La scorsa settimana sono circolate indiscrezioni stampa circa l’interessamento di Amundi, operatore finanziario francese, per Anima Holding, società di risparmio italiana quotata alla Borsa di Milano. I transalpini si sono affrettati a smentire; ma i mercati non sono rimasti persuasi (si sa che è prassi, sino alla conclusione di un eventuale contratto, negare ogni trattativa) e le azioni di Anima hanno subito un brusco rialzo: dai € 2,74 del 24 aprile si è passati ai € 3,21 nel momento in cui scriviamo (con un picco mercoledì a € 3,27).
Le società di gestione del risparmio, come Anima, si occupano di promuovere, istituire, organizzare e gestire fondi comuni di investimento. Si occupano inoltre di gestire fondi pensione e patrimoni di singoli. In sostanza, sono canali attraverso cui il risparmio di privati e soggetti istituzionali fluisce alle imprese e allo Stato sotto forma d’acquisto di azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari.
Anima al 31 dicembre scorso gestiva oltre 170 miliardi (pari, a titolo di raffronto, a poco meno di un terzo delle entrate annuali dello Stato italiano). Con una quota di mercato del 8,3%, si tratta del quarto maggiore operatore in Italia nel settore del risparmio gestito dopo Generali (22,3%), Eurizon (16,4%) e la stessa Amundi (8,5%). Quest’ultima, con sede a Parigi, fa capo a Credit Agricole che ne controlla il 70% e ha una capitalizzazione di 11,5 miliardi: è il primo asset manager europeo e gestisce nel mondo oltre 1600 miliardi (pari al PIL della Russia o della Sudcorea). La capitalizzazione di Anima è invece di 1,18 miliardi e il suo azionariato è molto frazionato: il 14% delle azioni è di Banco BPM, il 10% di Poste Italiane, il resto suddiviso tra molti azionisti in mezzo ai quali solo il britannico River & Mercantile Asset Management supera (di poco) il 5%. In virtù di tale frazionamento e del valore di borsa, è possibile creare una posizione di maggioranza con una spesa relativamente contenuta per un colosso come Amundi.
Essendo Poste Italiane possedute al 55% dal Ministero dell’Economia e da Cassa Depositi e Prestiti, lo Stato italiano ha una posizioni importante in Anima. Essa distribuisce parte dei propri prodotti tramite le Poste. Non sfuggirà la rilevanza che società di gestione del risparmio come Anima possano avere per le finanze italiane, che necessitano annualmente di ricorrere al mercato per 250-300 miliardi. Le società italiane possono mostrarsi più sollecite verso il nostro Paese nei momenti critici, rispetto a investitori esteri, stakeholder meno interessati.
Lo shopping di Amundi in Italia era cominciato già con l’acquisizione di Pioneer, ceduto da Unicredit: una delle più grandi operazioni francesi in Italia. Ma l’ultimo ventennio ha visto varie società transalpine conquistare anche BNL, Cariparma, Friuladria, Bulgari, Parmalat, Italenergia: tante acquisizioni miliardarie solo parzialmente bilanciate dalla maxi-fusione tra Luxottica e Essilor. Il crollo borsistico legato alla crisi sanitaria ha portato a livelli minimi la capitalizzazione di molte società italiane (il valore di Anima si è più che dimezzato tra il 21 febbraio e il 18 marzo scorsi). Il Governo Conte ha reagito ampliando a più settori e anche alle operazioni intra-europee il golden power, la possibilità dello Stato di bloccare acquizioni estere di società nazionali. Laddove si rivelasse veritiera l’indiscrezione sull’interesse di Amundi per Anima, eserciterà Conte questo potere contro la Francia? E se lo farà, la giustizia Ue lo consentirà (come consentì a Macron di sbarrare la strada a Fincantieri a Saint-Nazaire) o si metterà di traverso?
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
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