di Federico Cenci

Per comprendere la posta in gioco delle presidenziali statunitensi dell’autunno prossimo, occorre seguire i flussi di denaro. Il giornale conservatore “Washington Free Beacon” è andato a spulciare i dati delle donazioni alla campagna elettorale dei Democratici, ed ha scoperto che George Soros sta letteralmente inondando di soldi la corsa alla presidenza di Joe Biden. Giusto un anno fa il noto magnate “filantropo” ha fondato Democracy Pac, una sorta di rete da cui far affluire le proprie spese elettorali in vista del 2020. Oggi la sua creatura è pienamente operativa: i dati pubblici rivelano che ha elargito quasi 17 milioni di dollari nell’ultimo trimestre, che portano l’esborso totale (finora) a 48 milioni di dollari. A questa cifra vanno aggiunti altri 4 milioni che Soros ha direttamente donato ai comitati elettorali di Biden, senza passare per Democracy Pac. In totale, quando mancano ancora oltre tre mesi alla data del voto, il miliardario d’origine ungherese ha già speso 52 milioni di dollari; più del doppio dei 22 milioni usciti dalle sue tasche nel 2016 in favore di Hillary Clinton.

L’impegno finanziario di Soros conferma la sua idiosincrasia nei confronti di Trump, che all’inizio dell’anno non ha esitato a definire “un imbroglione che vuole che il mondo ruoti intorno a lui”. Secondo un’opinionista di destra, l’afroamericana Candace Owens, un capitolo di questa guerra permanente di Soros contro Trump si sarebbe consumato durante le proteste del Black Live Matters, che il filantropo avrebbe finanziato con 33 milioni di dollari. La notizia è stata bollata da gran parte della stampa statunitense come insussistente. Eppure, in effetti, la fondazione Open Society di Soros ha di recente aperto il libretto degli assegni per sostenere “organizzazioni emergenti e leader delle comunità nere in tutto il Paese”, scommettendo sulle loro capacità di “avere uno slancio verso un domani migliore”. Come si legge sul sito della Open Society, la spesa in favore di simili organizzazioni ammonta a 220 milioni.

LEGGI ANCHE
Caso Cook, o dell'(ab)uso politico dell'università pubblica

Il “filantropo” è sempre pronto a tendere la mano verso i nemici di Trump, che siano neri, femministe o altro. Nel gennaio 2017, appena insediatosi alla Casa Bianca l’ex tycoon, la fondazione di George Soros avrebbe finanziato la “Marcia per le donne”, manifestazione di protesta contro l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Caro è costato a Soros l’onere politico che si è assunto: in totale, da quando Trump è stato eletto, la Open Society ha speso 90 milioni di dollari in sole attività di lobbying, circa 40 milioni in più di quanto abbia speso dal 2002 al 2016.

Le elezioni del 3 novembre prossimo ci diranno se l’investimento del finanziere con fama di speculatore sarà stato (per lui) ben riposto.

+ post

Giornalista e scrittore, ha lavorato per l’agenzia di stampa cattolica "Zenit" e per "In Terris". Attualmente collabora con varie testate, tra cui "Il Quotidiano del Sud", "Culturaidentità", "International Family News". Per Eclettica Edizioni ha dato alle stampe nel maggio 2020 il libro Berlino Est 2.0 - Appunti tra distopia e realtà.