Their next destination? Il caso Diciotti. Osservazioni sulla domanda di autorizzazione a procedere verso il Ministro dell’Interno è il nuovo Dossier del Machiavelli, redatto da Antonio Bellizzi di San Lorenzo (Ricercatore dell’Università di Firenze).

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SOMMARIO ESECUTIVO

  • La relazione del Tribunale dei Ministri di Catania non dimostra alcun fatto di rilevanza penale da ascriversi al Ministro dell’Interno.
  • Lo stesso Pubblico Ministero aveva chiesto l’archiviazione né è menzionata denuncia da parte di alcuna delle presunte persone offese. Se sussistesse il reato ipotizzato di sequestro bisognerebbe perseguire anche gli esecutori e le autorità responsabili di non essere intervenute a impedire il protrarsi di un reato avvenuto alla luce del sole.
  • Chiave di volta dell’accusa è l’omessa indicazione del «luogo sicuro», invocandosi la Convenzione di Amburgo (SAR 1979), la quale stabilisce però che luogo sicuro temporaneo possa essere la stessa nave.
  • La relazione del Tribunale dei Ministri sembra dunque individuare un «diritto di sbarco» che non ha fondamento giuridico, oltre a ignorare la presunzione di legittimità dell’operato dei pubblici poteri, invertita in una presunzione di illegittimità.

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VERSIONE SOLO TESTO

[showhide type=”testo” more_text=”Mostra di più” less_text=”Mostra di meno”] 1. Impianto retorico-argomentativo della relazione del Tribunale dei ministri di Catania: dare per scontato l’oggettività del reato, provandone la riconducibilità soggettiva al Ministro dell’Interno. Ma il fatto non sussiste come reato
L’indubbia abilità retorico-argomentativa del Collegio etneo è quella di costruire una narrazione giuridico-fattuale, che dà per scontato che sussista un fatto di reato – l’asserito sequestro di persona dei migranti abbandonati dalle autorità maltesi ai flutti del Canale di Sicilia, salvati dalla Marina Militare italiana e rimasti a bordo di un suo mezzo nel porto di Catania dal 20 al 25 agosto – dandosi i magistrati, come fine, di dimostrare che vi sia un responsabile da individuarsi nel Ministro dell’Interno pro-tempore.
Ma al sottile sottotesto della narrazione che il grave reato contro la libertà personale sia stato sicuramente commesso ed al testo dell’ardita prova che un uomo solo del Governo ne sia il responsabile, si oppone invece la tomistica autoevidenza fattuale e giuridica che nessun fatto di reato è stato commesso ai danni dei migranti della Diciotti e che la responsabilità – che i magistrati si danno pena di dimostrare – è solo la responsabilità politica alla luce del sole, di un Ministro dell’Interno che – nell’assenso manifesto e conclamato dell’intero Collegio governativo – ha gestito in soli 5 giorni (la durata dell’ipotetico sequestro) l’esigenza di bilanciare l’interesse ad una destinazione successiva delle persone straniere soccorse e salvate, nel pieno rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali, violate invece da Malta rifiutando il soccorso, con l’interesse del popolo italiano, sovrano sul proprio territorio (art.1 Cost.), a che il proprio indirizzo politico di maggioranza espresso chiaramente nelle elezioni del 4 marzo 2018 venisse rispettato dagli altri Stati membri dell’Unione europea, con riferimento alla limitazione dell’immigrazione clandestina ed all’improcrastinabile distribuzione solidale dei migranti sbarcati in Italia, su tutto il territorio dell’Unione Europea, i cui confini marittimi meridionali coincidono inequivocabilmente con la fine delle acque territoriali italiane a sud della Sicilia.
Ragion per cui la relazione del Tribunale di Catania – sezione reati ministeriali, non riesce a dimostrare alcun fatto di rilevanza penale da ascriversi al soggetto, nei cui confronti domanda al Senato autorizzazione a procedere (frustra probatur quod probatum non relevat!).
2. Due singolarità del procedimento: I) La duplice richiesta dell’archiviazione del P.M., trattandosi di «potere esercitato nell’interesse pubblico nazionale»; II) l’assenza di menzione di denunce delle presunte persone offese
La suddetta insussistenza del fatto di reato, ascritto in modo surreale al Ministro dell’Interno, collima esattamente con le conclusioni, cui perviene il Procuratore capo della Repubblica di Catania che, da fine giurista, qualifica il comportamento in questione del Ministro dell’Interno «potere esercitato nell’interesse pubblico nazionale come tale insindacabile da parte del giudice penale». E qui balza agli occhi la prima singolarità di questa domanda di autorizzazione a procedere, ossia che quello che per la Costituzione italiana (art.112) è il titolare dell’azione penale ossia il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore distrettuale della Repubblica di Catania, ha chiesto al c.d. Tribunale dei Ministri l’archiviazione del procedimento, mentre lo stesso Tribunale – sezione per i reati ministeriali, che è organo collegiale istituito con ratio di filtro-garanzia verso eventuali eccessi inquisitori delle Procure nei confronti di ministri, si è invece determinato ad un supplemento di indagini ed a chiedere l’autorizzazione a procedere, nonostante pure la successiva reiterata istanza di archiviazione del suddetto Pubblico Ministero.
Così come un’altra singolarità di questo atto di accusa per il grave delitto contro la persona, qual è il sequestro della stessa, non rechi menzione di una denuncia ovvero di una pur irrituale doglianza di nessuna delle 177 presunte persone offese, di cui peraltro un cospicuo numero risulta poi fuggito, prima della identificazione, dal centro raccolta di Messina, dove condotti successivamente allo sbarco del 25 agosto.
E, per la migliore comprensione della vicenda, deve essere precisato che dei 190 migranti originariamente salvati dalle motovedette italiane in acque maltesi e poi trasbordati sul pattugliatore U. Diciotti (di cui 143 uomini, 10 donne e 37 minori), già il giorno stesso del salvataggio, ossia il 16 agosto, nemmeno dopo 3 ore dal trasbordo delle ore 7.43, i 13 migranti in precarie condizioni di salute erano stati sbarcati a Lampedusa, alle ore 10 del mattino, in base al protocollo sanitario MEDEVAC; che nei 5 giorni di ormeggio nel porto di Catania dei 177, due erano fuggiti a nuoto e che già la sera del 22 agosto i minori non accompagnati erano sbarcati a Catania.
3. Decontestualizzazione del segmento della vicenda Diciotti, inerente alla permanenza degli immigrati a bordo nel porto di Catania dal 20 al 25 agosto, dal più complesso esercizio di potere politico coinvolgente profili nazionali ed internazionali; sua sussunzione irragionevole nella fattispecie penale di sequestro di persona; riduzione della funzione di governo a mera funzione amministrativa
In questo quadro, l’impalcatura probatoria allegata dal Tribunale etneo è data da dichiarazioni di alti Funzionari ed Ufficiali che documentano la riconducibilità al Ministro e quindi al Governo di una decisione, la quale prova soltanto la scoperta dell’acqua calda ossia che esiste uno Stato italiano, con un centro decisionale, che si chiama Governo, che si raccorda con gli organi operativi attraverso una catena gerarchica; che le decisioni politiche in senso alto sono più complesse dell’asfittica sussunzione ex post di fatti decontestualizzati in una fattispecie astratta quale il «sequestro di persona» ex art.605 c.p. Infatti l’irriducibile dimensione politica governativa implica la ponderazione, ex ante o nel mentre del loro manifestarsi, d’interessi collettivi contrapposti, senza ignorare quelli individuali, certo, come quelli afferenti ai Diritti umani ma, come nel caso di specie, contemperando l’interesse nazionale secondo l’indirizzo politico espresso dal popolo sovrano – sotto il profilo delle politiche migratorie – con le relazioni internazionali in scenari di crisi con Stati limitrofi come Malta e nel contesto unitario europeo; rientrano poi, in tale doverosa ponderazione, l’ordine pubblico interno, i pericoli di terrorismo, il rischio di propagazione di malattie contagiose, la sostenibilità economico-finanziaria di ogni scelta operata, l’impatto sociale, le prospettive d’integrazione, etc.
Il che val quanto dire che tanto il Potere giurisdizionale è tenuto ad applicare qualsiasi norma secondo il principio di ragionevolezza e non di mera sussunzione, quanto esso deve tenere presente nel relazionarsi con il Potere politico l’altro principio cardine della presunzione di legittimità dell’operato dei pubblici poteri, che – se è vincibile in uno Stato di diritto da prova contraria – non può nemmeno invertirsi e pervertirsi in una presunzione d’illegittimità dell’azione di Governo, quale emerge dalla lettura della relazione del Tribunale di Catania. Se infatti è la stessa complessità d’interessi coinvolti a postulare una sintesi valutativa dinamica di convergenza decisionale-operativa e apicale propria della Funzione di Governo di uno Stato democratico di diritto, appare quantomeno riduttivo leggere giuridicamente l’operato governativo espressosi tramite il Ministero dell’Interno, come la pretesa di arrogarsi una exceptio principis al principio di Legalità, ispirata da un «movente politico» (Trib.Catania, p.47): ci si rende conto che «il movente» è categoria penalistica pertinente alla ricerca della più remota causa psichica conscia o inconscia del più grave degli illeciti, qual è il reato? Si potrebbe obiettare: ovvio che il Tribunale se ne renda conto, in quanto sta chiedendo l’autorizzazione a procedere proprio per un fatto che assume di reato! Ma non è affatto ovvio invece il rovesciamento di prospettive del Collegio etneo, laddove scrive: «l’atto del ministro Sen. Salvini costituisce piuttosto un atto amministrativo che perseguendo finalità politiche ultronee rispetto a quelle prescritte dalla normativa di riferimento, ha determinato plurime violazioni di norme internazionali e nazionali, che hanno comportato l’intrinseca illegittimità dell’atto amministrativo censurata da questo Tribunale» (ibidem, neretto mio). Infatti, l’implicazione che si trae dalla suddetta lettura giuridica è che si liquida il quid proprium della Funzione di Governo, nel caso di specie, a mera «amministrazione», facendo paradossalmente regredire
la «causa di attribuzione del potere» a contingente «motivo» dell’agire individuale di un Ministro, ridotto a semplice «amministratore», il quale compiendo una valutazione politica nel suo ufficio, «delinque».
4. Due paradossali singolarità del reato ipotizzato: I) un sequestro di persona senza esecutori?; II) un reato permanente non impedito dalla P.G. ed ispezionato da un P.M.?
L’applicazione irragionevole della fattispecie di sequestro di persona è gravida di altri due singolari e paradossali corollari: 1) del presunto sequestro di persona ascritto alla responsabilità apicale ma verbale del Ministro non vengono indicati gli esecutori materiali, i quali, «per la contradizion che nol consente», non potrebbero che coincidere con gli appartenenti allo stesso personale operante sulla nave U. Diciotti, anche tenuto presente che il militare ha il dovere di non eseguire ordini la cui esecuzione costituisce manifestamente reato (art.729 D.P.R. n° 90 del 2010 – T.U.R.O.M.) come il sequestro di persona!; 2) poiché il sequestro di persona è per definizione un reato permanente, la cui offesa al bene giuridico protetto dalla norma penale libertà personale si protrae nel tempo, ebbene la lampante sussistenza dello stesso, alla luce del sole, nel placido porto di Catania e sotto i riflettori dei media, avrebbe imposto alle forze di Polizia giudiziaria, a qualsiasi titolo operanti attorno alla Diciotti, di provvedere di propria iniziativa alla immediata liberazione dei presunti sequestrati, in applicazione dell’inequivocabile art. 55 del codice di procedura penale: «La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori». (Per la Polizia di Stato l’obbligo di non eseguire ordini che costituiscono manifestamente reato, v. art.66 comma IV , Legge 121 del 1981).
A tacer del fatto che il 22 agosto il Procuratore di Agrigento accompagnato da un appuntato dei Carabinieri si portava sulla nave Diciotti, dando atto ai media che l’apertura di un fascicolo per sequestro di persona si era resa necessaria onde procedere alla suddetta ispezione: ed è proprio dalla iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Agrigento che è partita tutta questa vicenda, perché poi il P.M. di Agrigento ha trasmesso gli atti al Tribunale di Palermo – sezione reati ministeriali, il quale ha escluso ogni responsabilità penale del Ministro fino al 19 agosto, dichiarandosi poi incompetente territorialmente – dal momento dell’attracco della nave il 20 a Catania – trasmettendo gli atti al Procuratore della Repubblica competente di Catania, il quale – come già detto per il prosieguo della vicenda dal 20 al 25 agosto – chiede l’archiviazione al Tribunale di Catania – sezione reati ministeriali, che invece diversamente opina con la domanda al Senato in esame.
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Per cui, attenendosi alla valutazione penale del Tribunale di Catania, avremmo il primo caso nella storia del crimine in cui un magistrato inquirente per sequestro di persona (il P.M. di Agrigento) visita, nel luogo del presunto reato in atto, i presunti sequestrati, alla presenza dei sequestratori, accompagnato dalla polizia giudiziaria che non provvede alla immediata liberazione degli stessi!
Ecco quindi che dalla ricostruzione, in fatto ed in diritto, della vicenda, del Tribunale etneo, dovrebbero discendere una pletora d’incriminazioni a titolo di concorso attivo ed omissivo nel reato ipotizzato ex art.110 c.p.: un vero e proprio corto circuito logico-giuridico-istituzionale.
5. La chiave di volta dell’arco accusatorio: «l’omessa indicazione del luogo sicuro » (place of safety). Ma per la Convenzione di Amburgo place of safety può essere la stessa nave, quale la Diciotti, come legittimamente è stata ritenuta dal Ministero dell’Interno dal 20 al 25 agosto
Ma qual è allora la chiave di volta dell’arco accusatorio ricostruito in fatto e in diritto dal Tribunale etneo? «L’omessa indicazione del place of safety da parte del Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione dietro precise direttive del Ministro dell’Interno, ha determinato, dopo che alle 23.49 del 20 agosto l’unità navale U. Diciotti raggiungeva l’ormeggio presso il porto di Catania (così creando le condizioni per operare lo sbarco) una situazione di costrizione a bordo delle persone soccorse fino alle prime ore del 26 agosto (quando veniva avviata la procedura di sbarco a seguito dell’indicazione del POS rilasciato nella tarda serata del 25 agosto del competente Dipartimento, dietro nulla osta del Ministro), con conseguente apprezzabile limitazione della libertà di movimento dei migranti, integrante l’elemento oggettivo del reato ipotizzato» (Rel.Trib. Catania, p.24).
Ebbene, la suddetta chiave di volta dell’arco accusatorio viene dissolta in polvere giuridica dalla stessa invocata Convenzione internazionale di Amburgo del 1979 sulla ricerca e il soccorso marittimi, SAR (Search And Rescue) attuata con D.P.R. N° 662/1994, la quale certamente stabilisce che gli Stati membri sono obbligati nei confronti della persona da essi salvata in mare a «fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro (cap. 1.3.2. cfr. Trib.Catania p. 8) ma – come è riconosciuto dallo stesso Tribunale accusante in astratto (ivi, p.29) e come aveva giustamente dichiarato di aver inteso in concreto il Prefetto Piantedosi (ibidem), la stessa nave Diciotti – com’è stato nel caso di specie – può ben costituire un luogo sicuro. Infatti chiarissima è in tal senso Resolution MSC 167 (78) adottata il 20 maggio 2004, recante Guidlines on the treatment of persons rescued at sea, sul concetto proprio di «luogo sicuro» e di «luogo sicuro temporaneo»: 6.14 «A place of safety may be on land, or it may be aboard a rescue unit or other suitable vessel or facility at sea that can serve as a place of safety until the survivors are disembarked to their next destination».
Infatti proprio accettando pedissequamente l’interpretazione del Tribunale (ivi p.30) che richiamandosi alla Direttiva Sop 009/15 «configura la designazione del POS come atto amministrativo endoprocedimentale vincolato nell’an», residuando un margine di discrezionalità solo nell’individuazione del place of safety, non si può escludere che l’Autorità preposta a tale ultima valutazione discrezionale appunto valuti nel caso concreto – come quello della Diciotti – di mantenere come place of safety, transitorio certo fino al 25 agosto, la stessa nave militare su cui era avvenuto il trasbordo dalle motovedette soccorritrici. Per cui non si può dire che il Ministro abbia impedito di indicare il place of safety, essendo stata legittimamente ritenuta tale la nave Diciotti sino allo sbarco del 25 agosto.
C’è qualcuno che ragionevolmente oserebbe pensare che vi sia un luogo più sicuro di una nave militare, stabilmente ormeggiata nel placido porto di Catania con tanto di personale medico, infermeria ed ogni assistenza dalla terra ferma?
6. Non coincidenza del concetto normativo dinamico di «their next destination» con la traduzione statica del Tribunale «destinazione finale a terra»; la permanenza a bordo della Diciotti dei naufraghi nel quadro della contestuale dimensione di migranti irregolari. Inesistenza di un «diritto allo sbarco»
Ed appunto questo place of safety può durare «until the survivors are disembarked to their next destination»: è proprio la chiarezza adamantina della lingua inglese a contenere il nocciolo della questione: «their next destination» tradotto semplicisticamente in modo definitorio statico dai Magistrati etnei come «destinazione finale a terra» (sic: Trib. Catania p.30!), è invece un concetto dinamico da definirsi, come rientrava appunto nella potestà valutativa del Governo definire, anche nell’interesse dei migranti stessi, nel faticoso coinvolgimento dei partners europei, in vista del nevralgico summit di Bruxelles del 24 agosto, come dimostrato dai risultati diplomatici di soluzioni recettive extra UE (CEI, Albania) e in UE della sola Irlanda, ma anche come dimostrato, in una Sicilia collassante di migranti africani, dalla faticosa individuazione dell’hotspot di Messina, dove sarebbero confluiti i migranti presunti sequestrati già il 26, visto che «l’hotspot di Pozzallo era pieno, quello di Trapani era occupato dai tunisini» (v. dichiarazioni prefetto Pantalone, in Trib. Catania p.31).
Il vizio di fondo di ricostruzione del tribunale di Catania è quindi di decontestualizzare la permanenza dei migranti sulla Diciotti da un contesto, estrapolando un segmento di una complessa vicenda, per cui la qualifica di migranti irregolari, non è esclusa dalla loro dimensione di naufraghi: 1) il diritto ad essere soccorsi e condotti in un «luogo sicuro» non implica affatto un diritto a sbarcare, perché l’art.10 del Testo Unico sull’Immigrazione stabilisce chiaramente il respingimento da parte del Questore anche di chi sia entrato temporaneamente per necessità di pubblico soccorso ma senza i requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato (a parte la garanzia specifica per i minori non accompagnati ex art.33 del T. U., come novellato nel 2017) e comunque per l’art.13 del T.U., è sempre riservato al Ministro dell’Interno il potere di espulsione per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. Peraltro l’inesistenza di un diritto ad essere sbarcati è stata ribadita dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo lo scorso 29 gennaio per il caso «Sea Watch»; 2) anche dopo lo sbarco, i migranti si trovavano comunque senza soluzione di continuità rispetto a fase precedente, in una situazione di soggezione alle incombenze istituzionali ex art.10 ter del Testo Unico dell’Immigrazione: «lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto sul territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi (…). Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico…». Se infatti la legge dice: «è condotto», vuol dire che de iure il migrante irregolare non si può sottrarre a questa «conduzione» anche nel suo stesso interesse.
Tanto è vero che, come si dà atto nella Memoria del Ministro dell’Interno per la giunta delle immunità parlamentari, poi si è realizzata «la fuga una volta effettuato lo sbarco e prima dell’identificazione di una gran parte dei migranti stessi dall’hotspot di Messina» (ivi, p. 14): infatti è noto che, poiché ex art. 13 del Regolamento U.E. Dublino III, regolarmente lo Stato obbligato a dar seguito alla procedura di protezione internazionale è quello di primo ingresso e quindi i migranti miranti a non rimanere in Italia, ianua Europae, appunto si sottraggono illecitamente alla identificazione in Italia che determinerebbe gli effetti del suddetto primo ingresso, per perseguire clandestinamente «their next destination».
Premesso dunque che i migranti soccorsi già si trovavano sul territorio dello Stato italiano sin da quando avevano messo piede sulle motovedette italiane in acque maltesi (territoire flottant dello Stato italiano) e prima dell’ingresso delle stesse in acque territoriali italiane con conseguente trasbordo sulla Diciotti, «luogo sicuro», occorre piena consapevolezza che, concettualmente e virtualmente, accettare l’interpretazione del Tribunale dei Ministri di Catania significherebbe accettare la tacita «interpretatio abrogans» del concetto stesso di Confine dello Stato. Infatti accettare l’interpretazione di Chi chiede l’autorizzazione a procedere verso il Ministro dell’Interno pro tempore, per il caso Diciotti, significherebbe riconoscere de facto il diritto incondizionato di sbarco dei migranti irregolari, disconoscendo per il futuro a veruna Potestà pubblica la legittimazione ad impedire di oltrepassare i confini dello Stato italiano.
7. Postilla: their next destination?
Una postilla di riflessione geopolitica è allora indotta dalla precedente analisi di un episodio critico di governance dei flussi migratori irregolari in Italia, caratterizzato da uno scontro tra poteri dello Stato in ordine, rispettivamente, alla gestione politica ed alla valutazione giudiziaria della vicenda.
E la postilla riguarda il macro-fenomeno, di cui la vicenda analizzata è un mero frammento: da un lato trafficanti internazionali di vite umane precostituiscono cinicamente le condizioni di naufragio dei migranti irregolari al fine di far scattare gli obblighi umanitari di salvataggio e conduzione in luogo sicuro, previsti dalle Convenzioni internazionali (Safety of Life At Sea del 1974, Search And Rescue del 1979 e United Nations Convention on the Law Of the Sea del 1982), cui lo Stato italiano non si è mai sottratto; dall’altro il Regolamento U.E. n°604 del 2013 (Dublino III), art.13, obbliga gli Stati di primo ingresso dei migranti illegali a dare seguito alle procedure di richiesta protezione internazionale, tranne che nelle ipotesi eccezionali di buona volontà recettiva di Stati membri non obbligati, ovvero di ricongiungimento con familiari che in essi si trovino.
Ebbene, è di tutta evidenza che questo vero e proprio incastro di fattori normativi e di abuso degli stessi provoca di fatto due conseguenze geopolitiche convergenti in modo esiziale: 1) da un lato una pressione migratoria di due continenti (Africa e Asia) su di una Nazione in particolare del continente europeo, ossia l’Italia, proprio per la sua posizione di facile accesso, tramite il Mediterraneo meridionale ed orientale, dalle suddette macro- aree di crisi, foriere di flussi migratori; 2) dall’altro, la trasformazione normativa delle Alpi in un sigillo alla non condivisione – se non meramente concessoria – degli irregolari con gli altri Stati membri dell’Unione privi dalla medesima immediata esposizione geografica dell’Italia
È dunque lo stesso art. 2 della Costituzione italiana, che riconosce la Persona umana quale valore supremo dell’ordinamento, corroborata dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ad imporre la soluzione di un nodo normativo, che rischia di strozzare la sostenibilità spaziale e finanziaria del valore universale della Persona, nella sua effettività.[/showhide]  

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Ricercatore universitario confermato in Diritto privato strutturato presso il Dipartimento per Economia e Impresa -Universita'degli Studi di Firenze.