di Silvio Pittori

In un articolo risalente ad ottobre scorso, mi chiedevo se la radiazione immediata del dott. Palamara da parte del Consiglio Superiore della Magistratura dovesse essere interpretata come una sorta di pietra tombale sull’affaire Palamara appunto, o se detta radiazione costituisse l’inizio di un esame interno alla magistratura all’insegna della trasparenza, nel rispetto di quel popolo in nome e del quale è esercitata la giurisdizione. L’augurio era infatti che al cospetto della pacificamente emersa contiguità tra Magistratura e Politica, nonché della capacità delle correnti interne alla prima di incidere pesantemente nelle nomine dei magistrati, si levasse dall’interno della stessa magistratura, giudicante e requirente, la richiesta di un esame approfondito di quanto all’evidenza accaduto nel corso degli anni.

La domanda era legittima, avuto contezza del fatto che la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura aveva adottato il più severo provvedimento disciplinare tra quelli possibili nei confronti dell’oramai ex magistrato Luca Palamara, all’esito di un procedimento caratterizzato da una particolare celerità e, aspetto a mio parere preoccupante, dal rifiuto, da parte del collegio del CSM incaricato di procedere disciplinarmente, di autorizzare l’escussione degli oltre cento testimoni indicati dalla difesa; testimoni che, come è dato di immaginare, avrebbero consentito di comprendere sino in fondo quanto la anzidetta contiguità avesse inciso ed incidesse nella vita anche democratica del nostro Paese, offrendo evidenza delle procedure da troppi anni sistematicamente seguite per le nomine dei magistrati, quantomeno per quelli destinati a ruoli apicali. Il rischio era infatti che, chiuso il sipario, restassero nell’ombra quei magistrati che dalle trascrizioni delle intercettazioni sembrano avere assunto negli anni il ruolo di questuanti, e che, dissimulando il vero e confidando nella scarsità della memoria dei più, avrebbero continuato a ricoprire ruoli loro affidati proprio in forza dei rinnegati rapporti con l’unico colpevole Palamara, come dei sopravvissuti, in compagnia peraltro di alcuni politici che, stando sempre alla lettura di dette trascrizioni, confidavano all’evidenza anch’essi di ottenere benefici personali dalla predetta contiguità.

Tutto ciò avrebbe costituito una ulteriore ferita inferta alla Giustizia, alla società civile e a quei magistrati che onestamente progrediscono nella loro carriera in forza della loro professionalità e della loro serietà, che non può prescindere dall’etica. Per questi motivi ho provato soddisfazione nel vedere che alcuni magistrati hanno di recente chiesto, al radiato Palamara, di mettere a disposizione della magistratura i messaggi intercorsi tra Palamara medesimo e i suoi colleghi requirenti. Si tratta di una richiesta rivolta al dott. Palamara all’insegna della massima trasparenza, finalizzata a portare sotto i riflettori l’intera vicenda, e non soltanto le parti della stessa su cui la Procura perugina ha posto attenzione (parte che potrebbe anche coincidere con il tutto, ma di ciò all’evidenza vogliono certezza anche i magistrati), al fine di evitare “qualunque tentativo di insabbiamento”.

Un atto coraggioso da parte di detti probi magistrati (d’altronde come insegnava Calamandrei, senza probità non può esserci giustizia), e contestualmente un atto dovuto nei confronti di noi tutti che abbiamo il diritto di confidare in un cambio di passo della magistratura, capace di lasciarsi alle spalle un sistema fondato su accordi e compromessi, funzionale nell’ambito di una sorta di cerimonie esoteriche, alle nomine dei magistrati da posizionare in ruoli chiave della magistratura. Se è vero che “i giudici sono come gli appartenenti a un ordine religioso: bisogna che ognuno di essi sia un esemplare di virtù, se non vuole che i credenti perdano la fede” (Piero Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato) possiamo soltanto sperare che detto ordine religioso abbia al proprio interno un numero sempre maggiore di “esemplari di virtù”.

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Avvocato cassazionista con sede a Firenze, esperto in diritto civile societario e in diritto penale di impresa e contrattualistica. Laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Firenze.