Arrestato per aver celebrato una Messa. Non è accaduto a un sacerdote in Cina. Ma al metropolita ortodosso Seraphim di Citera, in Grecia. Lo scorso 23 marzo l’anziano prete è stato raggiunto dalle forze dell’ordine e poi rilasciato con la richiesta di osservare le disposizioni di legge greche contro l’epidemia di coronavirus, che prevedono anche la sospensione delle Messe.

Qui in Italia il clima che aleggia sulle funzioni religiose non sembra essere più sereno. Qualche domenica fa a Cerveteri, litorale nord di Roma, due agenti sono entrati nella chiesa dedicata a San Francesco d’Assisi ed hanno intimato al sacerdote di interrompere la Messa. Il motivo? Sul sagrato si era radunata una manciata di fedeli. Nonostante questi ultimi rispettassero il distanziamento sociale previsto dal decreto governativo, i due vigili in mascherina sono stati intransigenti.

In tempi di emergenza sanitaria, nell’Europa che fu cristiana non è possibile celebrare Messe con il popolo, ovvero alla presenza di fedeli, nemmeno laddove la profilassi sanitaria venga scrupolosamente rispettata. Le chiese però restano aperte. Se ne evince, dunque, che ai fedeli sia concesso il diritto a recarvisi per un momento di preghiera personale. Eppure, non è affatto scontato. Alcune persone, tra cui il procuratore aggiunto di Napoli Domenico Airoma, testimoniano di essere state fermate da agenti che ritenevano lo spostamento per andare nel luogo sacro non giustificato dalla «comprovata necessità» cui fa riferimento il decreto governativo. È persino successo che a Giulianova parroci e sindaco siano stati denunciati perché sorpresi dai carabinieri mentre stavano celebrando l’atto di affidamento della città alla Madonna. C’è dunque un clima di totale confusione, per non dire altro.

Al fine di diradare le nebbie, nei giorni scorsi il Viminale ha pubblicato una nota contenente le regole per chi vuole recarsi in chiesa. Nel documento si afferma che l’accesso in chiesa può avvenire solo se il luogo di culto si trova lungo il percorso per giungere sul posto di lavoro o in altri luoghi di necessità (supermercati, farmacie, tabaccai…). Insomma, si può andare in chiesa a pregare, ma solo se si è di passaggio. Sarebbe allora ammesso giustificarsi più o meno così dinnanzi alle forze dell’ordine: «Sto andando a comprare le sigarette e, già che mi trovo di strada, passo in chiesa». Ma uscire di casa solo per andare in chiesa, no, non è consentito. Ne deriva che il popolo italiano, in questa fase, goda di una libertà di culto condizionata.

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Forse, come riflette Giacomo Rocchi, consigliere presso la Corte suprema di Cassazione, sarebbe il caso di porre pubblicamente il tema. Non per creare polemiche in una fase delicata per la Nazione, bensì per proporre soluzioni in vista dei riti della settimana santa, la più importante dell’anno liturgico. Anche perché (il sociologo Marshall McLuhan insegna) non potrà essere una “Chiesa digitale”, disincarnata, a custodire la nostra tradizione cattolica, che è incentrata sul mistero dell’Incarnazione.


Federico Cenci, giornalista, collabora con varie testate.

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Giornalista e scrittore, ha lavorato per l’agenzia di stampa cattolica "Zenit" e per "In Terris". Attualmente collabora con varie testate, tra cui "Il Quotidiano del Sud", "Culturaidentità", "International Family News". Per Eclettica Edizioni ha dato alle stampe nel maggio 2020 il libro Berlino Est 2.0 - Appunti tra distopia e realtà.