di Emilio Pietro De Feo
Dal Pivot to Asia agli accordi di Doha

‌L’inaugurazione della nuova dottrina di politica estera americana denominata “Pivot to Asia” durante il primo mandato Obama, finalizzata al superamento del pantano mediorientale concentrando le proprie energie in primo luogo sull’avversario cinese, ed in seguito la firma degli storici Accordi di Doha per opera dell’Amministrazione Trump nel 2020 tra governo Usa e talebani hanno rappresentato due tappe significative per porre fine al ventennale conflitto in Afghanistan. Il ritiro di tutte le truppe americane dal territorio afghano ha spinto l’opinione pubblica a interessarsi delle sorti della popolazione del Paese centro-asiatico. Anche la comunità internazionale tutta si è mobilitata per assicurarsi sia una certa stabilità del Paese, a seguito del nuovo “vecchio” assetto istituzionale, sia perché allarmata dalla scarsa propensione dell’integralismo islamico ai valori universalistici dell’Occidente.

Il fallimento della guerra al ‘terrore’

‌Non ha avuto gli esiti che il mondo civilizzato si aspettava la campagna “Enduring Freedom” attraverso la quale il mondo occidentale, con gli USA in testa, intraprese all’inizio del terzo millennio la cosiddetta “guerra al terrorismo”. Tale concetto appare paradossale in quanto non è concepibile dichiarare  guerra a un metodo, o a una tattica, adoperata molto tempo prima della nascita di Al-Qaeda. Al tempo stesso la cosiddetta guerra al terrorismo si pone fondamentalmente come una guerra infinita, data la mancanza di chiari riferimenti spazio-temporali.

La ripresa del potere dei talebani fa sorgere interrogativi importanti: i talebani possono essere considerati ancora come gruppo terroristico? Qual è la differenza tra organizzazione terroristica e Stato? Cos’è il terrorismo?

I talebani nascono come studenti islamici di etnia pashtun. Infatti, ad essere determinante nella presa del potere da parte dei talebani rispetto alle altre fazioni è stata proprio la fusione tra l’interpretazione sunnita tradizionalista e il codice pashtunwali. Con il passaggio da guerra di resistenza — ossia contro l’invasore sovietico passando per il sostegno americano — a guerra civile — tra le varie fazioni che si contesero il potere negli anni ’90 — i talebani, guidati dal Mullah Omar, riuscirono a conquistare Kabul ma non furono in grado di consolidare il potere, perdendolo temporaneamente dopo l’11 settembre.

Riguardo al concetto di terrorismo, all’interno dell’ONU il dibattito sulla definizione del fenomeno è durato 30 anni senza trovare una definizione univocamente accettata. In particolar modo la definizione valoriale di terrorismo come “atto criminale che colpisce civili innocenti” risulta pericolosa perché tendente ad avvalorare il fine ideologico della “guerra al terrore”, recuperando così in forma secolarizzata il concetto di “guerra giusta”.

Cos’è il terrorismo

‌Come è stato detto precedentemente, il terrorismo è prima di tutto una tattica, di cui si servono anche gli Stati e non solamente i gruppi intenzionati a sovvertire l’ordine istituzionale. Un atto violento per essere classificato come tale deve avere una rivendicazione politica. La storia ci ricorda, fin dai tempi dell’assassinio di Cesare, come il terrore sia da sempre uno strumento di destabilizzazione interno o esterno. Scopo e azione sono diretti contro soggetti diversi. Il terrorismo è in definitiva diplomazia della violenza, ma la violenza è anche alla base della fondazione di uno Stato, sia in senso mitico sia in senso storico storico. Il terrorista è colui che non ha accettato la sconfitta e si trova ad agire mimetizzandosi all’interno della società; ciò lo differenzia dal guerrigliero, che invece agisce in condizioni di visibilità e fa parte di un’organizzazione paramilitare.

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Un esempio di terrorismo vincente che ha saputo interpretare quelle che erano le istanze della popolazione può essere rappresentato dall’Irgun, organizzazione terroristica sionista che operò dal 1931 al 1948 contro l’Impero britannico. Infatti, l’Irgun ed altre organizzazioni come la Banda Stern raggiunsero l’obiettivo di cacciare gli inglesi godendo del favore della popolazione, requisito fondamentale per il terrorismo. In un’epoca di guerra ibrida — commistione di guerra convenzionale, non convenzionale e cibernetica — come la nostra, le sottocategorie di guerra, quali appunto il terrorismo e la guerriglia, sono preponderanti rispetto al passato.

La legittimità si fonda sulla forza

L’ex consulente Onu per l’Afghanistan Oliver Roy ha dichiarato in un’intervista quanto sia solo apparentemente paradossale l’ostilità tra Isis e talebani dal momento che questi ultimi, secondo l’ex consulente, non sono mai stati terroristi. Che si voglia considerare come terroristico o meno l’operato dei talebani in passato poco conta, c’è solo un sottilissima quanto fondamentale differenza che permette di distinguere uno Stato da un’organizzazione terroristica: il monopolio e di conseguenza la legittimità della violenza.

L’impostazione liberal-democratica si poggia sul diritto o sui valori, quando in realtà l’unico fattore che costituisce la legittimità di uno Stato è la violenza, o la forza, se si preferisce. Realisticamente parlando è questa l’unica  condizione accettata universalmente, altrimenti bisognerebbe chiedersi per quale motivo non si pongono giudizi di legittimità verso uno Stato come l’Arabia Saudita, egualmente fondata sull’ integralismo islamico alla pari dell’Afghanistan dei talebani.

Come ricorda Agostino nella Città di Dio l’essenza tra i grandi imperi e le bande di ladri è la stessa, cambia solamente la grandezza dei loro crimini:

E cosa forman questi ladri, se non dei piccoli regni? Infatti si tratta di bande di uomini, che son rette dal comando di un capo, sono strette da una Costituzione, e si dividono le prede secondo un accordo legale. Se una di queste bande si accresce con altri briganti fin al punto di occupare tutta una regione, di stabilire delle sedi fisse, di dominare delle città, ecco che si arroga il nome di Stato, che le viene conferito non già dalla rinunzia alla cupidigia, ma dalla sicurezza della impunità.

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Laureato in Scienze politiche e relazioni internazionali (Università degli Studi di Salerno) è laureando in Investigazione, criminalità e sicurezza internazionale (Università Internazionale degli Studi di Roma, UNINT). Pubblicista, collabora con "Quotidiano del Sud- Corriere dell'Irpinia" e con "Oltre la linea".