Bernie Sanders, il senatore che si autoproclama “socialista”, ha vinto le primarie democratiche del New Hampshire. A inizio mese era giunto primo nel voto popolare in Iowa, pur arrivando secondo per numero di delegati. Negli ultimi mesi la sua raccolta fondi ha avuto un’impennata, nei sondaggi a livello nazionale ha superato Biden e oggi appare il favorito per ottenere la maggioranza (almeno relativa) alla convenzione democratica che sceglierà il candidato per sfidare Trump.

Tuttavia, il quasi ottuagenario politico del Vermont non può festeggiare appieno. Al termine del voto in due Stati a lui favorevoli, non solo Sanders ottiene molti meno voti in valore assoluto rispetto al 2016, ma – a differenza di quattro anni fa – è in seconda posizione anziché in prima per numero di delegati totali. Ciò suona un campanello d’allarme: quando ci si sposterà verso gli Stati più meridionali, Sanders troverà un elettorato meno favorevole, e il suo presunto primato potrebbe rapidamente sfaldarsi.

Proprio su quegli Stati punta invece l’ex vice-presidente Joe Biden, che fino a pochi mesi fa sembrava destinato a sbaragliare il campo democratico ma oggi, dopo varie deludenti prestazioni nei dibattiti televisi e ripetute gaffes, esce da Iowa e New Hampshire in quinta posizione. Biden punta forte sul voto afro-americano e ispanico, ininfluente nei due Stati in cui già si è votato; ma è noto che alle primarie gli elettori afro-americani tendano ad allinearsi dietro al candidato che appare vincente, e ciò fa temere per le sue chances finali. Pete Buttigieg, uscito sorprendentemente primo per delegati da questa tornata elettorale, già spera di poter sostituire Biden nel cuore di questi elettori. Non si può fare a meno di notare come le famose “minoranze”, centrali nei discorsi della Sinistra radicale, almeno quando sono etniche privilegino nettamente i candidati più moderati.

L’incertezza sul vincitore finale rappresenta il principale verdetto delle due primarie di lancio. Se nel 2016 i contendenti erano solo un paio – la moderata Clinton e il radicale Sanders – oggi il campo è ben più battuto: sia in Iowa sia in New Hampshire tre candidati hanno superato il 20% dei voti, e per giunta non sono sempre stati gli stessi: se Sanders e Buttigieg hanno fatto bene in entrambi gli Stati, Elizabeth Warren e Amy Klobuchar si sono avvicendate sul terzo gradino del podio. Oltre a questi quattro, mantiene ragionevoli speranze di ripresa il già citato Biden e si staglia all’orizzonte la candidatura di Michael Bloomberg, che non ha ancora partecipato a nessun voto ma sta salendo nei sondaggi.

Nemmeno l’effetto Bloomberg deve però creare attese eccessive. Potrebbe sì essere l’outsider che sbanca il casinò, ma è dal 2016 che lo si dipinge come il deus ex machina pronto a prendersi la Casa Bianca. Nel frattempo, però, non prende un voto (reale) dal 2009 (rielezione a sindaco di New York), reca lo stigma di essere un ex repubblicano, è ancora lontano terzo nei sondaggi nazionali, e non si sa se il suo modello di campagna sia vincente. Bloomberg punta su infatti una campagna riccamente autofinanziata, con un’enorme spesa in pubblicità televisive grazie alle sue ingentissime risorse personali. Un altro miliardario, tuttavia, sta facendo esattamente la stessa cosa: si tratta di Tom Steyer e ad oggi ha raccolto miseri risultati. Di certo Bloomberg farà meglio di Steyer, ma di quanto?

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Alla fine, più che risolvere la situazione, la discesa in campo di Bloomberg potrebbe disperdere ulteriormente il voto dei “moderati”, già oggi diviso tra un Biden che non ha mantenuto le promesse iniziali, un Buttigieg che è partito forte ma ha un debole cv (è l’ex sindaco di una città non di primissimo piano), e una Klobuchar che è andata sorprendentemente bene in New Hampshire. Al contrario, la stella della Warren sembra declinante e ciò potrebbe lasciare a Sanders l’egemonia sul campo radicale.

Fatto sta che, ad oggi, tra gli esiti più probabili delle primarie americane c’è quello di una convenzione “contesa”, in cui nessun candidato avrà la maggioranza assoluta e tutto si risolverà a tavolino. Non certo un buon viatico per chi dovrà poi sfidare Trump a novembre. Tanto più che il Presidente sta non solo vincendo facilmente le primarie repubblicane (nessuna sorpresa), ma ottenendo anche un numero di voti sopra le aspettative, che lasciano presagire un crescente entusiasmo in campo repubblicano. Al contrario, l’affluenza alle pur contese primarie dem non ha registrato i grandi picchi in cui speravano i nemici del Presidente. Non a caso recenti sondaggi mostrano che, secondo la maggior parte degli americani, sarà Trump a uscire rieletto a novembre.


Daniele Scalea è Presidente del Centro Studi Machiavelli.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.