di Marco Maggioni

Le proposte di legge, come quella del deputato del PD Zan, che puntano a punire il reato di “omofobia”, sono le necessarie risposte a un’emergenza sociale, oppure rappresentano delle minacce alle libertà di pensiero ed espressione sancite dalla nostra Costituzione all’art. 21?

Cominciamo col notare che “omofobia” (letteralmente: “paura dell’eguale”) è termine vago, di cui manca una definizione a livello legislativo universalmente riconosciuta. Nessuno dei progetti di legge (PdL) offre questa definizione, e la confusione si palesa nelle differenti scelte terminologiche compiute dai promotori: il PdL Boldrini parla di “identità sessuale”, quelli Zan e Perantoni di “orientamento sessuale” e “identità di genere”, il PdL Bartolozzi di “motivi di genere”, infine quello Scalfarotto di “omofobia e transfobia”. La vaghezza dei concetti utilizzati per delimitare le fattispecie incriminate dà una portata applicativa imprevedibile. In Gran Bretagna, dove una legge similare esiste ma non esiste comunque la definizione di “omofobia”, il Crown Prosecution Service è arrivato a dichiarare che un’azione sarebbe omofoba quando percepita come tale dalla vittima: una discrezionalità e soggettività inaccettabili.

Eppure il Codice Penale già tutela le persone omosessuali perseguendo discriminazioni e violenze a loro danno (artt. 575 ss., 581 ss., 595, 600 ss., 605 ss., 609bis ss., 610, 612, 612bis). Rafforzare la tutela a seconda dei gusti sessuali della vittima sarebbe, paradossalmente, discriminatorio. Né si può invocare uno “stato di emergenza” per giustificarlo. Infatti, secondo l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD) del Viminale, che da dieci anni raccoglie non solo le denunce ma anche le semplici segnalazioni, tra il 2010 e il 2018 vi sarebbero state 2532 segnalazioni d’atti discriminatori, di cui 1512 catalogabili come hate crime / hate speech, e tra queste 212 relative alla sfera sessuale o di genere: una media di 26 all’anno, poco per invocare misure speciali, tanto più se di dubbia costituzionalità perché andrebbero a colpire le opinioni.

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Di fronte a un reato d’opinione basato su un presunto movente d’odio, manca l’evento di danno. Il giudice si troverebbe a valutare l’indiscernibile motivazione interiore dell’accusato. Come si farà. Ci si baserà sulla storia personale? Si spulceranno i social dell’individuo? Una persona con posizioni conservatrici e di destra, ergo, sarebbe maggiormente punibile (in quanto sospettabile di “motivazione omofoba”) rispetto a una progressista e di sinistra?

La legge sulla “omofobia” sarebbe, in realtà, una norma totalitaria, non troppo dissimile dal delitto di “azione controrivoluzionaria” che nell’URSS era utilizzato come reato generico per colpire tutti gli eterodossi. Una profilassi preventiva verso la maggioranza. Il giurista Giovanni Maria Flick, già ministro e presidente della Corte Costituzionale, ha spiegato che oggi il carcere viene usato non più come extrema ratio ma alla stregua dell’olio di ricino, per imporre il controllo sociale. I fautori della fattispecie di reato della “omofobia” pretendono che la loro concezione dell’essere umano, soggettiva e non universale, sia riconosciuta come verità assoluta, destinando al carcere coloro che non vi si adeguano. Siamo giunti al punto che si rimpiange persino il relativismo, perché meno oppressivo e totalitario di questo assolutismo “progressista”.

Prima che sia vietato dirlo, ribadiamo che in natura si nasce uomo o donna, i gusti sessuali si manifestano successivamente e comunque non cancellano il sesso biologico. Nessuno dovrebbe essere mandato in carcere perché crede ciò.

Deputato (Lega/Circoscrizione Lombardia), nella XVIII Legislatura è Presidente della Delegazione Parlamentare presso l'Iniziativa Centro-Europea (InCE), Vice-Presidente della Giunta delle Elezioni e membro della Commissione Politiche dell'Unione Europea. Laureato in Economia e commercio, è di professione bancario.