di Giovanni Chiacchio 

La storia è stata spesso caratterizzata dalla presenza di eroi improbabili, i quali si sono rivelati in grado di ottenere grandi successi in contesti apparentemente lontani dalle proprie caratteristiche, o di conseguire risultati al di fuori della loro portata. La battaglia sui diritti civili negli Stati Uniti risulta essere uno dei casi più importanti in tal senso. La vittoria del fronte antisegregazionista venne infatti raggiunta grazie alla decisiva azione di un uomo apparentemente estraneo al contesto, William McCulloch, un bianco ultraconservatore, il quale, coinvolto in una delle battaglie più importanti nella storia, decise di combatterla seguendo gli insegnamenti di Edmund Burke.

La vita

William McCulloch nacque il 24 novembre 1901 nelle vicinanze della piccola cittadina di Holmesville, nello stato dell’Ohio. Laureatosi in giurisprudenza all’Università di Columbus nel 1925, iniziò nello stesso anno ad esercitare la professione di avvocato. Distintosi come uno dei primi membri del nascente movimento conservatore americano, nel 1933 venne eletto alla Camera dei Rappresentanti per lo stato dell’Ohio, divenendone prima leader della minoranza nel 1936 e poi speaker nel 1939. Durante il suo mandato come speaker il Buckeye State era ancora alle prese con gli effetti della grande depressione; tuttavia, egli riuscì nonostante tutto ad approvare bilanci in pareggio, trasformando il deficit statale in un surplus. È in questo periodo che McCulloch divenne uno dei più accesi sostenitori del movimento dei diritti civili, appoggiando la National Association for the Advancement of Colored People (NAACP). A dispetto dei quarantadue anni di età, nel 1943 abbandona temporaneamente la sua brillante carriera politica per servire il proprio paese durante la Seconda guerra mondiale. McCulloch combatterà per due anni in Europa, arrivando al grado di capitano.

Il conservatore di Piqua

Rientrato negli Stati Uniti, nel 1947 viene eletto alla Camera dei Rappresentanti federale per il Quarto Distretto dell’Ohio. Durante la sua lunga permanenza nella camera bassa del Congresso, egli mantenne una posizione fortemente conservatrice, tendenzialmente in linea con il senatore Robert Taft, schierandosi a favore di una politica fiscale prudente, nonché della preghiera scolastica. Tuttavia, a definire più di ogni altra questione la carriera di William McCulloch fu la lotta per i diritti i civili da lui iniziata nell’Ohio e ora estesa a livello federale. La battaglia del Rappresentante proveniente dalla zona rurale dell’Ohio pareva apparentemente priva di qualsivoglia senso politico. La popolazione nera della sua città, Piqua, ammontava infatti solo al 2,7%. La stragrande maggioranza dei cittadini residenti nel suo distretto era infatti bianca, in un periodo nel quale le discriminazioni e i pregiudizi razziali erano estremamente comuni.

Il suo appassionato sostegno verso tale causa era generato in primo luogo dalla storia della sua famiglia, essendo egli discendente di abolizionisti che si erano schierati con l’Unione durante la Guerra di Secessione. In secondo luogo, dal suo profondo moralismo, derivante dalla sua adesione alla corrente di pensiero conservatrice. Il suo piccolo ufficio a Piqua aveva infatti un’unica decorazione, una trascrizione cartacea del discorso di Edmund Burke agli elettori di Bristol, nel quale egli rimarcava come i politici fossero tenuti a mettere a disposizione dei propri elettori non solo il proprio ingegno, ma anche il proprio giudizio e che quest’ultimo non dovesse essere schiavo dell’opinione degli elettori stessi. Tale discorso rimarcava la netta differenza tra democrazia rappresentativa e mandato imperativo, in quanto in una democrazia rappresentativa i politici devono tenere in conto l’interesse della nazione e agire per il meglio anche se quest’ultimo contrasta con l’opinione degli elettori.

La battaglia sui diritti civili

Nel 1957 e nel 1960 McCulloch si schierò a favore delle legislazioni sui diritti civili, ma in entrambi i casi esse dopo essere passate alla Camera furono soggette a profonde modifiche da parte del Senato. In entrambi i casi la camera alta aveva impedito l’adozione di riforme che potessero effettivamente risolvere il problema della segregazione. Nominato Ranking Member della Commissione Giudiziaria nel 1959, quattro anni dopo, nel bel mezzo della battaglia per i diritti civili che squassava il paese, egli presentò una propria proposta di legge sulla materia. Tale iniziativa era volta a mettere pressione sull’amministrazione Kennedy che fu quindi chiamata a spingere i propri sostenitori al Congresso a presentare una propria proposta di legge. La svolta definitiva arrivò pochi mesi più tardi, quanto Burke Marshall, assistente del procuratore generale in materia di diritti civili, decise di incontrare McCulloch. Il rappresentante dell’Ohio promise di utilizzare la propria importante posizione per assicurare il passaggio di una riforma sui diritti civili al Congresso, ma in cambio la legge avrebbe dovuto essere ben più completa rispetto alle precedenti, rappresentando quindi una reale risoluzione della faida sociale in corso negli Stati Uniti. McCulloch pretese inoltre che il Partito Repubblicano doveva essere considerato responsabile al pari dei democratici per il passaggio della legge. Il rappresentante riuscì a limare gli aspetti più estremi dalla proposta di legge, evitando che essa potesse provocare problemi tra i sostenitori dei diritti civili più moderati.

Gli sforzi di Celler e McCulloch vennero ostacolati da Howard W. Smith, chair della Commissione sulle Regole della Camera, incaricato di indicare le modalità di presentazione e discussione di una legge alla camera bassa. Smith cercò di impedire qualsiasi discussione sulla legge per evitare che essa fosse successivamente votata dalla Camera. Grazie all’aiuto di McCulloch, Celler presentò una petition of discharge finalizzata a sottrarre alla Commissione sulle Regole la considerazione della proposta di legge. Di fronte alla prospettiva di un’umiliante sconfitta Smith acconsentì a far si che la legge venisse votata. Tale processo si concluse il 10 febbraio 1964, con l’approvazione della legge da parte della Camera dei Rappresentanti. Conscio che l’approvazione al Senato sarebbe risultata ben più complessa, McCulloch lavorò duramente per far sì che la camera alta limasse alcuni spetti della legge senza però snaturare quest’ultima rendendola di fatto ineffettiva.

I suoi sforzi furono coronati dal successo e il Senato approvò finalmente la legge il 19 giugno 1964 con alcuni emendamenti. La Camera approvò gli emendamenti del Senato il 2 luglio 1964 e il presidente Johnson firmò la legge lo stesso giorno. L’approvazione del Civil Rights Act rappresentò la fine della segregazione razziale negli Stati Uniti e spianò la strada anche alla risoluzione del problema sociale del diritto di voto delle minoranze, risolto l’anno successivo tramite l’approvazione del Voting Rights Act.

Le conseguenze

La fine della segregazione razziale comportò importanti benefici per gli Stati Uniti, tanto sul fronte interno, quanto sul fronte internazionale. L’approvazione del Civil Rights Act contribuì in modo determinante a stabilizzare la tesa situazione politica e sociale interna agli Stati Uniti, migliorando notevolmente la tenuta istituzionale del paese. Al contempo, tali risultati privarono l’Unione Sovietica di un’importante arma propagandistica largamente impiegata contro gli Stati Uniti negli anni precedenti. L’importanza della risoluzione indicato dall’amicus brief del governo federale USA nella sentenza Brown vs Board of Education, la quale asseriva: “gli Stati Uniti stanno cercando di mostrare a tutti i popoli del mondo di ogni nazionalità, razza, o colore che la democrazia sia la forma di governo più civilizzata e sicura forma di governo mai ideata dall’uomo. L’esistenza della segregazione razziale negli Stati Uniti ha un effetto negativo sulle nostre relazioni con altre nazioni. La discriminazione razziale fornisce macinato al mulino della propaganda comunista”.

La stabilizzazione della situazione sociale statunitense e la fine della propaganda comunista circa la segregazione razziale avrebbero successivamente contribuito alla vittoria degli Stati Uniti nella Guerra Fredda. Un risultato che non sarebbe mai stato possibile ottenere senza un rigido e moralista conservatore dello stato dell’Ohio, il quale, in linea con gli insegnamenti di Burke, mise al servizio dei propri elettori il proprio ingegno e il proprio giudizio, mettendo a rischio la sua stessa carriera senza mai piegarsi alla cieca convinzione dell’opinione pubblica.

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Laureando in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha conseguito come borsista il master “Leadership per le relazioni internazionali e il Made in Italy” presso la Fondazione Italia USA e ha frequentato l’accademia estiva della Heritage Foundation. Scrive per vari blog. I suoi campi sono le relazioni internazionali, gli studi strategici e il conservatorismo di matrice anglosassone.