di Emanuele Mastrangelo

Possibile che quella che è l’ammiraglia dell’intrattenimento woke si sia fatta estorcere la distribuzione di un film che gronda valori cattolici? Ebbene, nell’epoca in cui la fede in Cristo sembra tornata nelle catacombe, pare proprio di sì. D’altronde Netflix proprio per smania di “diversità” ha cominciato ad arruolare registi, sceneggiatori e pellicole anche fuori dai confini dell’anglosfera, portandosi così però dentro prodotti che finiscono per non essere sempre allineati e coperti all’ideologia liberal della società californiana.

Il film dell’orrore – sottogenere survivalBird Box Barcellona è uno spin-off uscito lo scorso 14 luglio di una pellicola del 2018. Film totalmente allineato e coperto agli stereotipi wokeisti (madri single, quote razziali, LGBT friendly etc.). I due registi-sceneggiatori della versione in salsa catalana – Álex Pastor e David Pastor – ne hanno riscritto la vicenda ambientandola a Barcellona. E soprattutto dandole un taglio sottilmente cattolico, nel senso più profondo del termine.

A sciabolate, il soggetto originale di Bird Box tratta di misteriose entità invisibili che appaiono dal nulla e innescano una epidemia di suicidi apocalittica: chi guarda le entità perde la ragione e si uccide. L’unica maniera di sopravvivere è oscurarsi la vista. I due Pastor mantengono questo elemento (la parte più debole della trama, peraltro), ma vi aggiungono con grande abilità un sottotesto percettibile solo a chi sa leggerlo: e se queste entità fossero il Diavolo? E se la chiave per sopravvivere fosse la fede in Nostro Signore? Tutto ciò non viene mai detto apertamente. Anzi, in tutta la pellicola le spiegazioni dei vari personaggi sono perfettamente materialiste, mainstream. Le creature invisibili sono alieni, forze quantistiche, traumi psicanalitici… Eppure…

La trama [attenzione, da qui in avanti vi sono spoiler] racconta di un uomo, Sebastian, che attraversa una Barcellona postapocalittica insieme alla figlia Anna. Di lì a poco si scopre che Sebastian non solo non intende sfuggire alle “entità”, ma collabora con esse. Con l’inganno spinge alla morte le persone che incontra. Egli è convinto di agire per un “bene superiore”, guidato e consigliato dalle parole della figlia Anna, che in realtà è morta, e che egli immagina nella propria testa. Sebastian è spinto da quella visione a far morire più persone possibile, per “liberarne le anime”.

Sebastian infatti è entrato in una setta guidata da un prete senza più fede. Questa setta ha come simbolo un occhio sbarrato e dà la caccia ai superstiti. Tuttavia a un tratto Sebastian incontra un gruppo di sopravvissuti di cui fa parte una bambina tedesca rimasta sola. L’uomo provoca la morte di gran parte dei membri del gruppo, ma di fronte alla bambina ha uno scatto di coscienza e riprende lucidità. Nello scontro finale col prete malvagio, Sebastian sacrifica se stesso per consentire alla bambina Sofia e alla coprotagonista Claire di raggiungere l’ultimo rifugio sicuro dove i barcellonesi sembrano essersi organizzati per resistere e preparare la riscossa.

Se la trama così raccontata sembra quella di un qualsiasi survival horror è nei dettagli che va cercato il Diavolo (e l’acqua santa). Intanto gli elementi woke vengono liquidati dai due Pastor nei primi dieci minuti di pellicola, evidentemente per far contenti i produttori. C’è il personaggio gay (una comparsa), c’è il personaggio di colore (la coprotagonista, che però non è immigrata, ma una scrittrice afroamericana in viaggio di lavoro in Spagna). C’è anche la tirata apparentemente anti-tradizionale: il vilain è il cappellano della scuola cattolica di Anna, che perde la fede e fonda una setta gnostica, due dei “buoni” sono degli intellettuali antifranchisti divorziati, con lei femminista. Abbastanza per far fessa e contenta una certa critica superficiale.

Ed è proprio nel personaggio del sacerdote votato al male che troviamo la prima perla del filo di Arianna che ci conduce alla lettura cattolica del film. In un suo delirio il prete rivela i motivi della scelta del male: aver fede significa credere in ciò che è invisibile, ma egli ha bisogno di vedere. La frecciata allo gnosticismo e al materialismo che stanno devastando il cattolicesimo progressista è evidente. Vi si potrebbe vedere anche la metafora del “Mistero dell’Iniquità”, quella profezia che vuole la Chiesa pervertita dall’interno alla vigilia della fine dei tempi.

A questo punto, anche l’azione maligna delle creature invisibili che spingono la gente a suicidarsi acquista tutt’altra spiegazione. Altro che alieni o psicanalisi freudiana: esse sono Satana, che agisce attraverso il peccato mortale della Disperazione (peccato contro lo Spirito Santo, perché si perde la fiducia nella Provvidenza) o con le blandizie, il desiderio e la proposta di una “via facile” alla fine delle tribolazioni. O addirittura fingendosi angeli (il tema del serafino ritorna più volte, e secondo una tradizione Lucifero era un serafino prima della Caduta). Lo stesso Sebastian è spinto a compiere il male ingannato nella convinzione di agire secondo una “volontà superiore”. Eppure, l’uomo ha già dei dubbi: egli inganna, tradisce. In una scena Sebastian rivela i suoi scrupoli di coscienza confidandoli a un confessionale vuoto. Lo spettatore superficiale direbbe “ah, vedi il fanatico religioso?”, mentre invece quello è il seme della redenzione: il sacramento della Penitenza…

LEGGI ANCHE
Ennio Morricone. L'ultimo genio italiano

È nello scontro finale che si rivela la chiave di lettura cattolica. Sebastian si sacrifica per consentire alla bambina e alla scrittrice americana di raggiungere la salvezza. D’altronde, San Sebastiano è invocato come soccorritore dei perseguitati… Nella scena della lotta contro il prete malvagio, il fantasma della figlia Anna si presenta davanti a Sebastian per trarlo di nuovo in tentazione, ma è simbolicamente avvolta da fiamme infernali. L’uomo salva se stesso dal ricadere nell’errore salmodiando un passo del Vangelo: “Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci”. (Matteo 7:15). Aggrappato alla fede combatte da vero miles Christi, immolandosi per il bene delle persone che ha deciso di proteggere, finendo trafitto come il suo eponimo (“Majórem hac dilectiónem nemo habet, ut ánimam suam ponat quis pro amícis suis”, Giov. 15:13).

L’elemento che annuncia invece la salvezza per le due donne è il suono di una campana (trasparente metafora della voce che chiama i fedeli alla Santa Messa) e poi il lieve tintinnio di un ciondolo (trasparente metafora dello scampanellio alla consacrazione dell’Eucarestia). E non a caso per impedire a Claire e Sofia di salvarsi, le entità invisibili si scatenano con una serie di manifestazioni che non avrebbero sfigurato ne “L’Esorcista”: il Demonio impotente davanti alle anime che non riesce a catturare si agita scompostamente come la tradizione cattolica ci ha raccontato in cento e cento storie di possessione sconfitta.

Merita un cenno il finale. Sofia e Claire raggiungono il castello di Montjuïc a Barcellona dove la resistenza umana si è organizzata. I pochi superstiti rimasti sono organizzati alla militar maniera e irreggimentati con durezza: è il prezzo della sopravvivenza. Un’algida scienziata sottopone Claire a esami medici e interrogatori e spiega lei che stanno cercando una sorta di “vaccino” per queste creature invisibili, usando come cavia umana un pazzo suicida prigioniero tenuto immobilizzato. Nella scena conclusiva un ennesimo esperimento fallisce mentre l’indemoniato (ormai possiamo chiamarlo così) grida che il diavolo delle sue allucinazioni è “bellissimo”. Il materialismo non potrà sconfiggere il male e la strada imboccata è un vicolo cieco.

In questo film anche i comprimari regalano perle di anticonformismo. Da manuale è lo scambio di battute fra filo-repubblicani e filo-franchisti: “Questo rifugio ha resistito alle bombe dei fascisti, contiamo di resistere anche noi qua dentro”; “Qualcuno spieghi alla professoressa chi ha vinto alla fine la guerra…”. Mentre i due intellettuali divorziati muoiono insieme confessando di non aver mai voluto davvero la separazione, spinti dall’ira, dall’incontinenza e… dagli avvocati: “L’uomo non divida in terra ciò che Dio ha unito in cielo”.

Da decenni il cinema mainstream ha rinunciato a portare i valori cristiani sul grande schermo. Anzi, si è dato da fare attivamente per la scristianizzazione della società, con sceneggiature e stereotipi anticristiani di una banalità da Dylan Dog. I tempi dei finali con la morale cristiana – forse un po’ didascalica – come ne “La guerra dei mondi” (1952) o “Il pianeta proibito” (1956) – sono un altro eone. Oggi i cattolici veri sono tornati nelle catacombe. Si devono nascondere, probabilmente dai loro stessi “pastori” (come Sebastian definisce se stesso prima di redimersi). Ma qualche volta riescono a riemergere per dire la loro su un mondo che cade a pezzi.

+ post

Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).