Due fenomeni molto diversi ma con un fil rouge comune hanno dominato il dibattito pubblico dell’ultimo mese. La pubblicità della nota catena alimentare Esselunga ha invaso i discorsi social e televisivi, scatenando un effetto domino di riflessioni o semplici commenti da parte di opinionisti, politici e semplici cittadini. In breve, lo spot incriminato consiste in uno scenario in cui una bambina regala una pesca acquistata con la madre nella nota catena di supermercati, per poi regalarla al padre fingendo che sia dalla parte dell’ex moglie. Non sappiamo nemmeno se la coppia sia separata momentaneamente o definitivamente, non ci sono riferimenti espliciti a fatti o commenti, lo spot è dominato solo da un qualche fotogramma di spontaneo e ingenuo tentativo di “mediazione” familiare. I trenta secondi appena descritti non sono stati abbastanza brevi da impedire la fiumana di commenti negativi e dietrologici, riassunti essenzialmente dall’idea che lo spot volesse colpevolizzare le coppie separate o addirittura (!) mettere in discussione l’istituto giuridico del divorzio.
Il secondo evento che ha scatenato gli animi della politica (ma soprattutto del popolo) è stata la separazione del presidente del consiglio Giorgia Meloni dal suo storico compagno, padre della figlia Ginevra e giornalista Mediaset; evento temporalmente susseguitosi ai fuori onda pubblicati da Striscia la notizia, in cui Andrea Giambruno veniva ripreso mentre scherzava in maniera molto estroversa con delle colleghe.
In questo caso un tema privato – una coppia di adulti che si separa, tra l’altro in maniera rocambolesca e urtando in maniera discutibile la sensibilità di una delle parti – veniva utilizzato per denigrare le battaglie culturali sulla cosiddetta famiglia tradizionale, che poi altro non è che la protezione giuridica e la tutela ideale dell’unione stabile di una coppia eterosessuale con figli, non l’esaltazione della perfezione dei rapporti coniugali, che, in quanto umani, corruttibili, né il tentativo di dare una valenza religiosa al concetto di fedeltà o peccato.
“Non temo la pesca in sé, temo la pesca in me”
Lo psicologo ginevrino Jean Piaget definì l’egocentrismo come la tendenza naturale del bambino di assumere il proprio punto di vista come l’unico possibile. Il grande studioso svizzero si cimentò in eleganti esperimenti con bambole e materiale didattico per costruire gli stadi di sviluppo cognitivo dall’infanzia all’età adulta. Non è d’interesse in questa sede soffermarci sulle specificità di questo autore, quanto prenderne spunto per descrivere un tratto evidente della nostra epoca: l’Io che si ripiega su sé stesso, un cittadino infantile che vede ogni fenomeno – in questo caso ogni prodotto culturale e simbolico – come riferiti a sé e solo a sé, un popolo di adulti con poca capacità di astrazione, perennemente ripiegati su sé stessi, nella difesa maniacale di evitare che l’esterno ci ponga al di fuori della nostra visuale, riportandoci ogni tanto a fare i conti con la nostra esistenza.
La frase “non temo Berlusconi in sé, temo Belusconi in me” è stata erroneamente attribuita a Giorgio Gaber, appartenendo in realtà al cantautore Gian Piero Allosio. Lo pesca non fa paura in sé, ma in quanto rappresenta il senso di colpa che ormai l’adulto vuole evitare di poter provare, nascosto come è nel suo bozzolo primitivo di individualismo.
Nel caso della frase su Silvio Berlusconi il cavaliere non “spaventava” solo in quanto azione politica – per altro ironicamente rappresenta quello che ora i benpensanti ritengono sia la destra moderata ma allora era l’estremismo che avanzava – piuttosto i cittadini dovevano per la prima volta fare i conti con il populismo, con i leader alla mano che non parlano inamidati, che amano le donne e la veracità, in una definizione, come detto brillantemente in un video del canale Progetto razzia, Berlusconi era “l’arci italiano”.
Il divorzio è ancora doloroso?
I divorzi ormai sono talmente comuni da diventare prevedibili, normalizzati dalla loro frequenza e dal contesto culturale che è negli anni è cambiato; il fatto però che un’evento sia comune, in gergo tecnico psicologico “quasi normativo”, non significa che non porti con sé una scia di dolori e travagli, come tutte le situazioni conflittuali, soprattutto per la prole. In questo quadro si inserisce la mediazione familiare, un processo di incontro tra i gli ex coniugi, nel quale non si vuole necessariamente ricomporre il legame coniugale, quanto rendere i rapporti meno aggressivi e distruttivi, evitando quello che Cigoli, Galimberti e Mombelli (1988) definiscono “legame disperante”, una relazione dove l’altro è considerato un male, a cui vanno attribuite tutte le colpe, anche quelle personali; ed è proprio in questa logica che si alimenta il desiderio di distruggerlo.
D’altronde è ironico – come fa notare sempre su questo blog Emanuele Mastrangelo – che un’epoca ammantata di buonismo a senso unico, di #restiamoumani e rifiuto della violenza, non colga l’umanità di una bambina che tenta la riconciliazione dei genitori, facendo il tifo per il conflitto perenne. Nonostante l’impossibilità di una ricucitura reale del matrimonio, spesso i bambini hanno fantasie di riconciliazione, così, se anche una pesca in regalo non può risolvere un rapporto, si può sperare nella magia di un dono. Esistono due tipi di follia in fondo, quella distruttrice e carica d’odio e quella dell’errore dolcissimo delle illusioni.
Il pensiero astratto
Sempre lo psicologo ginevrino Piaget sostenne che, durante l’adolescenza, i ragazzi raggiungono lo stadio del pensiero formale, imparando a ragionare su valori, ipotesi e simboli, distaccandosi così dal solo piano concreto. I valori in generale non sono concetti empirici, ci aiutano a seguire dei comportamenti ma non si riassumono esattamente con essi. Un uomo e una donna possono avere divorziato perché non vanno più d’accordo ma allo stesso tempo essere consapevoli della sofferenza potenziale e reale che ciò porta con sé, rifletterci e cercare di farci i conti. Il piano dell’arte e dell’industria multimediale – a parte quella spiccatamente di regime e didascalica, che nasce con il solo scopo di impartire un messaggio – è un mondo fatto di suggestioni e tecniche espressive, che travalicano spesso il piano morale o moraleggiante.
Per esempio, quant’anche non siamo di opinioni progressiste, difficilmente non vedremmo la grandezza musicale di un brano come “Andrea” di Fabrizio De André, parimenti se amiamo “Viaggio al termine della notte” di Céline, non per forza saremmo dei violenti nella vita reale. Lo scopo delle produzioni artistiche – in questo caso è uno spot, quindi ci sono anche intenti legittimamente commerciali – è quello di trasfigurare la realtà in attimi, in frammenti di emozioni. No, lo spot dell’Esselunga non parla a te singolo e al tuo divorzio, parla DEL divorzio, fotografa un attimo nel quale possiamo cambiare canale, oppure emozionarci, ricordarci che siamo adulti e responsabili delle nostre azioni per far sì che un domani potremo continuare a sbagliare, meno, meglio, forse non più.
[foto: Oregon Department of Agricolture CC 3.0 SA by NC]
Laureata in Psicologia, militante politica, coltiva parallelamente la passione per i temi della comunicazione politica, del rapporto fra i sessi e della storia militare.
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