La riunione dell’Eurogruppo del 16 marzo non ha prodotto risultati significativi ed in particolar modo, aldilà della retorica, non ha definito alcuna linea politica comune europea. Conseguentemente i mercati finanziari hanno valutato tale atteggiamento, nonché le ondivaghe dichiarazioni di esponenti di spicco della BCE, come espressione di una assenza di volontà comune circa l’atteggiamento da tenere nell’attuale situazione di crisi. L’andamento dello spread italiano ha risentito pesantemente della percezione di una mancanza di protezione per i nostri titoli governativi, al punto da vedere il superamento della soglia dei 300 punti nello spread tra BTP e bund tedeschi.

In questo contesto fonti di stampa hanno ipotizzato il ricorso al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità, in inglese ESM – European Stability Mechanism) per sostenere le economie di alcuni paesi europei. Tumulata senza clamore la riforma che era stata oggetto di vivaci polemiche, si passa all’opposto ad ipotizzare il ricorso al MES senza alcuna condizionalità e, per una sorte di vendetta del destino, appaiono palesi tutti i limiti del MES stesso.

Le motivazioni del ricorso al MES sono legate alla sua “potenza di fuoco” in termini di risorse finanziarie. A questo proposito va detto che il capitale sottoscritto dai singoli Stati ammonta complessivamente a circa € 704,8 miliardi dei quali però solo circa € 80,5 miliardi versati; per l’Italia, la cui quota nel capitale è del 17,78%, si tratta rispettivamente di € 125,3 miliardi di capitale e € 14,3 miliardi versati. Dato che nell’attuale situazione è impensabile richiedere agli Stati il pagamento del capitale non ancora versato, il MES può quindi essere concretamente utilizzato solo per indebitarsi sul mercato, con il tetto di € 500 miliardi indicato nel trattato istitutivo, ad un tasso più basso di quello che può essere spuntato dai paesi più deboli. L’utilizzo del MES consentirebbe inoltre l’accesso al programma OMT (Outright Monetary Transactions) della BCE volto all’acquisto diretto da parte della BCE stessa di titoli di Stato a breve termine emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata.

Gli ostacoli all’utilizzo del MES sono però di arduo superamento. Il ricorso al MES da parte di un solo Stato di grandi dimensioni verrebbe visto come una ammissione di insolvenza (il cd. effetto stigma) ma se, come indicato da alcune fonte di stampa, i paesi richiedenti fossero più d’uno l’effetto stigma sarebbe ridotto ma le risorse, una volta spartite, sarebbero assai limitate.

Un’altra difficoltà è data dalla previsione di condizionalità, quindi di vincoli economici per lo Stato richiedente, che caratterizza gli interventi del MES. La previsione di un supporto del MES senza condizionalità richiede una revisione del trattato che è assai difficile ipotizzare in tempi brevi per motivi tecnici e, soprattutto, per l’opposizione di alcuni paesi; rimane la possibilità di prevedere condizionalità assai lasche ma, anche in questo caso, vi deve essere una volontà comune in tal senso.

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Il rapido innalzarsi dello spread ed i timori circa il sistema bancario europeo hanno indotto la Banca Centrale Europea, nella notte tra il 18 ed il 19 marzo 2020, a decidere di avviare un nuovo programma di acquisto titoli chiamato PEPP (Pandemic emergency purchase programme). Il programma avrà una dotazione complessiva di 750 miliardi di euro; gli acquisti saranno condotti fino alla fine del 2020 ed includeranno tutte le categorie di attività ammissibili nell’ambito del programma di acquisto di attività (APP) già esistente, tra i quali i titoli di Stato, ma con minori vincoli rispetto al passato per quanto riguarda la suddivisione tra gli Stati.

L’iniziativa della BCE si è resa necessaria per il precipitare degli eventi ma non può affrontare il tema della politica fiscale a sostegno dell’economia, a sua volta legata agli spazi presenti nei singoli bilanci statali, ciò anche dopo la disattivazione del patto di stabilità. La via maestra per conseguire un risultato ci sembra sia ravvisabile solo in una forma di mutualizzazione del debito, al fine di evitare di esacerbare le divergenze tra i singoli Stati, ma anche in questo caso prima che agli aspetti economici bisogna guardare alla volontà politica.


Luca Ruggeri è un dirigente nel settore finanziario.

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Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.