di Alice Carrazza

Lunedì 12 giugno, una data che ricorderemo per sempre. Una data simbolo che segna la fine di un’era, tanto politica quanto spartiacque per la storia dell’Italia. Sarà difficile dimenticare l’istante in cui ognuno di noi ha appreso la notizia della morte di Silvio Berlusconi, i pensieri e le azioni che attraversavano le nostre vite si sono cristallizzati in quel breve momento in cui tutta l’Italia si è fermata.

Il Cavaliere è stato tante cose. Un promotore immobiliare, costruttore e innovatore. Un rivoluzionario dei media che trasformò la televisione e la comunicazione italiana. Un brillante proprietario della squadra di calcio italiana AC Milan prima e del Monza poi, portandola alla ribalta in Serie A. Un vero e proprio magnate degli affari. Un politico carismatico, colui che è riuscito a riportare la destra politica al governo del Paese per la prima volta dalla fine del fascismo. La sua scesa in campo ha saputo sbloccare un sistema incapace di esprimere meccanismi regolari di alternanza fra governo e opposizione, frutto di alleanze instabili e poco efficaci. Per questo anche i critici più severi dell’età berlusconiana hanno accolto in termini positivi il ritorno a un modello tendenzialmente bipolare che ha consentito, seppur in modo farraginoso, una fisiologica alternanza di governo fra coalizioni di centro-destra e centro-sinistra per circa un ventennio. Silvio Berlusconi riusciva a intercettare il cambiamento e venderlo tanto agli altri quanto a sé stesso, come titola Maurizio Belpietro oggi su La Verità.

Le narrazioni erano la sua specialità. Grazie ad esse era in grado di incantare i suoi interlocutori, facendo sognare il sogno che lui stesso stava vivendo. È anche per queste ragioni se possiamo ricordarlo come un abile seduttore, concentrato sul conquistare, talvolta sfacciatamente, chiunque incontrasse sul suo cammino. Conquistò prima di tutto gli italiani in quel lontano 1994, con il 43% delle preferenze. Poi fu la volta dei politici di tutto il mondo, agendo con destrezza sulla scena politica internazionale e riportando dignità all’Italia, attraverso la difesa dell’interesse nazionale.

Il leader di Forza Italia è stato però anche un uomo travolto dagli scandali, giudiziari dapprima e personali poi. Il suo braccio destro fu condannato nel 2004 a 9 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, condanna che in appello scese a 7 anni e fu poi ribaltata dalla Cassazione. Susseguirono accuse e imputazioni che lo coinvolsero personalmente, 36 procedimenti subiti per l’esattezza, di cui soltanto in uno dichiarato colpevole per frode fiscale. Condanna che ha segnato la sua vita e la sua carriera politica. Lo costrinse a chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali per un periodo di 10 mesi e mezzo, al netto dello sconto per la liberazione anticipata, e ad affrontare la dolorosa decadenza dal suo ruolo di senatore, nonché l’incompatibilità con incarichi politici fino alla sua riabilitazione nel 2018. Nonostante le difficoltà affrontate, è tornato con determinazione e coraggio sulla scena pubblica nell’ultima legislatura, sempre col sorriso e un pizzico di autoironia. Una figura decisamente complessa, la sua, fatta di luci e di ombre, tutte da considerare per tracciare il profilo di un uomo, un imprenditore e un politico di calibro.

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Tuttavia, Berlusconi è stato anche altro. Forse è proprio questo “altro” che lo rende così memorabile ai nostri occhi e ci permette di riflettere sul suo lascito. Interessante notare come a pochi giorni di distanza dalla sua morte, il nome di Berlusconi non smetta di suscitare una serie di emozioni e reazioni. Il dibattito pubblico è invaso di reminiscenze, lacrime o livori. Queste emozioni sono il risultato di una lunga e complessa storia politica che ha coinvolto molte persone, ognuna delle quali ha interpretato e vissuto l’era di Berlusconi in modo diverso.

Appropriandoci saggiamente del concetto espresso da Gian Piero Alloisio, citato sul Corriere della Sera nel 2001 e attribuito erroneamente a Giorgio Gaber, ci confronteremo non tanto con “Berlusconi in sé” quanto con “Berlusconi in me”. Questa citazione mette in luce il fatto che quest’uomo italiano è diventato un simbolo astratto, uno specchio attraverso il quale ognuno di noi si è definito, sia per identificazione che per contrapposizione. Abbiamo affrontato la sua figura ogni giorno, ammirandola, attaccandola, sognandola o deridendola. In questo modo, Berlusconi ha finito per definire noi stessi, contribuendo a influenzare e costruire la nostra identità per somiglianza o per contrasto.

Alla fine, siamo ciò che facciamo e ciò che lasciamo. Il più grande lascito di Berlusconi sono quindi le emozioni che è stato in grado di suscitare. Queste riflettono il complesso e ambivalente rapporto che il popolo italiano ha avuto con lui; sono ormai parte integrante della nostra identità collettiva e individuale, e non esiste una risposta unica o definitiva su come interpretarle. Dobbiamo essere coscienti che le azioni dell’altro possono avere un impatto significativo per costruire o ritrovare la nostra identità.

Berlusconi ha plasmato il nostro Paese e noi italiani. Ora è fondamentale ammetterlo, per una migliore comprensione del passato e del futuro politico dell’Italia. Chiedetevi dunque, chi siamo senza Silvio Berlusconi?

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Responsabile della comunicazione del Centro Studi Machiavelli. Laureata in Relazioni internazionali, sta attualmente conseguendo il secondo titolo in Scienze della politica, della sicurezza internazionale e della comunicazione pubblica.