di Claudia Ruvinetti

A dicembre scorso è uscito il nuovo libro di Emanuele Ricucci (Indecenti, Passaggio al bosco, p. 195), prolifico autore romano, già collaboratore tecnico di Vittorio Sgarbi e di Marcello Veneziani, conferenziere e scrittore di approfondimenti culturali per i quotidiani “Il Giornale” e “Libero”, Indecenti è il culmine di una serie di riflessioni dell’autore sull’uomo moderno, accorata chiamata alle armi per ridestare i suoi lettori dal torpore in cui il politicamente corretto costringe l’uomo moderno.

Ricucci delinea un passaggio dell’età contemporanea dalle masse del novecento alle folle odierne, marcandone le differenze sostanziali. Se la massa era un insieme caotico e indifferenziato di individui – foriera però di grandi mutamenti sociali come le lotte per i diritti sociali, catalizzatrice di spiriti del tempo e cambiamenti -, la folla ne è la degenerazione atomizzata e poco utile, individui senza individualità, costretti a portare avanti rivoluzioni per conto di altri, soli, tanti e disuniti, un mero pubblico che spia un incidente.

Nel mondo moderno, dove il sacro non esiste più, dove il linguaggio dei popoli occidentali non è più ancorato alla realtà, ma alla neolingua che si fa astratta con schwa e declinazioni improprie, anche il concetto di decenza cambia.

Prima la decenza era il senso del limes, il pudore della buona educazione come strumento di elevazione spirituale, di adattamento alla società per non offendere sé stessi e gli altri, in questo momento al bene si è sostituito il giusto, il giusto come misura di chi detiene il potere culturale, una metrica precisa in cui stare, nel perimetro del giusto ideologico, del giusto linguistico e pure del giusto sessuale.

E proprio in questo senso si ha il paradosso, dove anche la rivoluzione sessuale è stata soppiantata dalla sua grottesca parodia, pensiamo per esempio al Festival di Sanremo, strapieno di poca qualità canora ma di tanto rumore, dove Fedez mimò un rapporto sessuale in diretta con Rosa Chemical, in cui i cantanti più che gara canora fanno la gara al vestito più bizzarro, trenta o quaranta anni di ritardo rispetto a chi lo aveva già fatto, come Loredana Berté o David Bowie, artisti per i quali la personalità scenica era ribellione e non sterile ribellismo.

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In questo caso sembrano profetiche le parole dello scrittore Nicolás Gómez Dávila che asserisce “…dopo aver screditato la virtù, questo secolo è riuscito a screditare anche i vizi. Le perversioni sono diventate parchi suburbani frequentati in famiglia dalle moltitudini domenicali”.

Citando la canzone di Sergio Caputo, se la “radio ci pugnala con il Festival dei fiori, un angelo al citofono ci dice vieni fuori”, Ricucci fa un appello per farci ragionare, senza intenti moralizzatori, tutt’altro, i suoi indecenti non sono santi, non sono eroi, sono uomini che diventano sovrani, ricompattandosi e non lasciandosi dominare del presente.

La sessualizzazione della società sta poi portando effetti paradossali, in cui alcune ricerche dicono che i venti-trentenni hanno molti pochi rapporti sessuali reali, soppiantati in tutto o in parte dal porno, che non è da condannare in toto, ma la cui portata massiccia può condurre a impotenza anche in fasce giovanili. Nel carrozzone televisivo odierno, la sessualità non ha più la bellezza dolce dei nudi ritratti dal Rinascimento, o l’erotismo schiumante e doloroso dei quadri di Schiele, è solo un’ imitazione parodistica del reale fine a sé stessa, un gioco di corpi disabitati.

Il nostro consiglio per questi giorni quindi è di spegnere la televisione, leggere il libro di Ricucci, magari cucinare un buon piatto semplice, insomma tutte cose assolutamente indecenti.

claudia ruvinetti
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Laureata in Psicologia, militante politica, coltiva parallelamente la passione per i temi della comunicazione politica, del rapporto fra i sessi e della storia militare.