di Giulio Maria Sibona

Nel giro di nemmeno un anno abbiamo visto lasciare questa terra tre personaggi le cui vicende personali – non ci sembra di esagerare affermandolo – hanno segnato le vicende umane: la regina Elisabetta II, papa Benedetto XVI e Silvio Berlusconi.

Si può tracciare una linea rossa che li collega per riflettere sul ruolo che hanno avuto nella vita politica e spirituale se non del mondo intero, sicuramente dell’Occidente. Il punto di partenza è la celebre teoria del professor Francis Fukuyama per cui la storia sarebbe “finita” alla fine degli anni ‘80 con l’ingresso di tutte le nazioni del mondo nella democrazia occidentale e con l’alternanza ai governi di centrodestra e centrosinistra.

Ora non è qui il luogo per una riflessione approfondita sugli errori che nascondeva e che in parte si sono già rivelati, basti però pensare che questa alternanza, che può essere compresa meglio – forse banalizzando un po’ – pensando ad un sistema tipicamente anglosassone con la polarizzazione tra liberali conservatori e laburisti, ha causato spinte identitarie interne fortissime: sul fronte conservatore si radicalizza l’identità nazionale e religiosa, su quello progressista l’identità socialista evapora troppo liberalizzata da interessi economici. Talvolta in aggiunta a queste si assiste a una triangolazione con forti spinte liberali per distanziarsi da entrambi i poli in direzione di un partito radicale (es. La Republique en Marche del presidente francese Emmanuel Macron).

La democrazia riconosce una centralità mai vista prima nel Parlamento, a cui è delegato in ultima istanza il compimento di tutte quelle riforme che la propaganda progressista ha introdotto presso l’opinione pubblica. Il Parlamento sembra quasi diventato il ratificatore meccanico di un processo di sviluppo verso una sola idea di civiltà, alla quale le tre figure in esame, nate quando questi moti rivoluzionari non erano ancora immaginabili in questi termini, hanno fornito una sorta di contro-immagine di copertina o un velo conservatore di opposizione.

Elisabetta II, l’unica regina

La regina Elisabetta II è stata una dei pochissimi monarchi, l’unica di rilievo in Occidente, a mantenere attivo il suo ruolo di regnante, nonostante abbia dovuto fronteggiare un Parlamento sempre più dirimente a livello internazionale che ha visto identificare in questa istituzione – già antichissima e ben rodata nel Regno Unito – l’essenza stessa della democrazia.

Non sappiamo cosa pensasse della civiltà contemporanea, ma lei, cresciuta nella corte britannica, ha sempre cercato di difendere e rilanciare il ruolo della Corona, che ha dovuto impersonare con quel misto di umiltà e autorevolezza, provando a bilanciarsi tra opposte necessità che il suo ruolo le richiedeva. Una personificazione del monarca che però ha avuto un successo enorme non solo per i media, che anzi sono soliti celebrare opposte folle, ma proprio per quelle stesse folle che in massa le hanno reso tributo.

Mancando lei, il già anziano figlio ha dimostrato di avere ancora più cara questa istituzione, e soprattutto una idea tanto sfaccettata che raccoglie alcune istanze contemporanee, quali la tutela dell’ambiente, ma in chiave propria: insomma il Re è il Re. Lui però è una figura a sé stante e probabilmente il Regno Unito dovrà definitivamente scontrarsi tra ciò che alcuni sognano che diventi, un paese occidentale «civilmente» avanzato, e ciò di cui tanti hanno nostalgia: il glorioso Commonwealth. Senza di lei a calmare i due fronti opposti sarà difficile mediare.

Benedetto XVI, l’ultimo papa cattolico

Similmente è evidente lo spartiacque del pontificato di Francesco. Fintantoché il Papa emerito Benedetto è sopravvissuto, i tentativi di riforme nella Chiesa sono stati spesso ambigue dichiarazioni rivoluzionarie. Nulla di fatto, con il Papa emerito che raccoglieva le simpatie dei cattolici conservatori e la Curia romana che non si azzardava a cambiare le fondamenta teologiche, dogmatiche ed ecclesiastiche della Chiesa Cattolica.

In realtà bisognerebbe dire che metà di «questo pilastro» era caduta alla morte di Giovanni Paolo II, uno dei pontefici più longevi della storia, che se pur avesse avuto un’aura di Papa «buono» sempre sorridente e umile, aveva lottato tanto da Papa «guerriero» per la difesa della Fede, laddove era più a rischio, e previsto che la lotta finale sarebbe stata sulla famiglia.

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Joseph Ratzinger, per quanto non fosse il personaggio reazionario che quasi tutti dipingevano, con l’avanzare dell’età si era accorto di tutti i danni di una società relativista, in cui il punto di vista cristiano prima viene accettato come unum inter pares, poi scartato e perseguitato. Dopo di lui ai cattolici non sarà più dato di tornare a quel cattolicesimo mite: chi sceglierà la Chiesa nuova seguendo parte dell’attuale Curia romana, e dei vescovi del nord Europa, e chi invece vorrà ripercorrere il percorso della Tradizione e del Magistero.

Berlusconi, il mattatore della Prima Repubblica

Infine Silvio Berlusconi, che sebbene possa sembrare campanilistico e superbo inserire assieme agli altri due nomi, sembra calzare più che bene. Nessuno statista italiano è sopravvissuto tanto e quanto lui: i sistemi presidenziali per tutelarsi da derive autoritarie escludono il triplo mandato e anche i leader delle democrazie parlamentari che hanno avuto più successo, arrivati al IV mandato affrontano crisi irreversibili.

Berlusconi invece scese in campo nel ’94 e nessuno dei suoi contemporanei è riuscito a durare tanto. Ha governato meno della metà del tempo che complessivamente ha speso in politica, eppure, come i suoi detrattori sostengono, ha segnato la politica con altrettanta forza fuori dal Governo, salvo dimenticarsi – i suoi oppositori – che questa è essenza della democrazia: se l’opposizione non facesse opposizione vi sarebbe un governo senza freni.

Berlusconi aveva sì creato il centrodestra, amalgamando An, quando era ancora un MSI con altro nome, ma era quello che aveva sempre rivendicato l’orgoglio di essere leader dei moderati, fervente europeo, e anche sostenitore di alleanze coi centristi, seppur contro i comunisti. Cioè Berlusconi è stato sia la chiave del centrodestra e della destra di fondare una opposizione unitaria alla sinistra, quanto talvolta un ostacolo alla fondazione di una destra effettivamente identitaria.

Sepolti, con tante lacrime, questi tre personaggi, l’Occidente dovrà fronteggiare la realtà: i tempi sono cambiati, le sfide politiche e spirituali hanno alzato i toni, la dimensione delle richieste e differenziato estremamente le visioni politiche della vita. Oggi non sembra sensato l’arrivo di figure politiche o spirituali che possano fungere da velo o da «tappo» dietro cui nascondersi per non prendere decisioni serie.

Il futuro va su due direzioni sempre più distanti in cui non ci si può unire tanto facilmente tra socialdemocratici e liberaldemocratici per trovare qualche sintesi. Il futuro, ancora, vuole una spiritualità molto netta: per una religione nuova o per la Tradizione. I reduci di queste forze persistono, nella convinzione di essere gli unici a esprimere l’idea di democrazia e di Chiesa, ma fuori si agitano quelle spinte contrapposte che hanno un nome: III millennio.

I cristiani sentono una fortissima tensione spirituale verso la cristianità trascendentale, non verso opere sociali arcobaleno travestite da funzioni religiose. Similmente gli elettori non vogliono centro, destra e sinistra sostanzialmente identici che si distinguano per un po’ più di Mercato o di Stato, vogliono invece identità forti. Non è forse questa alternanza l’essenza della democrazia?

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Laureato in Giurisprudenza, specializzato in Diritto agroalimentare quale settore strategico italiano di economia reale. Appassionato di politica, storia, filosofia, spiritualità. Da oltre 10 anni scrive di politica nazionale e internazionale, sulle trasformazioni che il mondo sta vivendo.