di Trader

Una delle novità del governo Draghi è stato un riavvicinamento agli Stati Uniti, a dispetto della politica spesso filo-Pechino del Conte II, nonostante l’esecutore della linea filo-cinese, Luigi Di Maio, sia restato al suo posto, in carica al Ministero degli Esteri. In un certo senso, la scelta non è molto differente rispetto al 1945. Le alternative sono un totalitarismo (post-)comunista e gli USA. La preferenza rimane ovvia ma, dopo la sconfitta di Trump ed il trionfo della religione ”woke”, è tempo che si prenda atto della trasformazione che sta avvenendo in America.

Innanzitutto, le radici di questo nuovo culto sono essenzialmente neo-marxiste: Critical Theory e i suoi derivati in salsa femminista e razziale. Al posto di borghesia e proletariato abbiamo da una parte i ”bianchi”, cioè gli europei, e gli uomini e le coppie eterosessuali. Questo primo gruppo, secondo la visione ”intersezionale”, rappresenta gli oppressori. Dall’altra, al posto dei proletari abbiamo il gruppo ”BIPOC” (black, indigenous, people of colour), le donne e l’arcobaleno di sessualità in perenne espansione LGBTIAQ+. Il primo gruppo, nella visione infantile della nuova ideologia americana, è responsabile di tutti i mali del mondo e produttore di non meglio analizzate ”disuguaglianze”. Il secondo gruppo è moralmente superiore e, se non riesce ad ottenere i risultati del primo gruppo, è solo perché oppresso da quest’ultimo. La soluzione a tale ”oppressione” è lo smantellamento delle istituzioni portatrici di ”razzismo istituzionale”, ”omofobia”, ”transfobia” e ”sessismo”. Queste istituzioni sono ad esempio le forze di polizia, ma anche la famiglia tradizionale.

Sembra una follia ma quelle appena descritte sono le idee alla base delle politiche di ”diversity, equity and inclusion” che ormai troviamo in qualsiasi istituzione americana: istruzione (dalle elementari fino all’università), media (inclusi film e videogiochi), aziende e, dal decimo giorno dell’Amministrazione Biden, esercito e intelligence. Ebbene sì: i nuovi cadetti americani leggono Ibram X. Kendi e Robin Di Angelo. Persino le chiese ormai iniziano ad avere ”pastori woke”. Tali idee, diffuse grazie all’aggressiva censura di chiunque osi metterne in dubbio la veridicità, predicano una demonizzazione etnica e culturale di tutto ciò che proviene dal continente europeo. Se la nuova religione di Stato americana è questa, si deve ancora guardare a Washington come guida e modello?

Qualcuno ha iniziato ad accorgersi del problema. Mentre nell’estate “di Floyd” gli attivisti Black Lives Matter demolivano le statue di Lincoln, Washington, Heg (un abolizionista) e Churchill, l’elite culturale ed aziendale americana, con una rapidità incredibile, abbracciava la nuova fede, promuovendo la demolizione della propria civiltà. Un po’ a sorpresa, il presidente francese Macron ha iniziato una controffensiva, opponendosi a idee palesemente ostili provenienti dal mondo accademico e promosse da quello mediatico e dalle ONG.

Vi è infine l’altra faccia della medaglia: la Cina. Recenti attacchi a sfondo razziale negli Stati Uniti contro la comunità asiatica, quasi sempre provenienti da membri della comunità afro-americana, hanno dato l’opportunità alla Cina di accusare gli USA di razzismo anti-asiatico; semplicemente replicando gli argomenti dell’autoflagellazione woke. Negli ultimi trent’anni, grazie all’elite americana, la Cina è riuscita a replicare l’apparato tecnologico ed industriale del mondo occidentale, ottenendone un progresso notevole. Ora sono nuovamente gli USA a fornire ai cinesi gli strumenti con cui combatterla: stavolta quelli culturali per demonizzare l’America stessa.

Come possono gli Stati Uniti, in piena fase di suicidio della propria civiltà, vincere la sfida del Dragone asiatico? Curiosamente, l’ultima speranza sembra provenire da un italo-americano, astro nascente del Partito Repubblicano: si tratta del governatore della Florida Ron DeSantis. Basterà?

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