di Silvio Pittori

Tutto si è compiuto. Sabato, 18 aprile 2021, abbiamo assistito al rinvio a giudizio di Matteo Salvini per i fatti relativi al cosiddetto “caso Open Arms”.

Soltanto chi non conosce dall’interno il “sistema Giustizia” può restare disorientato di fronte alla circostanza che, per casi pressoché analoghi, due Procure, poste persino a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra, espongano in un’aula di Tribunale un’opinione diametralmente opposta, chiedendo in un caso il proscioglimento e, nell’altro, il rinvio a giudizio dell’indagato. Si tratta di situazioni rientranti nella più assoluta normalità. Tant’è che a Catania il pubblico ministero ha chiesto al magistrato giudicante il non luogo a procedere, pertanto un provvedimento che ponga fine al procedimento, mentre a Palermo la richiesta della Procura è stata quella  di rinviare a giudizio Matteo Salvini, colpevole di avere tenuto, quale ex ministro dell’Interno (muovendosi pertanto il predetto nell’ambito della previsione di cui all’articolo 95 della Costituzione), una condotta complessivamente grave, anche in termini di pena, che configura asseritamente i reati di sequestro di persona, persino in forma aggravata, e di rifiuto di atti di ufficio. Non deve quindi stupire la diversa interpretazione dei medesimi fatti da parte di due Procure, visto che persino il Senato della Repubblica ha mostrato come, di fronte ad un caso analogo, si possano assumere decisioni diverse a seconda che il ministro faccia parte o meno della maggioranza di governo.

I fatti trattati a Palermo sono noti e possono essere sintetizzati nella negazione del diritto, preteso dalla nave Open Arms, di attraccare in un porto dello Stato italiano dopo che la stessa nave aveva ripetutamente disatteso l’invito di Malta e della Spagna (di quest’ultima la Open Arms batteva bandiera) di attraccare nei loro porti: o L’Italia o morte, in un vero e proprio braccio di ferro con il nostro Paese, fors’anche per evitare che un approdo presso altri Paesi potesse costare al comandante ed all’equipaggio la contestazione del reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina.

Il rinvio a giudizio, come ha correttamente evidenziato il difensore dell’ex Ministro, non preclude la futura assoluzione nel merito. Su ciò siamo tutti d’accordo. Inutile però negare che il rinvio a giudizio sia causa, al di là delle apparenze, in qualunque essere pensante di una seria preoccupazione idonea ad incidere sulla vita quotidiana per anni, conoscendo anche i tempi processuali. Nel caso che ci occupa la preoccupazione potrebbe essere anche maggiore, stante il legittimo timore, espresso da molti osservatori e giuristi, che il processo possa risentire di pressioni politiche, che, purtroppo, si sono già manifestate. L’una, rappresentata dalle parole del magistrato Palamara, che ha evidenziato come, a prescindere dalla infondatezza del fatto di cui è imputato Salvini, una parte della Magistratura fosse dell’opinione di dover comunque attaccare il leader della Lega; l’altra, fors’anche inconsapevole, rappresentata da una felpa inneggiante ad Open Arms indossata due giorni prima dell’udienza preliminare dal segretario del Partito Democratico, quantomeno con scarso buongusto, e dal silenzio assordante sul rinvio a giudizio da parte dei rappresentanti della sinistra. Grida di giubilo, al cospetto della decisione del giudice per l’udienza preliminare, da parte dei globalisti senza se e senza ma, dei fautori dei ponti e dell’abbattimento di qualunque muro, anche se quel muro è rappresentato soltanto dal diritto di ciascun Paese di salvaguardare i propri confini nell’interesse dei cittadini.

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Ho la certezza che Matteo Salvini sarà assolto, ma sono altresì certo che l’ex ministro dovrà credere ancora a lungo nella Giustizia perché la stessa possa realmente manifestarsi: ed immaginare che ad attendere detta epifania sia costretto il segretario del partito che (sondaggi alla mano) rappresenta all’incirca un quarto degli italiani non mi rasserena, stanti i precedenti nel nostro Paese.

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Avvocato cassazionista con sede a Firenze, esperto in diritto civile societario e in diritto penale di impresa e contrattualistica. Laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Firenze.