L’Algeria ha istituito a ovest della Sardegna una Zona Economica Esclusiva (ZEE) senza alcun preavviso e senza applicare il criterio d’equidistanza o di accordo con gli Stati frontalieri. Lo Stato algerino si arroga i diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali e la giurisdizione per l’installazione di strutture in quelle acque, sovrapposte in gran parte alla piattaforma continentale italiana ed alla Zona di Protezione Ecologica nella quale l’Italia applica le misure di prevenzione e repressione dell’inquinamento marino, di protezione dei mammiferi, della biodiversità e del patrimonio archeologico e storico.

Il già arduo puzzle delle aree marine mediterranee, che Malta, Grecia, Cipro e Turchia continuano a intrecciare, è divenuto ancora più ingarbugliato. A tutto il XX secolo nessuno Stato aveva proclamato la ZEE nel mare nostrum, per considerazioni geografiche e ragioni di opportunità che caratterizzavano unicamente estese aree di alto mare con limitate zone riservate alla pesca. L’Italia ha sempre osteggiato il proliferare di zone esclusive per non danneggiare il libero movimento dei propri pescherecci e della flotta militare. Lo strumento diplomatico non è stato capace di perseguire una strategia di persuasione della nostra visione agli altri Stati. Neanche sono bastati i dogmi ambientalisti poiché – volenti o nolenti – il trend è ora cambiato.

La disapprovazione italiana, ufficializzata all’ONU, è stata ferma nella sostanza, ma troppo moderata nei toni. Il Ministero degli Affari Esteri e l’Ambasciata italiana ad Algeri sembrano sin troppo “tranquilli” nelle loro posizioni, forse timorosi di danneggiare l’eccellente interscambio commerciale con l’Algeria. Ma in questi casi – e conoscendo i popoli del Magreb – conviene essere più assertivi, anteponendo il diritto sovrano ai vantaggi commerciali. Che una nazione amica come l’Algeria – con la quale l’Italia condivide importantissimi interessi energetici – possa permettersi di umiliare i diritti italiani è inaccettabile. Nel caso analogo con la Croazia fummo molto più incisivi ponendo il veto all’ingresso di quella nazione nell’Ue; altrettanto decisi dobbiamo esserlo ora.

Conciliare gli interessi di protezione dell’ambiente marino con lo sfruttamento degli idrocarburi è la sfida che vari Stati hanno affrontato e risolto. Anche l’Ue si è attivamente impegnata con una direttiva sulla sicurezza ambientale offshore, ma nessuna nazione al mondo ha mai rinunciato alle trivellazioni per motivi ambientali. La Turchia ha stipulato accordi con la Libia per effettuare trivellazioni a sud di Cipro, la Grecia effettua ricerche di gas a sud di Creta mentre Israele, Egitto e Cipro sono alquanto “entusiasti” per i benefici che i loro popoli potranno trarre dalla scoperta di grandi giacimenti di gas nelle loro acque, gli Stati balcanici mirano all’Adriatico. L’Italia, con la sua spiccata sensibilità ambientale, contrariamente a tutte le altre nazioni non sembra attenta agli enormi benefici che possono scaturire dall’indipendenza energetica.

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La Strategia energetica nazionale prevede che il petrolio e il gas debbano essere sostituiti da energie alternative, ma è evidente che l’attuale approccio ambientalista di tipo “integralista” cozza con il fatto che l’Italia è la maggiore consumatrice di combustibile fossile nella regione a causa delle sue esigenze “energivore”. La politica energetica nazionale dovrà tener conto se continuare o meno a concedere permessi offshore, considerando anche i risvolti economico-finanziari dell’attuale dipendenza dall’estero. Obiettivo del Governo dovrà essere quello di perseguire il sacrosanto diritto affinché le presunzioni algerine siano atrofizzate o come minimo rese congrue a degli accordi che necessariamente dovranno essere stabiliti sulla base del principio di equità tra le parti. Lo strumento diplomatico dovrà provvedere a contestare con decisione le pretese di quelle nazioni che pretendono il diritto di appropriarsi di spazi marittimi e che potrebbero iniziare a trivellare davanti alle nostre coste. Una politica ambientalista nel settore, oltre ad accentuare il divario tra la nostra posizione e quella delle altre nazioni, non potrà essere un alibi per non istituire o non reclamare aree di mare del patrimonio italiano. Evitiamo un’altra erosione alla sovranità territoriale, vitale interesse nazionale, già tentato nel 2015 con lo scellerato accordo italo-francese su piattaforma e ZEE, con Gentiloni quale Ministro degli Affari Esteri, fortunatamente non ancora ratificato.


Nicola De Felice, Ammiraglio di divisione (ris.), è Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli.

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Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli. Ammiraglio di divisione (ris.), già comandante di cacciatorpediniere e fregate, ha svolto importanti incarichi diplomatici, finanziari, tecnici e strategici per gli Stati Maggiori della Difesa e della Marina Militare, sia in Patria sia all’estero, in mare e a terra, perseguendo l'applicazione di capacità tese a rendere efficace la politica di difesa e di sicurezza italiana.