di Silvio Pittori

La scritta “La legge è uguale per tutti” campeggia nella aule dibattimentali alle spalle del giudice, unitamente all’emblema dell’errore giudiziario, rappresentato dal Crocifisso. Nell’errato posizionamento di detta scritta e del Segno dell’Assoluto fattosi uomo, ha probabilmente origine il fallace senso di onnipotenza mostrato da una parte della Magistratura negli ultimi anni, che ha peraltro accompagnato la sua stessa crisi, la cui incubazione risale alla stagione di Mani Pulite. Una Magistratura il cui smarrimento si è disvelato ai cittadini nella sua crudezza e drammaticità negli ultimi due anni e che, nonostante ciò, alza nella sua forma associativa gli scudi contro un diritto costituzionalmente garantito rappresentato dall’istituto referendario, diritto di cui il Popolo sovrano è titolare, paragonandolo ad una evocazione del Popolo, da parte della politica, affinché esprima un giudizio di “gradimento” sulla medesima Magistratura.

Circa venti anni fa si assisteva alla “resistenza” di una parte della Magistratura nei confronti del potere legislativo (delle cui leggi la Magistratura, stando alla lectio dell’immenso giudice Livatino, dovrebbe limitarsi a fare applicazione); potere legislativo fatto coincidere da alcuni magistrati con un corpo politico amorale che avrebbe dovuto essere rimodellato dalla stessa Magistratura, nel nome di una sorta di Stato etico. Una classe politica che, tranne isolati uomini, si prostrava davanti ai magistrati in una sorta di resa della Politica e dei poteri legislativo ed esecutivo a chi è chiamato soltanto a dare applicazione alla Legge.

Dopo venti anni assistiamo ad una sorta di contrappasso, con parte della Magistratura che dovrebbe ritrovare la stessa dimensione etica rivendicata all’epoca dai politici, e che, al contrario, astenendosi da un bagno di doverosa umiltà, tenta di sottrarsi ad un esito referendario, corrispondente all’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, che altri non è se non un legittimo pronunciamento popolare al pari di quei pronunciamenti che quotidianamente i giudicanti emettono in nome di quel popolo al cui giudizio vorrebbero adesso sottrarsi. Anche coloro che esternavano dubbi sui quesiti referendari, dopo la nuova presa di posizione dell’associazione nazionale magistrati, saranno indotti a partecipare al referendum. Non è neanche pensabile che chi, a qualsivoglia titolo, è parte integrante di quel sistema che sta emergendo con gli scandali Palamara, Amara, Eni, e che in qualunque Paese democratico sarebbe stato costretto quantomeno ad autosospendersi in attesa di giudizio, non soltanto pretenda di fuggire al verdetto popolare ma richiami persino ad una “ferma reazione”, velatamente minacciosa. Anche perché i cittadini hanno già da tempo espresso il loro giudizio disincantato sulla Magistratura e, di conseguenza, purtroppo, sulla Giustizia, lamentando da almeno quindici anni l’assenza della Giustizia accompagnata dalla assenza della Sicurezza, i due pilastri di qualunque sistema democratico.

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Sarebbe bastato da parte della Magistratura ascoltare di più le chiare voci che si levavano quotidianamente in tale seno dalla società civile, per comprendere come già prima degli ultimi scandali il gradimento dei cittadini nei confronti della Magistratura fosse al minimo storico: la risposta referendaria si limiterà soltanto a certificare una realtà che accompagna da troppi anni questo Paese. Toccherà allora a quei magistrati che, fortunatamente, costituiscono la parte maggiore della Magistratura, adusi a vivere eticamente la loro funzione essenziale, e che mai tralascerebbero all’interno di un processo prove a discarico, riprendere in mano il destino della stessa Magistratura, compito che si sostanzia nel riprendere in mano, insieme alla Politica e alla stessa società civile, il destino del nostro meraviglioso Paese. Ad maiora.

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Avvocato cassazionista con sede a Firenze, esperto in diritto civile societario e in diritto penale di impresa e contrattualistica. Laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Firenze.