di Emilio Pietro De Feo

Ha suscitato un forte dibattito nell’opinione pubblica – come del resto era scontato che accadesse – l’affermazione espressa dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, il quale nel corso di un’intervista ha parlato di “sostituzione etnica” scatenando così l’ira dell’opposizione. Le masse di migranti cui si imputa di provocare indirettamente tale sostituzione provengono dal continente africano, oggetto più che soggetto geopolitico per eccellenza, in cui spesso sono presenti Stati senza Nazione. La sostituzione sarebbe causata dall’inarrestabile calo demografico a cui va incontro il Vecchio Continente ed in particolar modo l’Italia a fronte della crescita demografica del “continente nero”. Spesso i detrattori accomunano affermazioni simili a teorie complottistiche o suprematiste bianche, alle quali sarebbero collegati alcuni episodi stragisti sia in Europa che negli Stati Uniti. In Francia, paese che di fatto presenta maggiori problematiche dal punto di vista dell’integrazione, il dibattito sulla sostituzione etnica ha visto impegnati nel corso degli anni sia saggisti e letterati: da Renaud Camus ad Alain de Benoist, da Eric Zemmour a Michel Houellebecq. Già di per sé il termine etnia è facilmente equivocabile, a causa dei molteplici significati che tale concetto racchiude e che ha rappresentato nel corso del tempo, nonché per la similarità con altri termini talvolta usati impropriamente come sinonimi, quali razza o identità. Il fenomeno della globalizzazione ha causato ulteriori difficoltà nel definire cos’è e come si distingue un’etnia dall’altra, fino a svuotare la parola di significato. Nell’ambito degli studi di politica internazionale e geopolitica il concetto di etnia ha assunto una dimensione conflittuale con la celebre opera The Clash of Civilizations di Samuel Huntington verso la fine del XX secolo. Secondo la prospettiva del politologo i conflitti tra le diverse civiltà avrebbero sostituto quelli per le ideologie. Il livello di conflittualità tra due etnie non può essere spiegato in termini di vicinanza o lontananza territoriale: popoli confinanti possono essere nemici o amici a seconda delle circostanza alla pari di popoli molto distanti tra di loro.

Il rapporto tra etnia e geopolitica

Dario Fabbri, noto divulgatore e analista geopolitico, nei suoi interventi attribuisce sempre una fondamentale importanza al carattere etnico dei popoli e di come tale valore ha plasmato e influisce sulle decisione di una nazione. A tal proposito ha lamentato spesso l’assenza rispetto al passato di studi approfonditi sull’etnologia e l’etnografia, talvolta considerate come discipline superate come accaduto per la geopolitica, materia che è stata “riabilitata” negli ultimi trent’anni. Secondo Fabbri ogni Impero – nel linguaggio odierno si direbbe potenza – che si rispetti, si è formato da una moltitudine di popoli inizialmente diversi conservando nonostante ciò una certa dose di etnocentrismo. Come spiegava in un articolo di Limes “Israele. Lo Stato degli ebrei” uscito nel 2018

Ogni impero appartiene ad una stirpe dominante, aldilà della sua composizione multietnica e multiculturale. Afferisce alla popolazione che ne ha esteso i confini oltre l’iniziale stanziamento, che ha compiuto l’impresa […] Nonostante l’assorbimento nel suo tessuto di genti dapprima ostili quindi sottomesse, la nazione originaria mantiene superiori prerogative nei confronti del resto, custodisce un’insindacabile autorità.

E prosegue con alcuni esempi inequivocabili. Dall’Impero romano che “All’alba della propria epopea, durante la guerra del 340 a.C i romani sconfissero i latini e i volsci” e dove per secoli

gli abitanti dell’Urbe rimasero gli unici detentori della potestà imperiali finché nell’89 a.C le genti italiche stanziate sull’Arno e dell’Esino furono considerate abbastanza assimilate da ottenere l’anelata cittadinanza (Lex Plautia Papiria)

all’Impero Ottomano, nel momento in cui i turchi si imposero sulle minoranze che vivevano nei confini del nuovo impero. Dagli arabi ai curdi,

Giunti lentamente nell’Anatolia occidentale, a partire dal XIII secolo gli ottomani sottomisero i bizantini presenti nella penisola […] Pur garantendone la protezione, nel corso dei decenni l’etnia turca si impose sulle minoranze che vivevano nei confini del nuovo impero. Dagli arabi ai curdi, dai greci agli slavi, dagli armeni agli ebrei. Senza rinunciare mai alla propria superiorità.

Dall’odierno Iran il quale

benché garantisca a tutte le etnie eguali diritti politici e religiosi, riconosce soltanto l’Islam sciita e duodecimano come religione di Stato. Così decretando i persiani unici detentori dell’impero, giuridicamente denominato Repubblica. Con i turchi persianizzati (azeri) immediatamente sottoposti al gruppo principale, sopra gli armeni, i curdi, gli arabi, i turcomanni, i baluci. In una gerarchia antropologica che è sostrato del regime;

fino agli Stati Uniti dove

a primeggiare e il ceppo germanico, composta in minoranza da britannici emigrati ai tempi delle colonie e in maggioranza da tedeschi giunti in Nord America alla fine dell’Ottocento, in cui per oltre un secolo la superiorità razziale è stata stabilita per diritto e dove ancora oggi gli americani anglosassoni si percepiscono quali unici titolari della nazione, con le altre minoranze (africani, ispanici, asiatici) relegate a rango secondario.

Tale etnocentrismo presente fin dalla genesi di una potenza si converte nel suo opposto nella fase di declino, ovvero di stanchezza imperiale, in una sorta di autorazzismo, nel quale, come spiegato da Freud in Il disagio della civiltà con l’aumento della civiltà, aumenta nell’uomo il senso di colpa. Fattore che potrebbe spiegare in termini di psicologia collettiva il fenomeno della cancel culture negli Stati Uniti, impero in declino relativo. Sempre Fabbri parlando del caso italiano sottolinea come in Italia non ci sia mai stato un vero e proprio problema etnico, sottolineando come l’omogeneità italiana sia una caratteristica di cui gli italiani stessi sembrano non rendersene conto. L’Italia è un paese che spesso racconta male di sé, ignorando la propria omogeneità sia essa linguistica, culturale, religiosa, artistica ecc. accentuando a dismisura le diversità fino a presentare la propria storia nazionale come un’imposizione, lo Stato italiano come una creazione totalmente artificiale. Tale approccio storiografico e culturale probabilmente è dovuto anche al lungo periodo di dominazione straniere che si è susseguito attraverso i secoli nella penisola.

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Conclusione

Fuori da quell’eterno passato del ventennio fascista e annesse leggi razziali alle quali si richiama spesso la sinistra per criticare espressioni come quelle del ministro Lollobrigida, in Italia il problema etnico non si è mai posto dal punto di vista biologico, semmai sotto l’aspetto della capacità reale del paese di compiere un sano processo di integrazione culturale invece che subirlo in maniera indiscriminata. In un’epoca in cui si assiste ad una guerra aperta dei concetti, quello di etnia, tantomeno se accompagnato dal sostantivo sostituzione, non viene di certo risparmiato. Tuttavia esistono delle leggi storiche e geopolitiche alla quali non può sottrarsi neanche chi vorrebbe considerare come obsoleti concetti quali nazione, patria, appartenenza, identità e appunto, etnia.

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Laureato in Scienze politiche e relazioni internazionali (Università degli Studi di Salerno) è laureando in Investigazione, criminalità e sicurezza internazionale (Università Internazionale degli Studi di Roma, UNINT). Pubblicista, collabora con "Quotidiano del Sud- Corriere dell'Irpinia" e con "Oltre la linea".