I manuali di zoologia e di etologia descrivono il procione, simpatico mammifero popolarmente noto come «orsetto lavatore», quale un animale che si nutre di un po’ di tutto, senza disdegnare gli avanzi di cibo degli umani, ed è talmente solitario che gli esemplari maschi e femmine si incontrano giusto il tempo necessario all’accoppiamento. Non è dato sapere se dalle parti di Palazzo Chigi o della Farnesina di recente se ne siano installate piccole colonie, ma si direbbe proprio che gli attuali Primo Ministro e Ministro degli Esteri abbiano preso spunto da questo comportamento per gestire il complicato dossier libico. Negli ultimi giorni abbiamo assistito infatti ad una imbarazzante e simultanea débâcle della nostra politica estera, che si è segnalata, da un lato, per il carattere solitario e totalmente scoordinato delle azioni poste in essere, e dall’altro per l’atteggiamento poco nobile di chi riesce a intrufolarsi ad una serata per poterlo dire in giro ma a stento viene notato dagli altri commensali mentre si limita a scroccare gli avanzi della cena.

Giuseppe Conte ha ricevuto in Italia il Generale Haftar, nell’idea di incontrare poi anche Fayez al Serraj e operare così una grande, epica mediazione fra i due. Con il piccolo dettaglio che Serraj non si è neppure presentato dopo aver saputo del meeting con il rivale della Cirenaica. Quello di Conte è stato un errore sia di metodo – perché si riceve prima un Capo di Stato riconosciuto a livello internazionale e poi eventualmente la parte avversa – sia di merito, perché nello specifico l’Italia ha un rapporto certamente più consolidato con il premier di Tripoli. 

Luigi di Maio, quasi nelle stesse ore, ha partecipato ad una missione al Cairo con gli omologhi di Egitto, Francia, Grecia e Cipro, ma alla fine non ha firmato il comunicato finale giudicandolo troppo favorevole nei confronti di…Haftar!, cioè di colui che Conte ha ricevuto indispettendo l’altra parte.  La rappresentazione plastica di questo duplice fallimento, che iconicamente e laconicamente esprime quanto poco l’Italia sia ormai considerata, è nel tweet di Heiko Maas in occasione del vertice europeo sulla Libia. La prima versione del tweet (poi cancellato e corretto) era accompagnata dalle bandiere dell’Unione Europea, della Francia, della Germania e del Regno Unito in una foto che però ritrae anche il Ministro degli Esteri italiano. Presente ma evidentemente non pervenuto come negoziatore.

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Sappiamo bene che la politica è l’arte del possibile. A maggior ragione lo è la politica estera, campo  complesso per definizione. E all’interno della politica estera non v’è dubbio che la Libia sia oggi uno degli scenari più critici. Ma se è vero che soltanto chi non agisce non sbaglia mai, riuscire a sbagliare in due sullo stesso dossier, mettendo in campo due azioni diverse in modo simultaneo, è una forma di masochismo che non avevamo ancora visto e che onestamente l’Italia non merita. E i risultati delle ultime ore non devono trarre in inganno rispetto al ruolo di Roma nella crisi libica. Il precario cessate il fuoco tra Serraj e Haftar è infatti il frutto delle trattative guidate dai loro sostenitori Erdogan e Putin, non certo dell’azione dell’Italia, che nei suoi attuali rappresentanti manifesta una tendenza ad auto-isolarsi e uno svilente limitarsi a raccogliere le briciole lasciate da altri. Proprio come l’orsetto lavatore di cui sopra, Conte e Di Maio avranno anche un viso e dei modi simpatici, ma in politica estera ci lasciano l’immagine di due procioni che non riescono a prendere neanche una fava.  


Guglielmo Picchi, deputato della Lega, è stato Sottosegretario agli Affari Esteri tra 2018 e 2019.

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Direttore per le Relazioni internazionali del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Deputato nelle legislature XV, XVI, XVII, XVIII e Sottosegretario agli Affari Esteri durante il Governo Conte I. Laureato in Economia (Università di Firenze), Master in Business Administration (Università Bocconi), dirigente di azienda bancaria.