Su qualche agenzia è rimbalzata in questi giorni la notizia della studentessa italiana in Russia che ha avuto un botta-e-risposta durante un’intervista telefonica con Vladimir Putin durante il forum “Idee forti per i tempi nuovi”. Irene Cecchin, figlia di imprenditori che hanno avuto rapporti commerciali con la Russia fino alle sanzioni, è iscritta all’Istituto statale per le relazioni internazionali di Mosca. La studentessa ha fatto una domanda al presidente russo circa i rapporti con l’Italia, alla quale Putin ha risposto con un nostalgico “lì mi sentivo a casa”. Ma il punto nodale dello scambio di battute riguarda l’immigrazione in Russia. La Cecchin, infatti, si è fatta avanti per promuovere l’afflusso di immigrati verso la Russia, non solo di chi lo fa per studio o lavoro, come lei, ma soprattutto di chi spera di farsi una nuova vita nel Paese sulla base di una condivisione di valori tradizionali: famiglia, fede, storia.
La seconda parte di questa apparentemente poco significativa notizia è invece stata a quanto pare accuratamente evitata sui media italiani. Ma sarebbe quella più polposa. Infatti secondo i media russi – che hanno dato molto risalto, comprensibilmente, a questo duetto – il Cremlino sarebbe molto ben disposto verso la proposta della Cecchin di aprire le porte a un’immigrazione dai Paesi occidentali.
Va premesso che la storia dell’immigrazione europea in Russia è lunghissima. Gli zar reclutavano fra gli europei, i tedeschi in particolare, manodopera specializzata per colonizzare le sterminate steppe che l’Impero andava strappando a turchi e orde tatare dal Dnepr all’Asia Centrale. Anche gli italiani vennero coinvolti, con le folte colonie di marchigiani, liguri e soprattutto pugliesi (a Bari è sepolto San Nicola, santo veneratissimo presso i russi). L’Italia allora “esportava” braccia e la Russia, grazie al ponte culturale con la Puglia, inviò numerosi procacciatori per invogliare gli italiani a emigrare là, con lo scopo di impiantare oliveti e vigneti in Crimea e sulle coste del Mar Nero, coltivazioni che i russi, provenienti dal clima continentale, non conoscevano. La Russia è fin dalla sua nascita un impero multietnico e multirazziale, pertanto la presenza di colonie allogene al suo interno era sempre considerata positivamente, tranne durante la Seconda guerra mondiale, quando Stalin pensò bene di eliminare gran parte di quelle potenzialmente simpatizzanti per l’Asse spedendole nei gulag (gli italiani di Crimea, per esempio, furono decimati: da oltre 5.000 si ridussero a poche centinaia).
Ma oggi la vicenda si tinge di ideologico. Infatti il quotidiano internazionale “Azərbaycan24” ci informa che la proposta della Cecchin è vista molto di buon occhio dal Cremlino, che sarebbe ben lieto di accogliere “occidentali con idee conservatrici”. Di fatto per la Russia quello di incentivare un’immigrazione selezionata è come abbiamo visto una politica storicamente radicata. Ma che ai nostri giorni assume nuovi contorni.
Non si parla infatti soltanto di importare lavoratori validi, com’erano i pugliesi che hanno portato il know-how per fare il vino e l’olio d’oliva alla corte dello zar Nicola. Stavolta si cerca gente con un profilo ideologico ben preciso. “Persone che condividano i nostri valori spirituali e morali”. Chiunque non si riconosca più in un Occidente dove il wokeismo è sempre più ideologia obbligatoria, insomma, è invitato a guardare alla Russia come terra d’esilio e d’asilo.
Si vuole dunque rovesciare la narrazione di una Russia da cui si scappa per andare a cercare un futuro migliore. Se prima dissidenti o perseguitati fuggivano dalla Russia zarista o comunista verso l’Occidente, il tentativo ora è quello di invertire la freccia. Naturalmente non c’è soltanto l’idea di attrarre forze motivate, facilmente integrabili e costruttive, cosa che pure alla Russia – in inverno demografico anche essa – fa molto comodo in questo momento storico. C’è la mossa politica di presentarsi al mondo come nazione-guida del fronte conservatore. C’è la mossa da guerra ibrida di voler inserire un cuneo in una delle tante crepe che segnano le società occidentali, in particolare nella parte di opinione pubblica tendente a destra, dove più forte è il mal di pancia causato dall’inimicizia verso Mosca. C’è infine il combinato disposto delle tre cose: rimpolpare le proprie fila con elementi validi sottratti a Stati oramai ostili, secondo la regola di Sun Tzu: un sacco di grano preso al nemico vale venti dei tuoi.
Non è quindi casuale che diversi canali di informazione filo-russi come l’ufficiale “Sputnik” abbiano dato risalto all’emigrazione occidentale e addirittura, come nel caso dell’italiano “Il vaso di Pandora”, con la sua rubrica settimanale di notizie dalla Russia affidata alla giornalista Tatiana Santi, si programma di dare consigli su come ottenere la cittadinanza russa.
Tuttavia, indifferentemente da come la si pensi sulla Russia, sul governo Putin e sulla percentuale relativa di sincera mano tesa contro interessata psyop che compone questa campagna, per quanto si possa essere lusingati dall’invito a emigrare in posti dove non si è sottoposti a waterboarding arcobaleno ogni tre per due e il wokeismo è trattato con la compassione che si deve a una malattia di mente, il posto dove un conservatore deve lottare è la propria nazione. Pensare all’esilio finché c’è possibilità di combattere è un invito a gettare la spugna. Una lezione che anche un liberale come Piero Gobetti aveva espresso, all’indomani della Marcia su Roma:
Resteremo al nostro posto di critici sereni, con un’esperienza di più. Attendiamo senza incertezze, sia che dobbiamo assistere alle burlette democratiche sia che dobbiamo subire le persecuzioni che ci spettano.
cristallinamente condensata in La Rivoluzione Liberale:
Il nostro programma di oppositori leali e irriducibili è chiaro e semplice: esilio in patria. Solo quando ogni condizione obiettiva di attività ci venga tolta accetteremo l’ipotesi di ripetere la sorte degli esuli del Risorgimento. Prima non sarebbe esilio, ma diserzione.
L’Italia ha bisogno delle sue forze migliori qui e ora. Finché non verrà gridato “abbandonare la nave”, si resta al proprio posto, ai secchi o alle pompe, per riportare questa vecchia carretta in porto. Grazie per la scialuppa, ma per ora restiamo al posto di combattimento.
Foto: Dmitry Valberg CC 2.0 SA NC
Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è redattore capo di "CulturaIdentità" ed è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa dellacancel cultureche sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).
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