di Vincenzo Pacifici

A proposito delle celebrazioni religiose, sospese manu militari dal presidente del Consiglio senza ragioni motivate e sensate (“arrogandosi” competenze agli antipodi dei poteri assunti in una situazione drammatica ed agghiacciante, della quale bisognerà spiegare a tantissimi cittadini motivi e cause), è intervenuto con una intervista, densa e preoccupata, il cardinale Camillo Ruini contro cui si sono poste le solite confessioni religiose, animate da insuperabile livore anticattolico, e qualche “pierino” rustico, mascherato con il clergyman.

Il porporato emiliano, di cui in molti abbiamo recentemente apprezzato il volume Un’altra libertà. Contro i nuovi profeti del paradiso in terra, curato in parallelo con il senatore Gaetano Quagliariello, dopo aver lodato la nota della CEI “chiara ed esaustiva”, ha riconosciuto la situazione vissuta dagli italiani ma ha considerato inaccettabile che “le pubbliche autorità abbiano mano libera nel limitare o addirittura sopprimere, sia pure temporaneamente, le libertà che ci appartengono in quanto persone e che in Italia sono costituzionalmente garantite”. A causa dello spazio acquisito e consolidato con prepotenza e supponenza dalle correnti ideologiche laiche e radicali, secondo la sacrosanta opinione di Ruini “purtroppo da molto tempo l’Europa non è più esempio di una tutela del diritto alla vita come del valore delle famiglia”.

Il cardinale di Sassuolo, pur tenendo conto dell’inquinante e sopravvalutata presenza del multiculturalismo, troppo spesso ideologizzato, riconosce che “il coronavirus ha ricordato a tutti la nostra fragilità, i limiti del nostro potere. Dovrebbe quindi renderci più umili e più consapevoli della nostra realtà, quindi più aperti alla fede di creature: molti indizi ci dicono che così sta avvenendo. Niente però è scontato: rimaniamo sempre persone libere e la fede è una risposta libera a Dio che bussa alla porta della nostra vita”. Affronta poi il tema/problema della prossimità spirituale alle famiglie degli scomparsi, una prossimità da accrescere e consolidare, una volta recuperata tranquillità e serenità.

In conclusione Ruini esprime l’auspicio di una rinvigorita fiducia in Dio, posto senza equivoci e sottintesi “al centro del nostro progetto di vita”. Non cela il desiderio di una forte e decisa preoccupazione “del futuro dell’Italia, quindi dei figli e delle nascite [assolutamente cruciale] senza i quali non c’è futuro”. Purtroppo papa Bergoglio non si è risparmiato “un intervento a gamba tesa”, inutile ed amaro, rivolgendo al Signore la preghiera “perché dia al suo popolo, a tutti noi la grazia della prudenza e obbedienza alle disposizioni [del nuovo onnipotente Conte] perché la pandemia non torni”. Le cerimonie, svoltesi sul sagrato e all’interno della Basilica Vaticana, sono state seguite (assente Conte) con la partecipazione più commossa e deferente; ed i richiami, accompagnati dalla citazione di proverbi argentini “sui cavalli da cambiare nel corso di un attraversamento del fiume”, paiono rappresentare una interferenza difficile da accettare e da digerire.

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Antonio Baldassarre, certamente non un semplice “quisque de populo”, ha sostenuto con incontestabile chiarezza che “limitare la libertà con DPCM è un atto in tutto incostituzionale”. Riprendendo l’avviso preciso, espresso da Sabino Cassese , altro “quisque de populo”, non ha nascosto che Conte, con l’avallo papale, “si sta approfittando di una situazione con disposizioni costituzionalmente illegittime”.

Di fronte alle sempre più evidenti forzature di Conte, coperto da quegli improvvidi DPCM, ahimè approvati nel 1988 anche da una ingenua destra per bocca di Franco Franchi, è stata costretta ad intervenire la Corte costituzionale. L’organo, guidato da Marta Cartabia, con una dichiarazione ufficiale e con interviste della stessa presidente a quotidiani, ha richiamato in maniera esplicita l’”unto del Signore” pugliese, rilevando che “la Costituzione non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali” ma “offre la bussola per navigare in tempi di crisi, a cominciare dalla leale collaborazione tra le istituzioni che è la proiezione della solidarietà tra i cittadini”. Si tratta di lingua italiana, sicuramente accessibile al professore di Volturara Appula, anche se non so a quanti altri suoi ministri e ad altri “carneadi” di area, che irritano con l’uso esclusivo della prima persona singolare.

Per la prima volta, dopo molto tempo, va condivisa una constatazione inoppugnabile di Marcello Veneziani secondo cui “non era mai accaduto, nemmeno in tempo di guerra e sotto il peggiore regime totalitario che tutti i cittadini di un paese fossero privati delle libertà primarie, dei diritti più elementari prima che costituzionali: uscire di casa, camminare, viaggiare. E non era mai successo, neanche sotto le peggiori pestilenze, che la religione e la Chiesa fossero cancellate dalla vita sociale. Anzi, proprio nei momenti di maggiore sofferenza e rischio per la vita delle persone, il conforto della religione, la preghiera in casa, era essenziale”.

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Laureato in Giurisprudenza e in Lettere, è stato fino al 2015 Professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Università Sapienza di Roma. Ha pubblicato, tra l'altro, volumi su Crispi, sul problema dell'astensionismo e dell'assenteismo nelle consultazioni politiche del periodo unitario, sui consigli provinciali all'inizio del XIX secolo, sulle leggi elettorali del 1921 e del 1925. È presidente della Società tiburtina di storia e d'arte.