di Claudia Ruvinetti

Domenica 25 febbraio si sono svolte le elezioni regionali sarde, appuntamento locale che ha destato una grande rilevanza nazionale, per via dell’esperimento del cosiddetto «campolargo» (coalizione tra PD e Movimento CinqueStelle), in veste di progetto pilota per rafforzare l’opposizione al governo Meloni. Il progetto si è parzialmente realizzato, in quanto, seppur con poco distacco, ha vinto proprio il campo largo con la relativa candidata presidente.

Alessandra Todde è la prima donna governatore della Sardegna e ci tiene a precisarlo, mettendo in campo argomentazioni come la rottura di «tetti di cristallo», la madre che le consigliava di non farsi «comprare nemmeno un paio di calze», alzando i toni dello scontro ideologico parlando di contrapposizione  tra «matite e manganelli» per ricollegarsi a temi di natura nazionale e generale.

La neo governatrice è una donna di successo: già vice ministro del governo Conte II, ingegnere e imprenditrice. È nata a Nuoro 55 anni fa e condivide la provenienza territoriale con un’altra donna famosa, la scrittrice Grazia Deledda che la stessa Todde ha citato come figura storica da cui trarre esempio.

Mentre il neo-nato campo largo porta la presidente/santa in processione, come una vestale sarda che salverà il popolo dall’oscurantismo, ci si chiede se alcune delle figure che oggi le donne politiche citano come riferimento rispecchino realmente la rappresentazione che il presente ne fa, o piuttosto siano donne geniali ma legittimamente figlie del loro tempo, talentuose ma non assimilabili alla vulgata neofemminista che ne vorrebbe fare dei feticci propri per usarle a proprio uso e consumo.

Nonostante non ci potrà mai essere un femminismo conservatore o sovranista, per via della costituzione precipua che tale concetto porta storicamente con sé, è presente e sarà sempre presente una «questione femminile» e pare giusto riportare le figure femminile artistiche e storiche per dargli la purezza del loro tempo e del loro spazio.

Grazia Deledda fu la prima e unica donna italiana ad aver vinto un premio Nobel per la Letteratura nel 1926; conosciuta nella sua terra natale, ma molto meno nella penisola, la scrittrice nuorese fu prolifica nella sua produzione ed ebbe numerosi contatti con artisti italiani e stranieri.

La sua produzione letteraria rappresenta quello che con un neologismo si direbbe «glocal» (ossia una contrazione tra locale e globale) poiché mescola con maestria ambientazioni sarde specifiche riverberanti temi universali come l’amore, le radici, la malattia e la femminilità, quest’ultima declinata in un connubio tra emancipazione attraverso la scrittura salvifica e rispetto per la tradizione.

Le figure femminili dei libri della Deledda sono creature saldamente ancorate alla terra, una terra aspra che dà ruoli e definiti, ordinati come gli anelli delle catene che si susseguono nello scorrere del tempo. Le donne deleddiane incarnano il bene e il male, nutrono tensioni oniriche pur restando ancorate al suolo; esse si dipanano in opposti caratteri, come nel romanzo Colombi e Sparvieri, nel quale Mariana rappresenta la donna angelo, salvifica e speculare al personaggio sovversivo di Columba.

Oltre al manicheismo bene-male, la donna porta con sé un aspetto magico, tanto è vero che l’amore descritto nasce perché l’uomo si lascia ammaliare dall’elemento demoniaco. Questo aspetto letterario è confermato dagli studi etnologici di Dolores Turchi, secondo i quali le fate sarde (janas) erano sacerdotesse con prerogative di tipo sciamanico.

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Grazia Deledda sposò il funzionario pubblico Palmiro Madesani, con il quale s’intesero subito: la scrittrice avrebbe avuto una certa libertà d’azione come richiedeva la sua professione, pur rimanendo tuttavia una donna schiva e amante della vita casalinga. I due coniugi formarono un sodalizio artistico oltre che umano, in quanto Madesani curò personalmente la carriera della moglie. Alle elezioni politiche del 1909, Grazia Deledda fu la prima candidata d’Italia, nel collegio di Nuoro, in un periodo in cui alle donne non era concesso ancora l’elettorato attivo. In questa circostanza ottenne tre voti, una trentina le furono annullati.

Nell’interessante intervista apparsa nel «Corriere d’Italia», dal titolo Chiacchiere antifemministe con la prima candidata, Grazia si fa incalzare dal giornalista rispondendo in maniera originale e intelligente, utilizzando argomentazioni profonde senza incedere mai nel vittimismo di genere; le donne, sì, avrebbero bisogno di essere rappresentate nelle istituzioni e potrebbero conciliare il loro ruolo di madri e di politiche, ma «la miglior cosa è lasciar che il mondo vada per il suo verso, senza forzar troppo le tendenze, né senza troppo osteggiarle».

Originale è un’altra figura femminile, Valentine de Saint Point, che aderì al movimento futurista e si distinse come attrice di teatro, ballerina e pensatrice. Suo è il passo sottostante, estratto da un testo chiamato Il teatro e le donne del 1912, nel quale, con lucidità disarmante parla di una tematica attualissima: il rapporto tra i sessi e il femminismo.

Eppure la nostra è un’epoca che vede trionfare il femminismo, con i suoi orrori e la sua bellezza. Accanto alle donne sprovviste di ogni grazia, che, per acquisire diritti che le altre donne hanno in pratica sempre posseduto, copiando l’uomo, si sono virilizzate, al punto di perdere tutte le loro essenziali qualità femminili; altre donne, che sono belle o semplicemente dotate di un’intelligenza più vasta, hanno acquisito una maggiore indipendenza e spirito di vita, un gusto per lo sforzo personale e per un’attività in armonia con la grazia e la fatalità del loro essere.

Questi anni caotici e fluidi dovrebbero riportare alla luce la bellezza mistica di Cristina Campo, poetessa e traduttrice, nata nel 1923 a Bologna da una famiglia borghese, spirito cristallino e antimoderno. Si occupò di traduzione e poesia ed ebbe una vita segnata dalla malattia e dalla solitudine, intervallata da scambi proficui con grandi personalità intellettuali e una vita sentimentale appassionata.

Grazia, Valentine, Cristina possono diventare le nostre influencers non conformi, indomiti cantanti dell’essere e testimoni di un nuovo femminilismo.

claudia ruvinetti
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Laureata in Psicologia, militante politica, coltiva parallelamente la passione per i temi della comunicazione politica, del rapporto fra i sessi e della storia militare.