da giovanissimo e dal ‘99 collabora con organi di stampa. Ha lavorato nel settore della musica elettronica, distinguendosi come talent scout e agente di alcuni degli artisti più importanti degli ultimi 15 anni. Ha fatto esperienze nella moda e nel tessile e vissuto in nove città differenti. Attualmente vive in Tunisia.