Quanti di noi hanno mai immaginato un futuro nel quale il sovranismo ha prevalso nella sua visione di un’Europa capace di vivere in maniera fedele alla sua identità senza rinunciare ad essere moderna? Probabilmente pochi. Invece, tanti di noi hanno familiarità con il futuro dipinto dai progressisti: un’Europa liquida, dilavata nell’indifferenza atomistica degli individui e dei sessi, diventati anch’essi fluidi, e nella quale troneggia, nonostante le retoriche neoliberali, la minaccia dell’integralismo islamico. Se tanti hanno familiarità con quanto i progressisti ci dipingono come ineluttabile ma ne hanno poca con ciò che i sovranisti desidererebbero, ecco che ci troviamo di fronte ad una crisi di immaginari.

Jean-François Lyotard, nel suo La condizione postmoderna, aveva già proclamato il tramonto delle metanarrazioni della modernità, quali illuminismo, positivismo e marxismo, e delle loro tre categorie di riferimento: umanità, ragione e progresso. Nella visione postmoderna, tramontate le categorie presuntamente “razionali” che avevano caratterizzato la politica dalla Rivoluzione Francese alla fine della seconda guerra mondiale, non rimane che uno scontro tra differenti narrazioni: indimostrabili, ma non meno capaci di mobilitare grandi masse nei movimenti di contestazione. La grande intuizione del Sessantotto fu la messa in soffitta del giustificante razionalista delle proprie pretese, sostituito con il dominio irrazionale della percezione desiderante, ossia di quei mezzi che ne sono portatori (arte, televisione, cinema etc). Dalla contestazione del Maggio Francese ad oggi, la battaglia per gli immaginari ed i sogni è diventata campo centrale dell’arena politica, ma esso è ancora trascurato dalle forze conservatrici che hanno scelto di opporsi ai progressisti.

La cultura europea tuttavia offre spunti per controbattere a questa offensiva cinquantenaria, se non addirittura per ribaltarne le sorti. Il filosofo preromantico Friedrich Schiller (1759-1805) si era già occupato del rapporto tra estetica, educazione e ragione: deplorando sia le pulsioni razionalistiche tipiche dell’illuminismo a lui contemporaneo, sia il totalitarismo del sentimentalismo che poi avrebbe preso vita con il movimento romantico in Germania. La scissione tra i due impulsi, uno più razionale e calcolante (l’Impulso Formale, Formtrieb), di matrice illuministica, ed uno più intuitivo, “artistico”, ma più vicino all’animalità primigenia (impulso materiale, Stofftrieb), sarebbe per Schiller tipica dell’età moderna, dove le civiltà occidentali vanno raffinandosi. Secondo il filosofo tedesco, uno sbilanciamento sulla razionalità materialistica formale riduce l’uomo ad un mero frammento, parte di grandi organismi spersonalizzati e burocratici, obbediti solo per il timore che incutono e mai per il rispetto che evocano, mentre l’uomo sarebbe nient’altro che uno schiavo assordato dal “rumore della ruota che gira”; una descrizione vivida, che già anticipa le tragedie dei totalitarismi novecenteschi.

Schiller mette anche in guardia sulla eventuale reazione eguale e contraria, ovvero lo sbilanciamento, che ravvisava nei romantici diventati popolari verso la fine della sua vita, verso l’Impulso Materiale. Un uomo sbilanciato verso tale aspetto dell’intelletto, altro non potrebbe diventare che uno schiavo dei suoi bassi istinti, completamente deprivato del bene della ragione, schiavo delle percezioni momentanee. La descrizione combacia in maniera sinistra con ciò che il Sessantotto realizzerà, reagendo al contempo sia alle ideologie di marca liberale (accusate di razionalismo economicista) sia ai cosiddetti scienziati del socialismo che si erano affermati con il materialismo dialettico, teoria filosofica ufficiale dell’URSS. Habermas, in aperta polemica con i postmoderni come Lyotard, aveva già messo in guardia i progressisti sulle falle “neoconservatrici” che si sarebbero potute aprire una volta demolito l’idolo del progresso e accettata la lezione del nichilismo contemporaneo. Tramontata ogni giustificazione trascendentale e razionale, non era scontato che fossero le narrazioni progressiste a prevalere al posto di quelle conservatrici. In questo ambito, Schiller aveva raccomandato un’educazione estetica, che usasse entrambi gli intelletti come mezzi e mai come fini, per il conseguimento di una libertà più grande conforme alla grandezza del mondo classico. Tale impulso, strettamente collegato alla produzione artistica, era lo Spieltrieb, l’impulso al gioco, che egli ravvisava radicato nel teatro.

La produzione artistica dunque come fabbrica di nuovi codici estetici in grado di educare i popoli e di trarli d’impaccio dagli atteggiamenti di difesa di una realtà, la razionalità della quale non è più condivisa da nessuno. Solo un’area sovranista che ritorni, in una chiave postmoderna, capace di dipingere diversi futuri, anziché imbalsamare passati, potrà stagliarsi con forza contro le narrazioni progressiste senza doversi più giustificare.

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Marco Malaguti è esponente del Progetto Prometeo.

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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.