di Emanuel Pietrobon

TikTok è l’applicazione di video sharing più controversa e discussa del momento. Creata dalla compagnia cinese ByteDance, e imparentata con l’Esercito Popolare di Liberazione, TikTok ha ricevuto molte accuse a partire dal 2020, l’anno in cui, complice la pandemia di COVID19, è iniziata la sua irrefrenabile scalata ai vertici dei social media globali.

All’applicazione è stato contestato di aver svolto un ruolo-chiave in funzione di super-amplificatore di disinformazione, rabbia e teorie del complotto, soltanto per citare i casi più celebri, durante l’emergenza pandemica, le presidenziali statunitensi del 2020 – 347.225 video contenenti misinformazione/disinformazione elettorale e manipolazione mediatica scovati/eliminati nella seconda parte del 2020, più altri 441.028 shadowbannati per gli stessi motivi –, la guerra in Ucraina e le rivolte delle banlieue francesi del giugno-luglio 2023 – che, secondo Emmanuel Macron, sono state aggravate dalla copertura 24/7 e dalla mancanza di filtri sui video caricati dai riottosi, inerenti assalti pirotecnici ai commissariati e saccheggi di supermercati, che avrebbero stimolato la voglia di emulazione.

Riguardo l’Ucraina, la «prima guerra combattuta su TikTok», nel primo anno e mezzo di combattimenti, secondo una ricerca GMF, soltanto un’infinitesimale parte del network disinformativo legato a Mosca, composta da ventidue profili, ha avuto un engagement superiore ai 114 milioni di like. Ma anche Kiev ha investito nella conduzione di operazioni informative e psicologiche su TikTok, piattaforma che è stata utilizzata per vincere la guerra delle narrazioni, per popolarizzare miti di guerra – come il fantasma di Kiev – e persino per istruire i civili alla resistenza fai-da-te.

I casi di cui sopra, che non sono gli unici, sembrano indicare che l’applicazione sia o possa diventare facilmente una super-operazione psicologica in grado di interferire nei processi elettorali, alimentare ondate di instabilità, cronicizzare le disinfodemie e influire sullo stato d’animo/i valori dell’utenza. Segreti di questo enorme potenziale, che rende TikTok la più efficace ed efficiente arma psico-digitale in circolazione, sono la raccolta dati intrusiva e l’algoritmo unico nel suo genere.

Il modo in cui TikTok raccoglie, analizza e militarizza i big data, ovvero l’insieme dei gusti, delle preferenze e dei valori degli utenti, è il motivo per cui l’applicazione è finita al centro della competizione strategica tra Stati Uniti e Cina. Perché i big data sono le chiavi per entrare nella mente delle persone. Sono un mezzo per plasmare il mondo.

TikTok, tra interferenze elettorali e interferenze cerebrali

38,5 milioni di risultati. Questa è la dimensione della preoccupazione circa le ripercussioni che l’utilizzo prolungato di TikTok potrebbe avere sull’intelligenza e che traspare interrogando Google con un semplice “Does TikTok make you dumber?”. Preoccupazione che, ricerche mediche alla mano, non è per nulla infondata.

Gli esperimenti della comunità pediatrica, che è particolarmente interessata all’impatto di TikTok sul cervello degli utenti più giovani, hanno suffragato l’ipotesi della super-operazione psicologica: John Hutton dell’Ospedale infantile di Cincinnati ha descritto l’applicazione come una «macchina di dopamina», uno studio congiunto dell’Università del Michigan occidentale e dell’Università di finanza ed economia di Guizhou ha dimostrato una correlazione tra l’esposizione prolungata a video brevi e sviluppo di forme di dipendenza, una ricerca dell’Università tecnica della Danimarca ha scoperto l’esistenza di una relazione causale tra il tempo trascorso sull’applicazione e l’accorciamento della soglia di attenzione.

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Una persona che passa più di novanta minuti al giorno su TikTok, che sia per ragioni professionali o che sia per svago, noia o dipendenza, ha delle probabilità maggiori di autoinfliggersi dei danni al cervello rispetto a chi utilizza altri social media o chi non ne utilizza affatto: aumento delle difficoltà relative alla gestione dello stress, erosione delle capacità di attenzione e concentrazione, peggioramento della memoria di breve termine, sviluppo di problemi comportamentali causati da tendenze al narcisismo e alla gratificazione istantanea.

TikTok starebbe incidendo negativamente sulle capacità dei giovani di svolgere attività richiedenti un focus prolungato, un’attenzione di tipo diretto, perché interferente su quella porzione di cervello responsabile dei processi decisionali e del controllo degli impulsi: la corteccia prefrontale. Area cerebrale che non si sviluppa pienamente prima dei venticinque anni e che nei cosiddetti «cervelli tiktokizzati» matura a metà, danneggiata, risultando in lentezze di ragionamento/calcolo e in capacità attentive anormalmente basse.

Instupidire per manipolare

Il cervello tiktokizzato è una sorta di macchina per il ragionamento e per il calcolo atrofizzata, alla quale son state tolte le principali marce di velocità, e rappresenta il bersaglio ideale per le operazioni di influenzamento cognitivo. Perché il rallentamento delle funzioni cognitive altro non è, volgarmente, che «inebetimento indotto».

Nelle guerre cognitive, che hanno come obiettivo una suntziana vittoria senza combattimento, l’inebetimento indotto può essere fine a se stesso come può essere il punto di passaggio propedeutico a una manipolazione mentale prolungata: il cosiddetto pensiero coerente disallineato. Questo genere di manipolazione mentale dell’utenza più fragile e giovane, nel caso di TikTok, viene portato avanti attraverso una pioggia torrenziale di competizioni frivole (le famigerate challenge) e operazioni psicologiche camuffate da contenuti umoristici, apparentemente privi di secondi fini, che agiscono come una potenza di fuoco in grado di abbattere le barriere di difesa mentale per saturazione.

Il potenziale della suddetta pioggia di contenuti ad alto impatto cognitivo, che nei paesi occidentali fatica a essere colto pienamente – essendo la questione TikTok qui maggiormente considerata circa spionaggio e raccolta dati –, nel resto del mondo è oggetto di crescente dibattito. L’ultimo paese ad aver bannato l’applicazione dal proprio mercato è stato il Kirghizistan, non esattamente un paese rivale della Cina, che ha descritto la scelta come un atto dovuto per proteggere la salute mentale dei giovani.

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Analista geopolitico, consulente di politica estera e scrittore. Laureato in Area and global studies for international cooperation (Università di Torino), si è formato tra Italia, Polonia, Portogallo e Russia. Specializzato in guerra ibride, questioni latinoamericane e spazio post-sovietico.