di Daniele Scalea

Eran trecento e non voller fuggire,
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morire col ferro in mano
e avanti a loro correa sangue il piano
Luigi Mercantini

La statua che non piace alle femministe

L’inagurazione, nel relativo comune, d’un monumento alla Spigolatrice di Sapri ha avuto un’eco nazionale. Non, purtroppo, perché gli italiani abbiano deciso di rammentare e commemorare l’impresa cui fa riferimento la scultura – il sacrificio dei coraggiosi patrioti che, guidati da Carlo Pisacane, nel 1857 cercarono di liberare il Sud dal giogo borbonico. Sfortunatamente certe pagine gloriose della nostra storia sono sempre più trascurate e neglette, sia per l’indolenza delle ultime generazioni sia per un ben preciso disegno ideologico mirante a precludere qualsiasi orgoglio patrio o senso d’identità nazionale agli italiani. È da quel medesimo milieu ideologico che è scaturita la polemica contro la statua realizzata dallo scultore Emanuele Stifano: “Sessista!”, berciano i soliti dottrinari della Sinistra.

La “colpa” di Stifano è quella d’aver rappresentato la figura letteraria della Spigolatrice (creata dal poeta marchigiano Luigi Mercantini) mostrandone ed esaltandone la bellezza fisica. Ad essere risultato indigesto a certe femministe è in particolar modo la raffigurazione della veste che, idealmente sospinta dalla brezza marina, aderisce al corpo mettendone in evidenza le forme podicee. Non manca chi, preso da furia iconoclasta (in questi tempi frequente a sinistra) o forse ispirato dal ritorno in auge dei talebani, chiede l’abbattimento dell’opera: è il caso della senatrice del Pd Monica Cirinnà, tra i tanti.

Perché non ha nulla di sessista

Partiamo da un primo punto: la statua di Stifano piace molto a chi scrive. Se non altro perché, in un’epoca in cui gli spazi pubblici vengono sistematicamente deturpati da incomprensibili grovigli di lamiera, un monumento che ripropone gli stilemi dell’arte classica merita elogi già solo per questo.

In secundis: i fini intellettuali che, come Alessandro Gassman, si chiedono se lo scultore avrebbe rappresentato allo stesso modo Garibaldi, mostrano completa ignoranza dell’opera di Stifano. Il quale, a Palinuro, ha rappresentato un altro personaggio leggendario ma uomo, il Nocchiero di Enea, mezzo nudo e con forte enfasi su una muscolatura idealizzata. Niente “sessismo”, dunque.

Nudità e storia dell’arte

Del resto, perché mai qualcuno dovrebbe offendersi all’idea di rappresentare un eroe in nudità, posa plastica e coi muscoli flessi? C’è un motivo se nella nostra lingua “scultoreo” significa, metaforicamente, dalle forme fisiche perfette, ed è precisamente che le sculture per gran parte della storia si sono fatte esattamente così. Gli studi anatomici dei grandi artisti che ancora oggi celebriamo servivano a creare una perfezione matematica delle forme, messa quasi sempre in risalto con la nudità dei soggetti. La scultura celebra ed idealizza: il David (nudo) di Michelangelo è prototipo di bellezza maschile, così come quello “efebico” di Donatello esalta una beltà adolescenziale e androgina. Né gli artisti rinascimentali hanno “innovato” in tal senso, poiché la nudità scultorea veniva dall’antichità classica.

Neppure i soggetti sacri sono sfuggiti a questa regola. Eppure, nessuno si sognerebbe d’accusare di “blasfemia” quella miriade di artisti che hanno rappresentato Cristo crocefisso seminudo e con muscolatura ben disegnata (o addirittura nudo, come il Brunelleschi nella sua scultura lignea o Michelangelo in quello della Minerva).

Questa prassi travalica i confini della Classicità e del Rinascimento (vituperato dai “progressisti”) e giunge fino all’età moderna. Canova rappresenta nudi Perseo come le Tre Grazie, Amore come Psiche. La Pudicizia di Corradini, che si trova in una chiesa, a dispetto del nome è un trionfo di sensualità, coi seni marmorei (in tutti i sensi…) che traspaiono visibilissimi dal drappeggio che li “copre”. Ma pure i potenti dell’epoca non trovarono disdicevole o degradante essere rappresentati in forme nude e idealizzate. Canova ritrasse Paolina Bonaparte, come Venere, a petto nudo; il fratello Napoleone, come Marte, completamente nudo (anche qui una perfetta equità di trattamento per i sessi).

Kalòs kai agathòs: bello e buono

Mi si perdonerà l’excursus storico-artistico, ma serviva per ricordare a certuni – che hanno studiato tanta gender theory ma evidentemente poca storia – come i secoli migliori dell’arte raffigurativa e celebrativa abbiano adottato l’ideale della kalokagathia: la perfezione morale che si sposa con quella fisica. Poco importava se quella perfezione a tutto tondo non equivaleva alla realtà: la raffigurazione doveva esaltare, suscitare ammirazione, spingere all’emulazione. E poi, proprio oggi che persino il realismo esasperato dell’arte socialista è stato superato dall’elogio dell’astrattismo e del concettualismo, vorrebbero da sinistra spiegarci che la Spigolatrice di Stifano non va bene perché probabilmente difforme da come doveva apparire una spigolatrice cilentana dell’Ottocento?

Dalla parte del Bello contro la “Body positivity”

Forse – viene il sospetto – a dare fastidio è proprio la raffigurazione della bellezza: una bellezza “classica”, “normale”, diremmo anzi “naturale”, in un’epoca in cui impera l’orribile body positivity. A tutte le generazioni sono stati mostrati modelli di perfezione fisica e tutte le generazioni li hanno ammirati, pur continuando a convivere con le imperfezioni individuali. A tutte le generazioni sono stati mostrati perché tutte le generazioni li hanno richiesti: chiunque trae piacere dalla visione d’una cosa bella. Oggi i soliti “progressisti” hanno però deciso che bisogna celebrare la bruttezza, basandosi sull’assunto che la bellezza sia un “costrutto sociale”. Purtroppo per loro, la bellezza è sostanzialmente oggettiva.

Esistono, ovviamente, gusti personali relativi ai dettagli. Esistono le parafilie. Esistono stravaganze culturali decisamente marginali (pensiamo alle “donne giraffa” del Myanmar – che se oggi non ci fossero turisti decisi a pagare per vederle avrebbero smesso di mettersi gli anelli al collo da un bel pezzo), ma a tal proposito andrebbe tenuto presente il monito di Desmond Morris, secondo cui non si dovrebbe dare troppo peso ad eccezioni insignificanti nella storia umana. La storia, l’esperienza e la scienza evolutiva ci spiegano che è “bellezza” ciò che suggerisce elevata capacità riproduttiva e di allevamento della prole.

Non è bello ciò che piace ma è bello ciò che è sano

Molti dei caratteri che noi interpretiamo come “belli” comunicano che la persona oggetto d’osservazione è sana e in salute. Non a caso i cultori della body positivity si trovano oggi ad esaltare e promuovere dei modelli insalubri, che rendono poco attraente ed espongono a malattie chiunque li persegua o vi si adagi: è il caso dell’obesità, “celebrata” con nuovi modelli quali quelli di Isold Halldoruttodir o Lizzo. Il problema, sia chiaro, non è che queste persone accettino la propria imperfezione e ci convivano serenamente: ne sono felice e auguro loro ogni bene. Il problema sta nel voler mettere in mostra, “normalizzare” e proporre come modello positivo condizioni patologiche pericolose per la salute (e le chance riproduttive). Che ciò sia esattamente quanto sta accadendo lo dimostra il fatto che, quando la cantante obesa Lizzo ha deciso di mettersi a dieta, i fan sono insorti considerandolo un gesto contrario alla loro ideologia. Stessa cosa successa a un’altra pingue cantante, Adele, quando si è mostrata dimagrita e con un fisico invidiabile.

Il sospetto è lecito: se la Spigolatrice di Sapri fosse stata rappresentata brutta e obesa oggi Stifano sarebbe elogiato come campione della body positivity. Grazie a Dio non l’ha fatto: e perciò lo celebriamo come campione dell’arte.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" e "Geopolitica del Medio Oriente" all'Università Cusano. Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi. Il suo ultimo libro (come curatore) è L'attualità del sovranismo. Tra pandemia e guerra.

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