di Giulio Montanaro

ESG è l’acronimo di Environmental Social Governance (governabilità ambientale e sociale), termine che, ci dice il “Financial Times”, viene usato nei mercati di capitali e dagli investitori per valutare i comportamenti aziendali e determinarne le future performance finanziare.  Ne parla con ben altro fervore uno dei personaggi più chiacchierati del momento, Larry Fink, il CEO di “Blackrock”, il più grande fondo d’investimento al mondo per alcuni, l’effettivo governo ombra del pianeta per altri (dai Media a Big Pharma al sistema bancario, nessuno sfugge al suo controllo).

ESG è quindi il nuovo parametro per misurare il successo d’aziende, attività non-profit e Paesi. Trilioni di dollari sono disponibili per assicurare che gli ESG prosperino in futuro: “Per prosperare nel tempo – ci dice Fink – ogni società dovrà non solo aver ottime performance finanziarie ma anche dimostrare come possa contribuire positivamente alla società”. “Bloomberg Intelligence” pronostica un boom degli asset ESG stimandoli nei 50 trilioni di dollari entro il 2025, andando sostanzialmente a coprire un terzo del mercato finanziario globale: benvenuti insomma nell’era del capitalismo etico.

È di pochi giorni fa la notizia che “Deutsche Bank”, gruppo bancario tedesco ormai più noto per gli scandali collegati a corruzione internazionale e manipolazione dei mercati finanziari e che già in Gennaio aveva concordato di versare 125 milioni di dollari al governo americano onde evitare di esser perseguito legalmente per aver manipolato il mercato dei metalli preziosi, è tornato nell’occhio del ciclone.

Come riporta il “Wall Street Journal”, un executive di “DWS Group”, leading asset management attualmente gestore di un patrimonio di circa 900 miliardi di euro per conto di “Deutsche Bank”, ha denunciato come il gruppo tedesco, nonostante nel suo rapporto annuale rassicuri i propri investitori al riguardo del fatto che “gli ESG siano al centro di ogni iniziativa che intendiamo portar avanti in futuro”, nei fatti stia facendo ben altro che concentrarsi su una pianificazione e regolamentazione del fenomeno. Anche Oliver Plein, a capo del branch di DWS sui prodotti ESG, conferma come il gruppo “sia ampiamente in ritardo sulla cosa: ancora dobbiamo comprendere quale sia la nostra ambizione ed iniziare il processo di trasformazione”. Rincara la dose Desiree Fixler, capo del dipartimento sostenibilità di DWS, ribadendo al board come l’azienda “non abbia una chiara ambizione o strategia, manchi di politiche sul carbone ed altri temi e che i team che seguono gli ESG siano visti come degli specialisti piuttosto che esser parte integrante del processo decisionale”. Un altro grido d’allarme arriva dal “Financial Times” che denuncia come le controversie inerenti il fenomeno ESG abbiano già svalutato compagnie americane nell’ordine di quasi mezzo trilione di dollari.

Considerazioni che paiono non trovar alcuna cassa di risonanza nell’ufficio di Larry Fink. Il CEO di “Blackrock” si spinge infatti a predire (o forse – meglio – ad anticipare) che non ci sarà scampo dagli ESG nel futuro delle aziende. Con il tempo le performance finanziare passeranno in secondo piano, sarà l’Environmental Social Governance la metrica per determinare il valore di una società: essere “Woke” o non essere insomma.

Sembrerebbe assurdo: ma come, uno delle punte di diamante della globalizzazione schiavista iper-capitalista ci dice che per il futuro le revenues cederanno il passo alla cd. “Wokeness”? Ossia, che l’imperativo categorico del futuro delle aziende non saranno più bilanci sani e società solide ma arcobaleni smaglianti e società fluide? Insomma, al fine di ricevere finanziamenti per le proprie imprese sarà imprescindibile un attivismo politico-imprenditoriale totalmente scollegato da ogni logica economica e di stampo prettamente progressista? Ebbene si, è e sarà proprio questo il destino che c’attende. Ne parla approfonditamente Stephen R. Soukup nel suo eccellente libro The Dictatorship of Woke Capital: how political correctness captured big business dove, partendo da un discorso tenuto dal senatore Repubblicano Tom Cotton, denuncia come le Sinistre stiano spingendo i mercati a prioritarizzare scopi politici rispetto a quelli imprenditoriali.

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Come ha intelligentemente osservato anche Andrew Olivastro per “Heritage Foundation” “c’è un numero sempre più crescente di persone che vuole imporre le sue preferenze politiche e culturali sul mondo usando i tuoi soldi per farlo”. Non è l’unica delle incongruenze che evidenzia nel suo editoriale Olivastro (di cui consiglio la lettura) e non è tantomeno il solo a sollevare dubbi sulle ESG. Altri presunti cospiratori, estremisti nemici delle libertà, portano i nomi delle università di Harvard e Stanford.

Come testimonia una ricerca pubblicata in data 25 Aprile 2021 dall’Harvard Law School Forum on Corporate Governance (realizzata da Peter Reali, Jennifer Grzech e Anthony Garcia) la spinta verso gli ESG (quindi, fine della suspense, verso investimenti mirati a finanziare politiche di supporto alla diversità, inclusività, uguaglianza, ambiente…) è sempre più forte. Sempre Harvard, in data 12 Maggio 2021, pubblica un’altra ricerca firmata da Richard Morrison che denuncia i rischi della teoria dell’Environmental Social Governance come massima minaccia per gli azionisti, evidenzia come stia diventando sempre più uno dei temi all’ordine del giorno per ONU e World Economic Forum, sottolinea l’aleatorietà di parametri e scopi ed avverte delle gravissime conseguenze con cui rischiamo di doverci confrontare già nei mesi a venire.

Molto più puntuale, ed a giudizio di alcuni accurata e corretta, l’analisi di “Stanford Review” pubblicata in data 16 Giugno 2021 da Jonah Wu, con cui chiudiamo il pezzo e che riteniamo di poter riassumere traducendo il paragrafo finale della ricerca:

L’ESG va verso l’ignoto ed è supportato da immensi capitali e da una elite manageriale liberal. Nonostante gli innumerevoli ed ammirevoli attributi, molte di queste politiche d’investimento difettano di rigore e incentivi ai più poveri, e stanno irragionevolmente spingendo le aziende verso il progressismo. Per provvedere in maniera effettiva va trovata un alternativa che moderi la forza del movimento ESG: è tempo che i conservatori creino il loro ESG.

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Nato a Padova nel 1980, appassionato di lingue, storia e filosofia. Scrive fin da giovanissimo e dal ‘99 collabora con organi di stampa. Ha lavorato nel settore della musica elettronica, distinguendosi come talent scout e agente di alcuni degli artisti più importanti degli ultimi 15 anni. Ha fatto esperienze nella moda e nel tessile e vissuto in nove città differenti. Attualmente vive in Tunisia.