di Nathan Greppi

Da quando, all’indomani dell’elezione nel 2016 di Donald Trump, il concetto di “fake news” ha iniziato a venire dibattuto come mai prima di allora, la Sinistra ha spesso accusato la Destra di diffondere notizie false per raccattare consensi. Tuttavia, se si guardano nel dettaglio le dichiarazioni dei politici di ogni schieramento in Italia, emerge chiaramente che anche i politici del PD e dei partiti alla sua sinistra abbiano detto falsità nel corso del tempo. Anche il blogger e cacciatore di bufale David Puente, intervistato dal quotidiano “Italia Oggi” nel 2017, dichiarava che, sebbene i populisti sarebbero più propensi a diffondere bufale, “anche ambienti vicini al Pd e alla sua comunicazione hanno usato in Rete notizie parziali o forzate”.

Uno dei problemi principali è che spesso, almeno in Italia, i debunker non sono figure obiettive e apartitiche, ma hanno militato in partiti di sinistra. L’appena citato David Puente ha lavorato dal 2007 al 2011 per la Casaleggio Associati, per la quale curava la comunicazione digitale di Antonio Di Pietro e del suo partito, l’Italia dei Valori. Partito di cui fu anche coordinatore regionale per il Friuli Venezia Giulia del movimento giovanile. Mentre il giornalista Emilio Mola, che su “Facebook” ha più di 200.000 follower, prima di smontare bufale sui social è stato nel direttivo provinciale di Brindisi dei Democratici di Sinistra, nonché loro segretario cittadino nel comune di Oria. Dal 2015 è stato l’addetto stampa di Maurizio Bruno, allora sindaco PD di Francavilla Fontana (sempre in provincia di Brindisi).

A dare un’idea più chiara della questione è il sito “Pagella Politica“, che in una sezione apposita raccoglie schede di vari politici analizzando diverse loro dichiarazioni, spiegando quando dicono la verità e quando dicono cose in parte o totalmente false. Sebbene non tutti ricevano la stessa attenzione (su Matteo Renzi, il più analizzato, ci sono 409 schede, mentre su Mario Draghi ce ne sono solo 5), è comunque utile perché dimostra che chi accusa la Destra di diffondere fake news non è nella posizione per sentirsi migliore. Ecco dieci esempi di affermazioni false fatte da politici di sinistra:

  • Alessandro Zan: il 5 aprile 2020 il deputato del PD, noto per il DDL che prende il suo nome, ha affermato in un video-messaggio su “Facebook” che il primo ministro ungherese Viktor Orbán usando i pieni poteri emergenziali “ha fatto una legge che, di fatto, tiene il nome di origine e il sesso di origine nei documenti delle persone transessuali che hanno fatto un percorso di transizione, anche di riattribuzione del sesso”. Come facevano notare gli analisti del sito, Zan non era corretto: la “legge” era solo un disegno di legge e certo non imposta sfruttando i “pieni poteri” che Orbán si è fatto conferire per fronteggiare l’emergenza coronavirus.
  • Enrico Letta: ospite nel gennaio 2019 del programma Rai “Che tempo che fa”, l’attuale segretario PD contestava una dichiarazione dell’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini: secondo Letta, la diminuzione degli arrivi dei migranti non riguardava solo l’Italia, ma anche tutti gli altri Paesi europei. E, pertanto, secondo lui Salvini non aveva meriti da rivendicare. Pur di dare addosso al leader leghista affermava delle falsità. Se è vero che nel 2018 sono arrivati in Europa circa il 20% in meno di migranti, è anche vero che per i Paesi di primo approdo come il nostro la questione era ben diversa: mentre in Italia gli arrivi nel 2018 erano diminuiti dell’80% rispetto al 2017, Spagna e Grecia avevano registrato grandi aumenti, rispettivamente del 131% e del 45%.
  • Giuseppe Conte: il 24 novembre 2020, durante una videoconferenza organizzata in Senato, l’allora premier ha dichiarato che, durante i primi mesi del lockdown in Italia, i femminicidi sarebbero “triplicati”, raggiungendo la media di “uno ogni 2 giorni”. In realtà, stando ai dati, la media giornaliera durante il lockdown è stata di circa un femminicidio ogni 5 giorni. Nei primi mesi di lockdown, tra marzo e aprile 2020, sono state uccise 12 donne in Italia, mentre nel periodo marzo-aprile 2019 erano state 24, il doppio.
  • Matteo Renzi: intervistato dal “Corriere della Sera” nel febbraio 2019, l’ex-Primo Ministro sosteneva che sotto i governi suo e di Gentiloni la povertà sarebbe diminuita. Anche in questo caso, il sito fa notare come la realtà fosse ben diversa: se si considera la percentuale di famiglie residenti in povertà assoluta rispetto a quelle totali, questo dato era del 6,1% nel 2015 e del 6,3% nel 2016, salendo ancora al 6,9% nel 2017. Secondo l’ISTAT, anche l’intensità della povertà era aumentata: nel 2017 l’intensità di povertà assoluta familiare era del 20,9%, in aumento sia rispetto al 2016 (20,7%) sia rispetto al 2015 (18,7%). L’analisi conclude facendo notare che sotto Renzi e Gentiloni i tassi di povertà fossero i peggiori mai avuti dal 2005.
  • Nichi Vendola: nel dicembre 2012 l’allora presidente della Regione Puglia scrisse su “Twitter” che, sotto i governi Berlusconi, l’Italia aveva avuto il massimo picco di pressione fiscale. In realtà, almeno fino a quell’anno, il picco della pressione fiscale era stato raggiunto nel biennio 2006-2007, durante il secondo Governo Prodi.
  • Nicola Fratoianni: nel febbraio 2019 il segretario di Sinistra Italiana ha accusato lo Stato italiano, in un articolo su “L’Huffington Post”, di spendere molto di più per un cittadino lombardo che non per un cittadino pugliese: 14.000 euro per il primo, 10.000 euro per il secondo. La verità era totalmente diversa: nel 2019 nella classifica della spesa regionalizzata la Lombardia era all’ultimo posto, con la spesa minore: 2.733 euro per abitante. Al primo posto c’era la provincia autonoma di Bolzano, con 10.251 euro, mentre la Puglia si collocava quindicesima, con 3.627 euro per abitante.
  • Nicola Zingaretti: nell’aprile di quest’anno, ospite del programma di Rai 3 “Mezz’ora in più”, l’ex-segretario PD ha affermato che la variante inglese del Covid sarebbe “40 volte più contagiosa” delle precedenti. In realtà, diverse stime dicevano che la variante inglese sarebbe più contagiosa rispetto alle altre tra il 35% e il 90%, o al massimo il doppio (100%).
  • Paolo Gentiloni: nel dicembre 2015 l’allora Ministro degli Esteri disse che “i Paesi che non vogliono accogliere i migranti sono anche i Paesi che hanno il tasso di invecchiamento più importante a livello europeo. Guardatevi le tabelle sulla quota di persone over 60 anni in Europa: il Paese che in assoluto ne ha di più si chiama Ungheria”. In realtà, nella classifica dei Paesi con più abitanti sopra i 60 anni l’Ungheria era al tredicesimo posto, con il 24,4% (leggermente più in basso della media UE, che era del 24,6%). In testa alla classifica c’erano l’Italia (27,4%) e la Germania (27,1%), che non hanno certo usato metodi duri per respingere i migranti: basti ricordare che fu l’anno in cui la Merkel fece entrare nel suo Paese un milione di siriani o presunti tali.
  • Roberto Speranza: nel novembre 2020, ospite del programma “Mezz’ora in più” su Rai 3, il Ministro della Salute si rivelò tutt’altro che trasparente nel rendere pubblici i dati sulla pandemia. Alla domanda della conduttrice Lucia Annunziata, che chiedeva: “Perché non date i dati? Quali dati vi vengono richiesti che non state fornendo?”, Speranza rispose: “I nostri dati sono pubblici”. La verità era un’altra: stando a “Pagella Politica”, al momento della pubblicazione del DPCM del 3 novembre i numeri del monitoraggio non erano pubblicamente consultabili. Due giorni dopo, il 5 novembre, il Ministero ha pubblicato un PDF con i dati dei diversi indicatori, ma questi presentavano diversi limiti. Oltre a non essere del tutto completi, per esempio, non erano in un formato utile per essere rielaborati.
  • Stefano Bonaccini: il 2 settembre 2019, ospite del programma “Omnibus” su La7, il presidente della Regione Emilia-Romagna disse che la sua regione “da 5 anni è la prima per crescita” in Italia. Ma le cose stavano diversamente: nel 2017, ad esempio, il PIL dell’Emilia-Romagna è cresciuto del 2,21% rispetto al 2016, facendone la settima regione in classifica. Ai primi posti c’erano la Lombardia (+3,09%), il Veneto (+2,80%) e la Calabria (+2,39%). Mentre nel 2016, con un 2,66% in più rispetto all’anno precedente, la regione di Bonaccini si era piazzata quarta, dietro Lazio (+3,92%), Veneto (+3,23%) e Lombardia (+2,81%). Il primo posto immaginato da Bonaccini non si è visto neanche nel 2015: in quell’anno il PIL dell’Emilia-Romagna è aumentato dell’1,98%, al decimo posto della classifica. Nel 2014, invece, il suo 2,14% in più la collocava al quarto posto.
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Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate MosaicoCultweek e Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).